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n. 9 – aprile 21, Teatro

Attraversare il tempo della luce. Conversazione con Romina De Novellis

Romina De Novellis, Arachne, performance dall’alba al tramonto, partenza da Galatina (LE) e arrivo a Punta Ristola (LE), un progetto sostenuto da RAMDOM (Gagliano del Capo), foto Mauro Bordin, Salento, 2018.

ABSTRACT

Il contributo è una conversazione con l'artista Romina De Novellis, attiva nel campo della performance art. L'intervista mette a fuoco i rapporti tra spazio e luce nella ricerca dell'artista. Ne emerge un ecosistema estetico-politico complesso che affonda negli studi antropologici dell’area Euro-Mediterranea riletti mediante un approccio ecofemminista che evidenzia i rapporti di potere esistenti nella relazione tra corpo, natura e cultura. In questo scenario, la luce, sempre naturale, scandisce lo scorrere del tempo e si riversa sul corpo come entità simbolica e ne organizza i ritmi vitali in relazione allo spazio e al movimento.

*contributo alla discussione

Romina De Novellis è un’artista attiva nell’ambito della performance art rappresentata dalla Galleria Alberta Pane a Parigi e a Venezia. La sua ricerca artistica è una trama complessa che si intesse con l’autobiografia, gli studi antropologici1 e un approccio politico ecofemminista. Al centro di questi assi discorsivi, il suo corpo. L’artista inizia il proprio percorso come danzatrice e interprete, interrompendolo precocemente a causa di un grave incidente. Questo evento si pone come uno spartiacque importante per quella che diverrà la sua poetica. La lunga degenza riabilitativa spinge infatti Romina De Novellis non solo a focalizzarsi sull’altrui e il proprio corpo, ricostruendone equilibri, movimenti e storie, ma a una riflessione sulla dimensione del tempo che si costituirà come elemento centrale delle sue pratiche performative. Nelle performance dell’artista infatti la lunga durata diviene un principio costruttivo e costituente in ragione del quale si sostanziano semanticamente gli altri elementi: il corpo, lo spazio e la luce. Tuttavia sarebbe riduttivo costringere e giustificare le azioni dell’artista esclusivamente sulla base di un accadimento biografico.

La ricerca di Romina De Novellis si annoda a doppio filo con le storie dell’ Euro-Mediterraneo rilette mediante una profonda conoscenza degli studi antropologici che ne hanno sistematizzato e storicizzato riti e comportamenti, insieme a un approccio ecofemminista che mette “in luce” i rapporti di potere che si insinuano nelle relazioni tra corpo, natura e cultura. Le istanze dell’ecofemminismo infatti, difficilmente sintetizzabili in questa sede2, si propongono di mettere in discussione in chiave intersezionale il rapporto tra patriarcato, capitalismo e sfruttamento dei corpi femminili, razzializzati, non conformi, trans, queer ++, nel più ampio contesto dei rapporti sistemici tra umano, non-umano e ambiente. In questa prospettiva il corpo dell’artista diviene un dispositivo al servizio di un’analisi e di una critica dei sistemi culturali e politici che opprimono i popoli dell’area euromediterranea, come le politiche migratorie, o quelle che ledono i diritti LGBT e delle persone con disabilità. Per fare un solo esempio, la performance Arachne (2018) è un lavoro di ricerca etnografica sul tarantismo che si è tradotto in una camminata di quattordici ore dall’alba al tramonto in cui Romina De Novellis accanto a un gruppo di donne ripercorre a rovescio il tragitto delle tarantate: da Galatina a Santa Maria di Leuca. L’opera si costituisce come osservazione partecipativa e interpretativa delle tarantate contemporanee e delle dinamiche sociali, culturali e politiche in cui il Salento e le sue donne si inseriscono inevitabilmente. Rovesciando il percorso dell’antica tradizione, che prevedeva un cammino delle donne da Santa Maria di Leuca a partire dal tramonto in modo tale che arrivassero a Galatina all’alba, evitando così di poter essere viste, l’artista ribalta le dinamiche di potere del rituale. Lo scorrere naturale della luce diurna che accompagna il cammino, restituisce infatti visibilità e dunque dignità ad una storia che ha marginalizzato per decenni la figura delle “tarantate”.

In questo ecosistema poetico e politico la luce quindi, sempre naturale, scandisce lo scorrere del tempo e si riversa sul corpo come entità simbolica che ne ”rischiara” delle condizioni storiche, delle disposizioni psicologiche, o ne organizza i ritmi vitali in relazione allo spazio e al movimento. Le sorgenti luminose naturali, dunque digradanti o crescenti di intensità a seconda delle ore del giorno in cui le performance di volta in volta sono concepite, si dipanano inoltre come varchi di connessioni con le forze primigenie della Terra e inscrivono il corpo in una cosmogenesi complessa che non può essere parcellizzata nelle sue diverse parti. Corpo, spazio, tempo e luce si fondono in un’unica magmatica soggettività che nella lunga durata grida i canti dell’oppressione lottando per la libertà. La conversazione che segue tenta di districare questa materia densa, cercando di non tradirne la complessità.

Romina De Novellis, <em>La Gabbia</em>, Le 7.5 Club, foto Mauro Bordin, Paris, 2012.
Romina De Novellis, La Gabbia, Le 7.5 Club, foto Mauro Bordin, Paris, 2012.

Flavia Dalila D’Amico: Potresti spiegarmi la prima frase che campeggia sulla tua biografia: I’m a performance artist, I’m the most hybrid language in art, I stand by the thesis that is defended by anti-psychiatry?

Romina De Novellis: Con la mia ricerca, mi posiziono fisicamente e politicamente nella difesa di quelle differenze hors norme, dicono i francesi, “fuori dalla norma”. Quelle esperienze cioè che l’approccio psichiatrico tende a stigmatizzare relegandole nel regno del patologico o della devianza. Gli studi dell’antipsichiatria presentano approcci eterogenei che non si oppongono in assoluto alla psichiatria come sistema, ma tentano di metterne in luce delle problematicità che contestualizzate nel quotidiano portano alle discriminazioni di corpi ed esperienze non conformi. In questa prospettiva, ne abbraccio alcune istanze cercando di difendere le discriminazioni e le lotte minoritarie in tutte le loro forme, ma soprattutto quelle connaturate alla targhettizzazione dei corpi, e alla loro patologizzazione in quadro medico. Politicamente mi situo nell’approccio ecofemminista, quindi sono contro le forme di mortificazione della vita, per cui le mie performance non prevedono mai alcuna martorizzazione del corpo o la simulazione del sangue ed elementi simili. Il mio intento è piuttosto quello di valorizzare i corpi per come sono, senza cristallizzarli nel dolore.

Flavia Dalila D’Amico: La tua ricerca trae importanti spunti dal tuo vissuto, la tua origine partenopea, il tuo passato di danzatrice, un incidente che ti ha costretta ad un periodo di degenza molto lungo. Come in particolare quest’ultimo evento ha impattato sulla tua riflessione artistica soprattutto in relazione alla luce?

Romina De Novellis: In effetti esiste un prima e un dopo l’incidente. Prima, ero stata una danzatrice e coreografa di teatrodanza e avevo l’ambizione di affermarmi come autrice piuttosto che esclusivamente come interprete. Dopo l’incidente, avvenuto tra l’altro mentre andavo al Teatro dell’Opera di Roma dove stavo lavorando a una produzione, ho cambiato del tutto percorso. Avevo subìto un grave trauma fisico e per un anno ho vissuto presso il centro di riabilitazione Don Gnocchi di Roma in un reparto di traumi dovuti a gravi incidenti. Quel lungo anno, in cui ho dovuto riapprendere a camminare, mi ha certamente segnata, sia per la mia personale esperienza che per quella delle persone attorno a me. L’immobilità mi ha spinta ad andare in un’altra direzione rispetto alla danza, sebbene la danza contemporanea ammetta e contempli l’espressione di tutti i corpi. Per me è stata una scelta esistenziale. Ho iniziato a lavorare con le disabilità e ho riversato sulla mia ricerca estetica una certa ossessione del tempo. Avevo sempre lavorato sulla luce, ma il tempo era un aspetto limitato alla durata dello spettacolo. Dopo l’incidente il tempo è diventato centrale, e anche l’elemento della luce ne ha risentito perché ho iniziato a concepirla non come fenomeno artificiale, ma come esperienza naturale da vivere sul mio corpo. Le mie performance hanno infatti una durata molto lunga, alcune iniziano all’alba e finiscono al tramonto ad esempio, e coinvolgono la luce nelle sue diverse manifestazioni in questa lunga durata. Quasi tutti i miei lavori hanno una relazione importante con la luce naturale e in questa relazione il corpo scompare o riappare dal buio verso la luce, manifestandosi sotto una nuova prospettiva.

Flavia Dalila D’Amico: Che significato assume il buio nelle tue performance?

Romina De Novellis: Il buio è uno spazio, così come la luce. È una condizione in cui il corpo esiste, e si posiziona e muove nello spazio con più cautela e attenzione rispetto a quando è presente la luce. Il buio quindi per me corrisponde a una velocità ridotta, a un momento intimo, a una suggestione per il movimento e a una scansione temporale. Tempo spazio e azione nelle mie performance sono la stessa unità. La luce non è concepibile senza il tempo, il corpo e il suo movimento nello spazio, lo stesso vale per il buio. Ad esempio nella performance La Sacra famiglia (2015) il buio rappresenta una possibilità di rinascita. La performance si è svolta a Napoli durante la vigilia di Natale da mezzogiorno al tramonto con tutta la mia famiglia. Ogni parente porta con sé un simbolo del cenone natalizio e mi segue in una processione che termina con un’immersione nel mare al tramonto. L’azione della luce si accompagna a quella di purificazione collettiva nelle acque di una famiglia mediterranea tutta da rivoluzionare. L’azione della luce rappresenta in questo caso la catarsi, dal suo picco massimo al suo picco minimo, che altro non è che il buio.

Flavia Dalila D’Amico: Cosa intendi per critica dei rituali?

Romina De Novellis: Quello che vorrei emergesse dalle mie azioni è una messa in luce delle dinamiche patriarcali sistemiche tramite la messa in opera di rituali. Tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo hanno un approccio molto religioso (qualunque sia la religione) e i rituali sono una delle forme rappresentative di un certo modello di società. Un ordine dato attraverso i rituali spesso coincide con i valori delle società in cui si attua. Il rituale è un esempio lampante della differenziazione dei ruoli: chi fa da mangiare, chi mangia, come si mangia, come ci si siede a tavola ecc. Attraverso il mio lavoro quindi, vorrei smontare il sistema su cui si fondano alcuni rituali. Per questo motivo solitamente lavoro nello spazio pubblico, proprio perché mi interessa dare una dimensione al mio lavoro che tocchi alcuni aspetti del sociale.

Flavia Dalila D’Amico: Puoi citarmi una performance in cui la materialità della luce traduce il tuo intento di criticare dei rituali?

Romina De Novellis: La luce è sempre fondamentale nelle mie performance, ma direi in una in particolar modo: Arachne (2018), frutto di un anno di residenza presso Random, uno spazio di creazione in Puglia. Lì ho avuto modo di svolgere una ricerca sul territorio centrata sul tarantismo e di incontrare tutta una serie di associazioni che insistono sulle questioni di genere e i diritti LGBT. Il mio obiettivo era quello di coinvolgere delle donne in un cammino contrario a quello che le tarantate facevano per chiedere la grazia a San Paolo. Il percorso “tradizionale” partiva da Santa Maria di Leuca per arrivare a Galatina, dove c’era la Cappella di San Paolo successivamente sconsacrata. In Arachne invece siamo partite proprio da lì all’alba, andando “controsenso”, dunque lasciandoci Galatina alle spalle, per arrivare al tramonto, dopo quattordici ore di cammino, a Leuca, con lo sguardo verso il mare come forma di accoglienza verso altre culture femminili che oggi arrivano verso di noi, proprio dal mare, in maniera disperata. Nella mia visione infatti, questa camminata dall’alba al tramonto rappresenta tutto il lavoro che c’è ancora da fare verso i generi femminili, i numerosi generi femminili. Ma al contempo l’azione della luce sui nostri corpi è un atto di riconquista. Le tarantate infatti partivano di notte e arrivano all’alba per non farsi vedere dagli abitanti di Galatina, perché allora ritenute scandalose, fenomeni da barraccone. Rischiarare questo cammino sotto i raggi del sole equivale per me ad attestare e rendere manifesta una sorta di rimozione: il tarantismo infatti è stato distorto, messo a tacere, calato in un contesto religioso che non gli è proprio. In realtà le donne si ribellavano alla loro condizione, cercando di uscire dal ruolo simbolico di donna sottomessa mediante l’espressione libera del corpo. Una forma di ribellione al sistema sociale e patriarcale, messa a tacere dalla Chiesa e arginata dagli studi antropologici (ad opera di uomini), come fenomeno di una sofferenza ritualizzata.

Flavia Dalila D’Amico: Dal collettivo al personale, questa mi pare la traiettoria circolare della tua ricerca. Quando allora la luce diventa azione di scrittura simbolica sul tuo corpo?

Romina De Novellis: Ci sono tre performance in particolare in cui questo rapporto intimo tra me e la luce è molto evidente: La Gabbia (2012), La pecora (2013), La Veglia (2011). In tutte e tre il corpo cerca di liberarsi da una prigione, intesa come spazio fisico ed emotivo. Ne La gabbia sono chiusa all’interno di un cubo di rose per un tempo molto lungo, la prima volta è durata tre giorni senza interruzioni. Il mio corpo piano piano scompare dietro le rose e allo stesso modo si offusca la mia vista degli spettatori. Quindi la scelta di scomparire piuttosto che continuare a sentirmi in gabbia e di stare sotto osservazione. Ne La pecora ho creato attorno a me un labirinto con la lana che imitasse la forma del mio cervello inscritta però in un quadrato, quindi un’altra gabbia. È durata 6 ore da mezzogiorno al tramonto. Io sono seduta in mezzo alla sala, il mio cervello, mentre cardo la lana nel tentativo di districare la complessità dei miei pensieri e delle mie paure. L’azione dura fino al tramonto (anche in questo caso non c’è luce artificiale) quindi pian piano viene meno la luce sul mio corpo e io resto imbrigliata nei miei pensieri. La veglia riflette sulla dimensione dello spazio casalingo riletto come spazio claustrofobico da cui fuggire. Ogni volta la performance si installa in case private, o in luoghi che possano rievocare l’idea della casa. Da mezzogiorno al tramonto installo dei fili facendo dei nodi nel tentativo di liberarmi. Come tutte le veglie le persone mangiano e parlano aspettando che mi liberi. Il gesto dei nodi è talmente lungo che quando cala il sole, tutti i presenti precipitano nel buio e io continuo la mia azione, senza riuscire a liberarmi dai fili delle mie emozioni.

Romina De Novellis, <em>La Pecora</em>, Musée de la Chasse et de la Nature, Nuit éuropéenne des musées, foto Mauro Bordin, Parigi, 2013.
Romina De Novellis, La Pecora, Musée de la Chasse et de la Nature, Nuit éuropéenne des musées, foto Mauro Bordin, Parigi, 2013.
Romina De Novellis, <em>La Veglia</em>, collezione privata, foto Mauro Bordin, Parigi, 2011.
Romina De Novellis, La Veglia, collezione privata, foto Mauro Bordin, Parigi, 2011.

Flavia Dalila D’Amico: Nei tuoi lavori c’è un forte attrito tra la carnalità del tuo corpo, i sistemi culturali cui ti riferisci e la specificità degli spazi in relazione alla luce naturale. Che rapporto hai invece con la luce artificiale e le tecnologie?

Romina De Novellis: Per me la tecnologia non è né un fine né un mezzo. Utilizzo la tecnologia per lasciare traccia del mio lavoro. Il video ad esempio per me è uno strumento attraverso il quale documento le mie azioni. Un modo per immortalare il tempo presente. La fotografia rende più evidente questo approccio, soprattutto quella analogica con cui mi piace lavorare. Lavoro solo in pellicola perché rende palpabile l’azione della luce e del tempo. La pellicola è materia e mi interessa lavorare sul suo corpo come lavoro sul mio. Non ha l’effetto patinato dell’estetica digitale e conserva la prospettiva dell’occhio, gli sfocati, gli errori tecnici. A volte lavoro con la polaroid, con formati piccolissimi che ti costringono a muoverti e avvicinarti per capire cosa stia succedendo in quel minuscolo spazio. Oppure lavoro con formati molto grandi in cui per forza di cose si perdono dei dettagli. In entrambi i casi cerco di ricreare una situazione il più possibile vicina, simbolicamente e fisicamente, alla dimensione della performance, al suo qui e ora.

  1. Romina De Novellis è attualmente dottoranda presso l’EHESS (École des Hautes Études en Sciences Sociales) di Parigi con una ricerca che fa dialogare gli studi sulla disabilità con gli studi sulla performance e il tarantismo.
  2. Per maggiori approfondimenti si rimanda a Carolyn Merchant, La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica. Dalla natura come organismo alla natura come macchina, Garzanti, Milano 1988; Vandana Shiva, Maria Mies, Ecofeminism, Zed Books, London 1993; Ariel Salleh, Ecofeminism as Politics. Nature, Marx and the Postmodern, Zed Books, London 1997; Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero Edition, Roma 2019.
Author

Flavia Dalila D'Amico è una curatrice e Assegnista di ricerca presso il Dipartimento PDTA, Sapienza. I suoi interessi di ricerca si rivolgono alle intersezioni tra corpi, soggettività politiche e tecnologie nell'ambito delle arti performative. Nel 2022 ha pubblicato il volume Lost in Translation. Le disabilità in scena (Bulzoni Editore) che indaga la relazione tra le disabilità e il teatro. Fa parte dell'associazione Al. Di. Qua. Artists e cura la comunicazione di ORBITA|Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza.

Author

Romina De Novellis è una performer nata a Napoli nel 1982, cresciuta a Roma, che vive e lavora a Parigi dal 2008. Dopo alcuni anni dedicati alla danza e al teatro, a seguito di un grave incidente, approda nella scena dello spettacolo tagliando sia la parola che la coreografia dalla sua ricerca artistica, decidendo di focalizzarsi sul linguaggio dei gesti, sostituendo nel complesso il corpo in ambiente urbano. La sua prima monografia MEDITERRANEO (2019) presenta una selezione di lavori degli ultimi dieci anni dedicati al Mediterraneo.

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