Categorie
n. 11 – aprile 22, Teatro

La Rassegna Incontro/Nuove tendenze: lo spazio del festival come laboratorio di scrittura scenica e critica

per citare questo articolo usa

https://doi.org/10.47109/0102310102

Grand Magic Circus, Les grands sentiments 1976. Foto di Fabio Donato.

ABSTRACT

Nel giugno del 1973 Giuseppe Bartolucci, con la collaborazione di Filiberto Menna, realizza la prima edizione della Rassegna “Incontro/Nuove tendenze”. Si tratta di una manifestazione che riveste un ruolo fondamentale per comprendere la trasformazione del teatro di ricerca negli anni Settanta – in particolare, del cosiddetto Nuovo Teatro; a Salerno, infatti, vengono ufficialmente consacrati il Teatro Immagine prima (1973) e la Postavanguardia poi (1976). La rassegna, però, rappresenta anche un fondamentale momento di riflessione sulla nozione di scrittura scenica e sul diretto coinvolgimento dei critici-‘compagni di strada’. Il presente saggio si propone di ripercorrere i luoghi del festival (con particolare attenzione alle edizioni del 1973 e del 1976), tentando di comprendere come lo spazio e gli spazi della rassegna siano concepiti da Bartolucci come una sorta di dispositivo di scrittura scenica e critica. Un ‘macrospazio’ in cui la ricerca del nuovo riesce a prendere forma sul piano drammaturgico ma anche come esperienza di laboratorio teorico. Un luogo di ‘tangibile’ condivisione tra pratiche sperimentali e riflessione critica. A Salerno, infatti, gli ‘spettacoli-evento’, pensati o ripensati in virtù dei luoghi della manifestazione, vengono messi a fuoco criticamente da un gruppo di intellettuali che organizzano uno spazio interdisciplinare di riflessione e confronto – in tempo reale – sui processi linguistici in atto.

Una premessa

Sul finire di febbraio o agli inizi di marzo del 1973 mi pervenne una lettera manoscritta di Giuseppe Bartolucci, accompagnata da un biglietto di Filiberto [Menna]. Naturalmente io non conoscevo l’autore della missiva né sapevo cosa significasse post-avanguardia teatrale. Però ero fraterno amico di Menna e lo consultai subito per saperne di più. Ci convincemmo subito a vicenda, poiché entrambi ritenevamo che potesse esserci un rapporto non incestuoso tra arte e turismo. […] Mi convinse subito l’idea del teatro notturno insieme con quella di far svolgere le manifestazioni nei diversi punti della città. In meno di un mese Bartolucci preparò un programma fitto di impegni a cui si aggiunsero gli interventi artisti[ci] preparati da Filiberto. La manifestazione, nonostante fosse una novità dirompente rispetto al teatro tradizionale, ebbe subito un grande successo. […] La seconda edizione cambiò radicalmente […] da fenomeno locale si era già trasformata in un appuntamento nazionale […]. Tra la terza e la quarta Rassegna l’avvenimento prese un taglio internazionale […]1.

Così Ferruccio Guerritore, presidente dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo salernitana nel 1973 (e per oltre un ventennio), ricorda, a distanza di anni, la genesi della Rassegna Incontro/Nuove tendenze, manifestazione che attraversò i luoghi e le strade di Salerno tra il 1973 e il 1976. Ideatore dell’iniziativa fu appunto Giuseppe Bartolucci che, con il sostegno dell’Eti e dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, organizzò la prima edizione della Rassegna dal 4 al 10 giugno 1973. Nume tutelare della manifestazione fu anche Filiberto Menna, che, pur non comparendo ufficialmente nel programma della prima edizione, ricoprì un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’iniziativa. In realtà, la Rassegna coinvolse, nell’arco di quattro anni, molti studiosi e critici che contribuirono in maniera determinante ad animare il dibattito sul nuovo: da Achille Mango a Edoardo Sanguineti, da Achille Bonito Oliva ad Angelo Trimarco, da Silvana Sinisi a Rino Mele. L’intenzione di questi intellettuali era di fare di Salerno una sorta di cittadella della sperimentazione, andando oltre le tradizionali demarcazioni tra codici linguistici ma anche – e soprattutto – mettendo in dialogo proposte artistiche e riflessione critica, prassi e teoria. In quest’ottica, venne anzitutto riscritta la cartografia della città; come ricorda Guerritore, la manifestazione fu concepita come un insieme di eventi disseminati sul tessuto urbano, in luoghi diversi che, nel corso delle quattro edizioni, andarono moltiplicandosi: dal Teatro Verdi agli ambienti dell’Azienda di Soggiorno e Turismo (salone o scantinato), dal Teatro la Marina alla palestra della scuola media Quagliariello al lungomare. Spettacoli, performance, sperimentazioni visive, film vennero plasmati o ideati ex novo in virtù dei luoghi del festival: sedi più tradizionali e piccoli teatri meno conosciuti, spazi al chiuso e all’aperto, piazze, strade e quartieri furono di volta in volta attraversati da artisti che rappresentavano la punta più avanzata e irriverente della ricerca artistica dell’epoca2.

In questi stessi luoghi, critici e studiosi, declinando insieme arte, teatro, letteratura, musica, cinema ridisegnarono in tempo reale, nell’hic et nunc della rassegna «le coordinate della geografia del Nuovo Teatro in Campania», ridefinendo al contempo «gli assetti critico-culturali della neo-avanguardia su scala nazionale»3.

Tale ripensamento prese forma attraverso il lavoro congiunto di intellettuali e artisti che, nel corso delle giornate salernitane, entrarono in dialogo, si “concertarono”, fecero “sistema”, sintetizzando istanze estetico-operative e riflessione teorica. Grazie a questa condivisione, la rassegna contribuì a sancire l’affermazione di uno specifico modello di drammaturgia visuale, basata sull’articolazione dei “segni” e dei materiali linguistici del teatro nell’ottica della costruzione e dell’accadimento scenici4. Non a caso proprio a Salerno ricevettero la consacrazione ufficiale il “Teatro immagine” (1973) e la “Post-avanguardia” (1976), linee di ricerca che segnarono due passaggi fondamentali per la storia identitaria del Nuovo Teatro italiano, inteso come «nuovo sistema linguistico che si basava su un nuovo concetto del teatro, la scrittura scenica, vale a dire una pratica del linguaggio che eleggeva la scena a scrittura unica del teatro»5.

Il “macrospazio” del festival come dispositivo drammaturgico e teorico

Tra il 1973 e il 1976 a Salerno si accende, dunque, un dibattito «fondamentale di politica del nuovo»6, alimentato anzitutto da un gruppo di intellettuali e critici “militanti” che, attraverso la ricerca sul campo e la costante ricognizione delle pratiche artistiche, arriva a delineare un fenomeno sperimentale che sembra assumere la fisionomia di un movimento. Molti di questi studiosi operano proprio sul territorio salernitano, soprattutto nell’ambito dell’università; presso l’ateneo campano, infatti, fiorisce una particolare esperienza intellettuale che orbita anzitutto attorno alle figure di Filiberto Menna, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte e docente incaricato della cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dal 1969, e Achille Mango, titolare della cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo dal 1971, coinvolgendo giovani studiosi e professori di altre aree disciplinari7. Proprio questo particolare humus culturale, improntato alla ricerca e all’interferenza tra linguaggi differenti, determina la scelta di Salerno come sede della manifestazione8.

Locandina della IV Rassegna Teatro/Incontro Nuove Tendenze (1976)
Locandina della IV Rassegna Teatro/Incontro Nuove Tendenze (1976)

Il 4 giugno 1973 si apre, dunque, la prima edizione della manifestazione, Rassegna-Incontro/Nuove Tendenze: Teatro Immagine. In realtà, già il 17 maggio Giuseppe Bartolucci, Achille Mango e Filiberto Menna organizzano una serata introduttiva per presentare l’evento; nella stessa giornata il Teatro Verdi ospita il lavoro di Pier Alli, La signorina Giulia. Il programma della manifestazione prevede la presenza di generazioni diverse dell’avanguardia; accanto a figure come Leo de Berardinis e Perla Peragallo, infatti, spiccano i nomi di nuovi artisti sperimentali, a cominciare da Memè Perlini, Giuliano Vasilicò e i fiorentini del Carrozzone. Come ricorda Ugo Di Pace, «Giuseppe Bartolucci che conosceva vita e miracoli dei giovani delle cantine, per averli seguiti sin dalle origini, fece una sapiente ricognizione sul territorio nazionale per selezionare gli autori da includere nel cartellone della prima manifestazione»9.

Strategica risulta anche la scelta dei luoghi della rassegna, «strutture, come si sa, sicuramente inadeguate per quel genere di manifestazioni, trasformate però con tale intelligenza da risultare, alla fine, perfettamente rispondenti alle nuove esigenze»10. Questa prima edizione della rassegna viene ospitata principalmente in quattro spazi: il Teatro Verdi, lo scantinato dell’Azienda di Soggiorno e Turismo, il teatro Augusteo e la spiaggia di Santa Teresa. In questi luoghi gli artisti propongono i propri lavori, in alcuni casi modellandoli in virtù dello spazio scenico in cui vengono ospitati, in altri casi ripensandoli profondamente. Se, ad esempio, Pirandello chi? di Perlini, che aveva debuttato al Beat 72 – una cantina, peraltro contraddistinta da una particolare planimetria tripartita – viene adattato alle architetture più canoniche del Teatro Verdi, La donna stanca incontra il sole del Carrozzone, invece, viene rielaborato per l’occasione. La struttura e la scrittura dello spettacolo, presentato al suo debutto in una galleria d’arte, vengono, infatti, ripensate in base ai luoghi della manifestazione; in tal senso lo spazio scenico diventa un elemento problematico che modifica e viene modificato a seconda delle esigenze e delle scelte drammaturgiche11.

Ecco, dunque, che il lavoro del Carrozzone comincia nei locali dell’Azienda di Soggiorno e Turismo per spostarsi, poi, lungo le strade della città, tra la sorpresa o lo sconcerto di spettatori e passanti. Come ricorda ancora Ugo Di Pace,

dopo una lunga performance iniziata nel pomeriggio nello Scantinato dell’Azienda, verso le cinque del mattino, in parte nuda, con il volto coperto da una maschera, la donna attraversò la Piazza: i questurini, frastornati, non capendo la scena la fermarono per trattenerla. Solo il provvidenziale intervento di Ferruccio Guerritore, Presidente dell’Azienda, li convinse a desistere, mentre la fanciulla seguita dagli spettatori silenziosi si avviò verso la spiaggia per attendere l’alba12.

Come accennato, la presentazione di questo spettacolo, insieme con Le 120 giornate di Sodoma di Giuliano Vasilicò e Pirandello chi? di Perlini, segna di fatto l’ufficializzazione di una nuova tendenza, il Teatro Immagine, dichiaratamente riconosciuta già nel titolo della rassegna. In realtà, questi tre lavori avevano debuttato tra la fine del 1972 e i primi mesi del 1973 tra Roma e Firenze13, scuotendo profondamente il teatro di ricerca con la proposta di una scrittura scenica imperniata sulle componenti iconico-figurative a discapito dell’elemento logico-discorsivo. La nuova linea di ricerca riceve, però, una definizione più matura e coerente sul piano artistico e teorico proprio a Salerno; nell’ambito della manifestazione, infatti, le tre performance vengono presentate per la prima volta insieme e accompagnate da puntuali analisi critiche.

D’altronde, nelle intenzioni di Bartolucci e Menna la rassegna risponde a un preciso progetto “drammaturgico”: ciascun lavoro deve essere inquadrato all’interno di una cornice teorica che approfondisca e sostenga i processi creativi. In quest’ottica le performance di volta in volta presentate sono precedute da un’introduzione e seguite da un dibattito tra artisti, critici e pubblico14; alla formula introduzione-performance-approfondimento-confronto viene anche affiancato, nel corso della prima edizione, il convegno Nuove tendenze/teatro immagine, riservato proprio all’approfondimento teorico della nuova linea di ricerca15.

Secondo Ugo Di Pace,

Bartolucci e Menna, che erano sicuramente intellettuali con vasti legami sia a livello nazionale che internazionale, volevano fare di Salerno quello che rappresentava la Biennale di Venezia per le arti visive. A studiare a posteriori i programmi e i documenti che siamo riusciti a mettere insieme, formulare oggi una simile ipotesi non è del tutto azzardato. Difatti, i gruppi teatrali invitati a Salerno presentavano lavori spesso inediti preparati appunto per la manifestazione: la Rassegna veniva intesa non più come luogo della semplice rappresentazione ma diventava l’occasione dove la sperimentazione si confrontava, per la prima volta, con il pubblico e la critica16.

A Salerno il teatro non si risolve solo in spettacolo, assurgendo piuttosto a spazio di ricerca e scoperta in cui nuove nozioni ed esperienze vengono messe in movimento. Coniugando insieme dibattito teorico e prassi artistica, dunque, la manifestazione diventa un luogo fisico e “metaforico” di scrittura scenica e critica, un laboratorio in cui l’identità del Nuovo Teatro «viene costruita, oltre che dalle opere e dalle poetiche dei gruppi, attraverso la riflessione e l’esperienza intellettuale»17. Questo itinerario di ricerca, analisi e discussione, che prende forma attraverso spettacoli, incontri, seminari, costituisce, d’altronde, una costante nella storia della rassegna, «costellata di presenze e interventi di grande rilievo» e da un clima «di insolita complicità, uno stare assieme carico di entusiasmo che legava e confondeva artisti e critici, studenti e professori»18.

Impegno intellettuale, rigore critico, vivacità creativa, pratica contaminata dei saperi, dunque, si mescolano sapientemente dentro e fuori i teatri salernitani, indicando una tensione progettuale capace di segnare una svolta fondamentale nella storia del teatro sperimentale italiano. Una storia che viene scritta a quattro mani: gli intellettuali non si limitano a commentare o recensire uno spettacolo, rivendicando piuttosto una funzione critica più attiva e partecipe, fondata sulla condivisione delle dinamiche che permeano i processi artistici. La ridefinizione della relazione critica-opera, avviata già ai tempi del Convegno di Ivrea (1967)19, si realizza pienamente durante le giornate salernitane, laddove gli intellettuali “compagni di viaggio”, fiancheggiando gli artisti, offrono un contributo determinante per quella rifondazione del codice teatrale iniziata nel decennio precedente. Sempre più l’intervento intellettuale diventa parte integrante del fenomeno del nuovo, «accompagna, motiva, organizza culturalmente la scena teatrale contemporanea»20, offrendo una visione prospettica; tra dimensione teorica e fatto operativo si crea anzi uno scambio osmotico nella misura in cui riflessione critica e processo artistico si nutrono vicendevolmente.

La vocazione al dibattito, all’“Incontro” – che entra nel titolo della Rassegna – tra momento espositivo e momento teorico, resta un tratto distintivo della manifestazione salernitana anche nelle successive edizioni. Nel 1974 le occasioni di scambio, collaborazione e riflessione si moltiplicano, trovando anche nuovi spunti di analisi; pensiamo, in particolare, alla Prima Rassegna Incontro/Teatro Ragazzi Animazione, curata da Achille Mango, che vede il coinvolgimento di alcuni tra i più importanti gruppi italiani, non ultimo il Teatrogruppo di Salerno21. Si tratta di un evento particolarmente significativo: centinaia di persone, tra artisti e spettatori, “animano” le strade e le piazze salernitane, invadono gli spazi e i tempi del quotidiano, dando vita a «un’esperienza che resta fra le più vive e feconde della storia, non soltanto teatrale, di Salerno»22.

Anche nel corso delle successive edizioni, dal respiro più internazionale23, continuano ad avvicendarsi spettacoli e interventi teorici che concorrono a definire il “divenire” artistico; in occasione di Salerno ‘76, ad esempio, attraverso la presentazione delle performance e l’indagine critica, inizia ad essere messa a fuoco la nozione di Post-avanguardia, “tendenza” che troverà un puntuale inquadramento concettuale a Cosenza, durante la manifestazione Postavanguardia/Intervento didattico (8-15 novembre 1976). Per la IV Rassegna Teatro/Nuove tendenze, generazioni diverse dell’avanguardia teatrale – primi fra tutti, Marion D’Amburgo, Sandro Lombardi e Federico Tiezzi del Carrozzone, lo Stran’amore di Simone Carella e la Gaia Scienza di Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi – propongono dei lavori che sembrano indicare «una nuova possibile area sperimentale»24, una “distruzione dei padri” (recenti e remoti) «in nome di un grado zero che vuole produrre un azzeramento fonematico del linguaggio, decostruttivo e ricostruttivo ad un tempo»25.

Spettacoli-manifesto della nuova tendenza sono Autodiffamazione di Carella, La rivolta degli oggetti del trio Corsetti-Solari-Vanzi e Il giardino dei sentieri che si biforcano del Carrozzone. Nel caso di Carella e della Gaia Scienza si tratta di lavori già presentati al Beat 7226 e ora rielaborati in virtù dei luoghi destinati a ospitarli27; la performance del Carrozzone, invece, è un inedito pensato proprio per la manifestazione28. Per l’occasione, il gruppo fiorentino realizza un lavoro che, come osserva Franco Quadri, non è uno spettacolo vero e proprio, ma «un collage di studi separati […] senza neppure un racconto»29; al teatro Il Sipario di Salerno, infatti, il Carrozzone presenta, nel corso di un’unica serata, una performance in cinque quadri scanditi, a ritmo orario, dall’una alle cinque del mattino. Il giardino dei sentieri che si biforcano – prosegue Quadri nella sua relazione – era elaborato

con un metodo completamente diverso, che prevedeva una lunghissima serie di conversazioni e pochissime prove pratiche, con un gran margine concesso quindi all’improvvisazione. Si evidenziava così la rinuncia agli elementi del teatro come prodotto: per esempio a Salerno, uno dei “membri fondatori” del gruppo, seduto davanti alla scena, tra gli spettatori, correggeva ad alta voce le azioni degli altri attori, interveniva suggerendo un gesto, l’accelerazione di un movimento, un cambio di posizione, come in una prova […]30.

La partitura dei gesti e dei movimenti è determinata anche dalla dimensione spaziale in cui gli attori-performer si trovano ad agire; il lavoro viene, infatti, concepito come una serie di azioni fisiche da mettere a confronto con una precisa situazione ambientale, con un luogo e un tempo reali31.

Lo spazio quasi vuoto, segnato da pochissimi oggetti, non funge, quindi, da semplice sfondo o da contenitore, diventando piuttosto parte integrante del progetto drammaturgico in quanto elemento costitutivo che condiziona la costruzione e la struttura complessiva del lavoro; anzi, gli “studi” hanno come argomento centrale proprio «lo spazio, i diversi modi in cui può essere scritto o parlato teatralmente»32.

Parallelamente, questa attenzione per la concreta realtà scenica consente di sottoporre il linguaggio teatrale a una sorta di “analisi logica”, a un sezionamento che, però, non esclude una forte tensione emotiva33.

La parabola artistica del trio D’Amburgo-Lombardi-Tiezzi, caratterizzata da continui superamenti e da una straordinaria capacità metamorfica, può essere considerata emblematica del percorso – e delle evoluzioni interne – del fenomeno novoteatrista nel decennio compreso tra il 1972 e i primissimi anni Ottanta. La disarticolazione della struttura rappresentativa attraverso l’indagine metalinguistica, infatti, testimonia non solo un profondo ripensamento rispetto ai precedenti lavori del gruppo fiorentino, ma anche «la frattura che la nuova generazione – Carrozzone, Carella, Gaia Scienza – intende operare col teatro immagine»34. Tale scarto viene programmaticamente enunciato a Salerno; la presentazione delle performance è, infatti, accompagnata da uno spazio di riflessione che funge da collante teorico per comprendere le nuove strategie messe in atto. Anche durante l’ultima edizione della rassegna, il momento spettacolare diventa il pretesto o, meglio, l’occasione per porsi delle domande sul nuovo che avanza e intraprendere una verifica sul campo. Riferendosi proprio alle giornate di Salerno ‘76, Marco Solari ricorda come Bartolucci

cercava di individuare all’interno dei percorsi dei singoli gruppi delle linee comunicanti, delle affinità, delle formule […]. C’erano anche Achille Mango, Franco Cordelli e altri critici, soprattutto romani, che seguivano quest’avventura e che erano fondamentali per la nostra crescita artistica […] perché il critico elaborava delle teorie sulla base di un “esistente” estetico35.

Gli interventi teorici cercano di cogliere, interpretare e organizzare dentro un andamento omogeneo le linee di lavoro che emergono nel corso della quarta rassegna salernitana, definendone le logiche costruttive, le pratiche formali e i postulati comunicativi. Peraltro, la formula ideata da Bartolucci «destinata a divenire nel tempo un vero e proprio rituale di consacrazione di ogni nuova tendenza» ha anche il merito «di porre al centro dell’attenzione critica un ventaglio di proposte operative analizzate in un’ottica che non è più solo specialistica, ma interdisciplinare»36. Nel corso della manifestazione, infatti, gli interventi spettacolari e gli approfondimenti critici spaziano dalla musica alla danza, dal teatro alla letteratura alle arti visive. La frattura degli specifici, che in quegli anni stava attraversando le arti, trova anzi a Salerno un momento di verifica sul piano pratico e teorico nella misura in cui la rassegna diventa uno spazio di confronto tra sperimentazione teatrale, ricerche visive, nuovo cinema, esperimenti musicali. Nel corso delle quattro edizioni, dunque, vengono accolte proposte che provengono da contesti artistici differenti: dal jazz progressivo di Don Cherry alle esperienze del nuovo cinema italiano (Anna di Alberto Grifi, in primis), dalla proiezione del film di Carmelo Bene Nostra Signora dei Turchi alle ricerche visive di Fabio Mauri. Quest’ultimo, in particolare, in occasione di Salerno ‘73, presenta un’azione del ciclo Ideologia. All’avvenimento prende parte, fra gli altri, Achille Bonito Oliva. Tra Mauri e l’allora giovane critico si crea un particolare cortocircuito; come ricorda lo stesso Bonito Oliva,

l’artista, seguendo un copione prestabilito, imponeva con gesti e comandi secchi alla bellissima modella di denudarsi.
Si trattava di una citazione presa da un lavoro del mio artista preferito, Marcel Duchamp […]. Dato il clima di contestazione di quegli anni, anche col sottile intento di provocare l’artista, lo invitai più volte a spogliarsi. Non condividevo il suo atteggiamento secco e autoritario con il quale scandiva le sequenze della performance. […] Visto il suo rifiuto improvvisai il beau geste: lentamente, tra la sorpresa degli spettatori, cominciai a togliermi gli abiti fino a comparire nudo completamente. Dopo di ciò l’azione durò fino a tarda notte […]37.

In questo caso il critico diventa co-autore e co-protagonista della performance, rivendicando un suo spazio d’azione nonché animando il dibattito con gli spettatori presenti all’evento. Un nuovo modo di concepire l’attenzione critica e organizzativa va progressivamente prendendo forma in maniera più consapevole e organica; portando a compimento un processo iniziato nel precedente decennio, gli intellettuali presenti a Salerno rivendicano un diretto coinvolgimento nei processi generativi del nuovo. Tra teoria e pratica del teatro, dell’arte e della critica si crea anzi una inestricabile tessitura, un’intima connessione fondata su una logica sperimentale che mette alla prova l’identità del fare artistico.

Rievocando quegli anni, Silvana Sinisi ricorda come nei luoghi della rassegna «ci si incontrava, si discuteva, lo scambio di idee e di propositi era continuo»38; la manifestazione viene concepita come una sorta di territorio liminare in cui è possibile istituire una relazione nuova tra intellettuali e artisti – ma anche con gli spettatori. In tal senso, la studiosa parla di una «stagione irripetibile, fatta di complicità, di incontri, di un modo diverso anche di vivere la città e i suoi spazi»39. Spazi di invenzione. Spazi di riflessione. Spazi di aggregazione..

Come i teatri, già nel precedente decennio, avevano rivendicato una fuoriuscita dagli edifici specifici, così le manifestazioni salernitane – e, più in generale, bartolucciane – sembrano ora porsi come spazi non codificati, “fuori” dalle logiche istituzionali: non vetrine, ma luoghi dell’“emergenza” e della compromissione, dell’“altro” e dell’oltre. Ripensando le scelte progettuali, le finalità e un certo tipo di fruizione tipici dei festival tradizionalmente intesi, Bartolucci concepisce le iniziative realizzate a Salerno – e, successivamente, a Cosenza (1976), a Caserta (1979), a Roma (1981) – non come puri eventi di organizzazione e animazione culturale, ma come “sguardi critici nell’estetica delle mutazioni”40 che si propongono di investigare dentro le innovazioni del linguaggio nonché di aiutare a leggere la costituzione materiale degli spettacoli e a delineare l’identità poetica della pratica sperimentale, nelle sue molteplici declinazioni e nei suoi incessanti sorpassi.

Debbo confessare – sostiene il critico in occasione della quarta edizione della manifestazione salernitana – che organizzare una rassegna significa anzitutto scrivere un saggio, organizzare un libro; la considero un’attività eminentemente critica, e come tale va letta e analizzata anche dallo spettatore, dagli spettatori41.

Tra incroci di linguaggi, scorrimenti e “tradimenti”, la Rassegna Incontri/Nuove Tendenze diventa, dunque, un laboratorio di ricerca permanente, un crocevia per sperimentatori dell’avanguardia, forze intellettuali diverse (teatrali e non) e cittadini. Ma, soprattutto, la «casa delle tendenze», come l’ha definita Lorenzo Mango, uno spazio in cui «le tensioni del nuovo, nel farsi tendenza, si esprimevano in tutta la loro forza e in tutta la loro contraddittorietà»42.

  1. Ugo Di Pace, L’amarcord di Ferruccio Guerritore, in «Il Mattino», 11 marzo 1993.
  2. Nel corso degli anni la manifestazione ospita artisti e compagnie legati alla sperimentazione nazionale e internazionale: dal Living Theatre a Mario Ricci, da Peter Brook ai Fratelli Colombaioni, dal Grand Magic Circus a Remondi e Caporossi, da Mimmo Jodice a Carlo Quartucci. Numerose sono anche le presenze di critici e uomini di cultura; ricordiamo, tra gli altri, Germano Celant, Franco Quadri, Aldo Rostagno, Gordon Rogoff, Colette Godard, Michael Kirby, Corrado Augias, Furio Colombo, Luigi Ballerini.
  3. Salvatore Margiotta, La geografia del nuovo teatro in Campania negli anni settanta. 1963-1976, Terre Blu, Caserta 2019, p. 53.
  4. A partire dalla fine degli anni Cinquanta (in particolare, dal 1959) una zona particolare della scena italiana è attraversata da un «profondo, radicale rinnovamento del modo di fare e concepire il teatro» (Marco De Marinis, Il Nuovo Teatro: 1947-1970, Bompiani, Milano 1987, p. 1). Tale fenomeno, identificato di volta in volta con definizioni diverse – teatro sperimentale, d’avanguardia, di ricerca o Nuovo Teatro – pur presentandosi come un processo fluido e dinamico, che assume modi e forme diverse nel corso dei decenni compresi tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, porta alla graduale affermazione di un codice linguistico “altro”, basato su un sistema di segni (spazio, oggetto, testo, suono, luce, gesto) in sé autonomo e non subalterno rispetto a un a priori drammaturgico-letterario.
  5. Lorenzo Mango, L’invenzione del nuovo, in Daniela Visone, La nascita del Nuovo Teatro in Italia. 1959-1967, Titivillus, Corazzano (Pi) 2010, p. 16. Per un’analisi delle questioni estetico-operative e delle principali esperienze emerse negli anni in questione particolarmente significativi risultano anzitutto alcuni studi pubblicati in quello stesso periodo: Franco Quadri, L’avanguardia teatrale in Italia, Einaudi, Torino 1977; Italo Moscati, La miseria creativa, Cappelli, Bologna 1978; Giuseppe Bartolucci, Achille e Lorenzo Mango, Per un teatro analitico-esistenziale, Studio Forma,Torino 1980; Silvana Sinisi, Dalla parte dell’occhio. Esperienze teatrali in Italia 1972-1982, Edizioni Kappa, Roma 1983. Per una ricostruzione del fenomeno novoteatrista tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta si rimanda, inoltre, a Salvatore Margiotta, Il Nuovo Teatro in Italia. 1968-1975, Titivillus, Corazzano (Pi) 2013, Mimma Valentino, Il Nuovo Teatro in Italia. 1976-1985, Titivillus, Corazzano (Pi) 2015 e Valentina Valentini, Nuovo Teatro Made in Italy, 1963-2019, con saggi di Anna Barsotti, Cristina Grazioli, Donatella Orecchia, Bulzoni, Roma 2015.
  6. Giuseppe Bartolucci, Verso un teatro/immagine (1973), in Id. (a cura di), Mutations. L’esperienza del Teatro Immagine, edizioni OOLP, Roma 1975, p. 15.
  7. Oltre agli intellettuali già citati, ricordiamo Gioacchino Lanza Tomasi, Enrico Crispolti, Gino Kalby. Rievocando gli anni in questione, Silvana Sinisi sottolinea che, soprattutto nell’ambito dell’Università e dell’Istituto di Storia dell’Arte, si respirava «un clima estremamente stimolante, decisamente favorevole all’attraversamento, al superamento dei singoli ambiti disciplinari, mantenendo sempre aperto il dialogo tra le differenti esperienze di ricerca guardando all’arte, al teatro, alla musica non in maniera settoriale ma in una prospettiva allargata», in Un dialogo aperto, in Stefania Zuliani (a cura di), La costruzione del nuovo 1966/1976, Edizioni 10/17, Salerno 2005, p. 49.
  8. In questi anni a Salerno si realizza una congiuntura particolarmente favorevole non solo sul piano culturale ma anche a livello politico; il progetto di Bartolucci e Menna viene, infatti, sostenuto da alcune istituzioni locali nonché dall’amministrazione comunale. Tale dialogo si interrompe nel 1976, laddove, con la fine del mandato del sindaco Alfonso Menna e il riassetto della D.C. a livello nazionale e regionale, la situazione cambia radicalmente.
  9. Ugo Di Pace, Nuove tendenze. L’arte alla svolta, in «Il Mattino», 11 marzo 1993.
  10. Ibidem.
  11. Ricordiamo che La donna stanca incontra il sole aveva debuttato il 7 novembre 1972 presso la Galleria Schema di Firenze. Per un’analisi dettagliata dello spettacolo si rimanda anzitutto a Lorenzo Mango, Teatro di poesia. Saggio su Federico Tiezzi, Bulzoni, Roma 1994, pp. 49-57.
  12. Ugo Di Pace, Nuove tendenze. L’arte alla svolta, cit.
  13. Le 120 giornate di Sodoma aveva debuttato il 16 novembre 1972 al Beat 72 di Roma; presso la stessa cantina, il 3 gennaio 1973 Memè Perlini aveva realizzato il suo Pirandello chi?. Per un’analisi dettagliata degli spettacoli si rimanda a Salvatore Margiotta, Il Nuovo Teatro in Italia. 1968-1975, cit.
  14. Ricordiamo che il pomeriggio del 4 giugno, nei locali dell’Azienda, Filiberto Menna e Achille Mango danno avvio ai lavori della rassegna con due interventi critici: l’uno si sofferma sul rapporto immagine-azione tra il 1960 e il 1970; l’altro affronta il tema della contestazione del prodotto. Seguono, nel corso delle successive giornate, i seminari di approfondimento teorico.
  15. Gli interventi presentati durante il Convegno da Giuseppe Bartolucci, Filiberto Menna, Achille Mango, Franco Cordelli, Maurizio Grande, Italo Moscati, Paolo Puppa, Rubina Giorgi, Rino Mele confluiscono nel testo Uso, modalità e contraddizioni dello spettacolo immagine, La nuovo foglio editrice, Macerata 1975. Entrano a far parte del volume anche le riflessioni emerse nel corso di un successivo appuntamento mantovano, Dall’immagine all’immaginario, a cui avevano partecipato Umberto Artioli, Fernando Trebbi, Francesco Bartoli, Gino Baratta e Alberto Boatto. I contributi risultano fondamentali per ricostruire il dibattito che si accese intorno alla nozione di Teatro Immagine.
  16. Ugo Di Pace, Salerno sipario del mondo in rivolta, in «Il Mattino», 22 aprile 1998.
  17. Salvatore Margiotta, La geografia del nuovo teatro in Campania negli anni settanta. 1963-1976, cit., p. 67.
  18. Stefania Zuliani, Costruttori del nuovo, in Id. (a cura di), La costruzione del nuovo 1966/1976, cit., p. 19. In questo passaggio Stefania Zuliani riprende, in particolare, le riflessioni e i ricordi di Mario Martone che nel 1976 aveva partecipato all’ultima edizione della Rassegna in qualità di giovanissimo spettatore (non ancora fondatore di Falso Movimento), restando affascinato dall’atmosfera salernitana.
  19. Negli anni Sessanta e, in particolare, ai tempi del Convegno di Ivrea affiora l’esigenza di ripensare la pratica critica, adattando le categorie interpretative a un nuovo modello estetico; per leggere e analizzare i procedimenti linguistici messi in campo dal Nuovo Teatro, infatti, risulta necessario ridisegnare i parametri metodologici e gli strumenti di indagine. Si afferma così una Nuova Critica che assume «una chiara posizione di fiancheggiamento delle pratiche teatrali di frattura. Un fiancheggiamento che sposta decisamente la funzione della critica dall’osservazione e dalla verifica a posteriori delle operatività artistiche e del loro risultato in termini di spettacolo all’accompagnamento di quelle stesse operatività in chiave di compromissione ideologica». Lorenzo Mango, La nuova critica e la recitazione, in Lorenzo Mango, Daniela Visone, Salvatore Margiotta, Mimma Valentino, Gli anni sessanta: la critica e i nuovi modelli di recitazione, in «Acting Archives Review», n. 3, maggio 2012, p. 151.
  20. Salvatore Margiotta, La geografia del nuovo teatro in Campania negli anni settanta. 1963-1976, cit., p. 67.
  21. In coincidenza con la seconda edizione di Incontro/Nuove Tendenze (1974) Achille Mango cura appunto la prima rassegna dedicata al teatro di animazione; come si legge nella locandina, oltre agli spettacoli, vengono organizzati laboratori, manifestazioni pubbliche, assemblee di lavoro tenuti da formazioni provenienti da varie parti d’Italia: il Teatro Sole di Milano, il Teatro dell’Angolo e il Teatro Gioco Vita di Torino, il Collettivo Gioco Sfera di Roma.
  22. Stefania Zuliani, Costruttori del nuovo, in Id. (a cura di), La costruzione del nuovo 1966/1976, cit., p. 20.
  23. Per Salerno ‘75 (28 giugno-13 luglio) Bartolucci e Menna scelgono il titolo Rassegna Teatro Nuove Tendenze/Incontri internazionali, a sottolineare come la manifestazione abbia ormai «conquistato uno spazio ed un prestigio, attraverso le prime due edizioni, in Italia e soprattutto all’estero (dove viene considerata l’occasione “annuale” del “meglio” in Italia; […]). Essa costituisce senz’altro […] un tracciato per la ricerca, non soltanto di difesa ma anche di espansione, degno di tutto rispetto ed unico in Europa nel suo genere», Presentazione della 3a Rassegna Teatro Nuove Tendenze. Incontri Internazionali, giugno 1975. In termini progettuali la manifestazione è organizzata in una sezione internazionale, una sezione italiana e una sezione napoletana. Analogamente, per l’edizione del 1976 (1-14 luglio) Bartolucci e Menna invitano, accanto agli artisti italiani, diversi gruppi stranieri, primo fra tutti il Living Theatre.
  24. Nico Garrone, L’avanguardia è morta. Viva la Post-Avanguardia, in «la Repubblica», 14 luglio 1976.
  25. Lorenzo Mango, La decostruzione del nuovo, in Mimma Valentino, Il Nuovo Teatro in Italia. 1976-1985, cit., p. 14.
  26. Autodiffamazione, presentato al Beat 72, risale al 31 gennaio 1976; sempre al Beat 72, il 20 marzo 1976, viene realizzato La rivolta degli oggetti, lavoro d’esordio della Gaia Scienza. Per un’analisi dettagliata degli spettacoli mi permetto di rimandare al mio Il Nuovo Teatro in Italia. 1976-1985, cit.
  27. Riflettendo sulla “riscrittura” de La rivolta degli oggetti in occasione della Rassegna di Salerno, Marco Solari ricorda: «Ci ponemmo subito il problema della rielaborazione della performance nel passaggio dal Beat 72 ai luoghi del festival. Ci chiedevamo come rifare lo spettacolo laddove cambiavano completamente le determinazioni spaziali. […] Cambiavano i tempi oltre che gli spazi […]. Uno dei principali problemi era sistemare le corde che avevano una funzione precisa nel lavoro così come era stato elaborato a Roma. Riuscimmo a cavarcela, realizzando uno spettacolo molto performativo; di fatto, però, La rivolta degli oggetti era uno di quei lavori che oggi potremmo definire “site specific”», da un’intervista rilasciatami a Roma il 31 marzo 2022.
  28. Il giardino dei sentieri che si biforcano debutta proprio alla rassegna di Salerno tra il 13 e il 14 luglio 1976.
  29. Franco Quadri, Il Carrozzone. Presagi del vampiro, Relazione presentata alla Tavola Rotonda Teatro e arti visive, Teatro Rondò, Firenze 11 dicembre 1976.
  30. Ibidem.
  31. Ricordiamo che il lavoro realizzato per la IV Rassegna Teatro/Nuove Tendenze costituisce un unicum; le repliche presentate nel corso della stagione 1975-1976 costituiscono, infatti, delle variazioni della versione salernitana. Nell’edizione proposta a Bologna, ad esempio, la durata della performance si riduce a un’ora e mezzo; parallelamente viene ripensata l’articolazione dei quadri scenici.
  32. Lorenzo Mango, Teatro di poesia. Saggio su Federico Tiezzi, cit., p. 70.
  33. In tal senso questo lavoro preannuncia la svolta in senso analitico che prenderà forma in maniera più compiuta nel successivo Presagi del vampiro, presentato nell’ambito della manifestazione di Cosenza; per l’occasione il trio fiorentino inizierà a parlare di un teatro “analitico-patologico-esistenziale”.
  34. Lorenzo Mango, Teatro di poesia. Saggio su Federico Tiezzi, cit., p. 65.
  35. Marco Solari, da un’intervista rilasciatami a Roma il 7 luglio 2007.
  36. Silvana Sinisi, Dalla parte dell’occhio. Esperienze teatrali in Italia 1972-1982, cit., p. 26.
  37. Ugo di Pace, Bonito Oliva: «La prima volta che mi denudai in pubblico». L’intervista, in «Il Mattino», 11 marzo 1993. Ricordiamo che già ad Amalfi, in occasione della Mostra sull’Arte Povera (1968), Bonito Oliva si era denudato davanti al pubblico, definendo quel gesto “Azione Povera”.
  38. Silvana Sinisi, Un dialogo aperto, in Stefania Zuliani (a cura di), La costruzione del nuovo 1966/1976, cit., p. 50.
  39. Ivi, p. 51.
  40. Cfr. Dario Evola, La scrittura scenica: uno sguardo critico nell’estetica delle mutazioni, in «Biblioteca teatrale», n. 48, ottobre-dicembre 1998, pp. 33-54.
  41. Giuseppe Bartolucci, Salerno/Alla memoria?, in «La scrittura scenica», n. 12, 1976, p. 3. È interessante osservare come Bartolucci, sempre più in questi anni, esprima la sua visione del teatro e la sua riflessione teorica attraverso l’organizzazione di eventi; in tal senso la sua strategia operativa risulta simile a quella dei coevi critici d’arte che fanno delle mostre delle vere e proprie “monografie” sul loro pensiero artistico.
  42. Lorenzo Mango, La casa delle tendenze, in Stefania Zuliani (a cura di), La costruzione del nuovo 1966/1976, cit., pp. 66-67.
Author

Mimma Valentino è dottore di ricerca in Storia del teatro moderno e contemporaneo. Nel 2010 ha vinto un assegno di ricerca per il progetto ‘Archivio internazionale trattati di recitazione’ e nel 2013 ha preso parte al PRIN ‘Teorie della recitazione e nascita della regia. Archivio e catalogo critico delle fonti documentarie’ presso l’Università di Napoli ‘L’Orientale’. Attualmente collabora con la cattedra di Storia del Teatro per il progetto “Nuovo Teatro Italiano. Archivio Storico” ed è redattore di «Acting Archives». È autrice di diversi saggi: L’affresco lirico di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi («Acting Archives Review», 14, novembre 2017), Le ‘isole galleggianti’ del Terzo Teatro («Culture Teatrali», 27, 2018), Il Nuovo Teatro in Italia: un’ipotesi di ‘messa in storia’, in Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia (Akropolis Libri, 2018, pp. 60-66), Il ‘mosaico’ di Anagoor («Acting Archives Review», 19, maggio 2020), Process and product in Italian Theatre («Eastap Journal», 2, maggio 2020). Ha pubblicato il volume Il Nuovo Teatro in Italia. 1976-1985 (2015).