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n. 3 - aprile 18, Suono, Teatro

Spazio, voce, gesto tra nuova musica e nuovo teatro musicale

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https://doi.org/10.47109/0102230103

Karlheinz Stockhausen, Premier of GESANG DER JÜNGLINGE, 30 May 1956, WDR Cologne. © karlheinzstockhausen.org

ABSTRACT

Negli anni Sessanta c’è stato uno spazio limitrofo in cui le composizioni della Nuova Musica e le azioni del Nuovo Teatro musicale hanno messo in atto soluzioni contigue creando un intricato rimando tra azioni teatrali e composizioni musicali. A volte queste composizioni non pensate per la scena hanno approfondito aspetti cruciali per il Nuovo Teatro, a volte anticipato quanto si stava facendo nelle azioni teatral-musicali. Le problematiche e le riflessioni che queste composizioni permettono riguardano principalmente l’utilizzo dello spazio acustico, della vocalità e della gestualità. I primi due (spazio e voce) sono elementi che la Nuova Musica si trova a ripensare fin dagli anni Cinquanta, prima che le azioni del Nuovo Teatro musicale cominciassero a scardinare il teatro d’Opera di tradizione. Dopo un breve excursus sulle pratiche degli anni Cinquanta riferite a spazio e voce e dopo aver visto come la dimensione gestuale entri nel discorso compositivo negli anni Sessanta, prendiamo in esame alcune composizioni di Luigi Nono, Luciano Berio e Domenico Guaccero, cercando gli scambi e ripensamenti che si possono leggere nelle composizioni non direttamente pensate per la scena teatrale.

Agli inizi degli anni Sessanta le sperimentazioni dei giovani compositori nel teatro musicale tracciano, fin da subito, una netta discontinuità e, in alcuni casi, entrano in aperta conflittualità col teatro d’Opera di tradizione1. Le ipotesi teatral-musicali dei compositori scardinano le funzioni del teatro d’Opera partendo da una riformulazione dei materiali scenici, articolandoli in nuovi linguaggi.

A differenza del Nuovo Teatro2, i giovani compositori italiani, all’altezza dei primi anni Sessanta, hanno già accumulato esperienze utili a queste riformulazioni fin dal decennio precedente (ci riferiamo in particolare alle sperimentazioni sull’uso dello spazio acustico e a quelle vocali, a cui si aggiungeranno poi quelle gestuali). Da questo punto di vista il Nuovo Teatro musicale è stato anche luogo di verifica per i compositori che, se da un lato si sono posti in discontinuità confronto al teatro d’Opera, dall’altro hanno proseguito in continuità nei confronti di una serie di ricerche su spazialità e vocalità iniziate precedentemente. Negli anni Cinquanta le esperienze dello strutturalismo e del serialismo integrale3 che si sono sviluppate soprattutto nelle pratiche dei giovani compositori che hanno frequentato gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt4 – tra cui i compositori di cui ci occuperemo in questo studio – non sembrano interessate alla dimensione teatral-musicale. Come sottolinea Andrea Lanza, il principio di composizione seriale viene assunto «come liquidazione dei valori stessi dell’espressione, alla ricerca di un linguaggio oggettivo e predeterminato che sollevi finalmente il soggetto da ogni responsabilità»5. Se da un lato è vero che serialismo e strutturalismo procedono verso un livello d’astrazione sempre maggiore, dall’altro è proprio in questo momento che nella Nuova Musica spazio, voce e poi il gesto subiscono un riposizionamento radicale.

Nel serialismo integrale ogni parametro sonoro (altezza, timbro, intensità, ecc.) è utilizzabile all’interno di una serie razionalmente determinata e fatto proliferare attraverso procedure combinatorie. Anche lo spazio diventa un parametro serializzabile e così la Nuova Musica comincia ad interessarsi più organicamente allo spazio acustico6. Negli stessi anni l’introduzione della musica elettroacustica e le sue successive possibilità tecniche e tecnologiche, portano ad un uso sempre più creativo e fortemente espressivo dello spazio acustico7. Con la musica concreta, elettronica ed elettroacustica8, la dimensione spaziale del suono diventa una procedura fondamentale del fare compositivo.

Il discorso sullo spazio però assume una dimensione rilevante solo quando questa musica migra dalla trasmissione radiofonica alla sala da concerto. In questo momento «lo spazio, il movimento spaziale del suono, assume quindi il compito di realizzare un rapporto diverso ma sostanziale a definire una nuova forma drammaturgica e ricettiva della musica»9.

È nel 1956 con Gesang der Jünglinge di Karlheinz Stockhausen che la dimensione spaziale di trasmissione dei suoni diventa elemento compositivo. Ogni suono e gruppi di suoni individuati sono così orientati ed emessi in sala da diverse direzioni10. Così la dimensione spaziale dell’ascolto non proviene più da una frontalità prospettica. Proprio l’abbattimento della monofocalità dell’ascolto attraverso la ricerca di uno spazio drammaticamente acustico, quindi utilizzando procedure di spazializzazione11, sarà uno degli elementi caratterizzanti del Nuovo Teatro musicale. Quando parliamo di spazializzazione intendiamo «il controllo della mappa sonora soggettiva che l’ascoltatore ricostruisce a partire dai segnali acustici che investono l’apparato uditivo»12. È nell’ambiente in cui il suono è trasmesso che avviene una drammatizzazione del movimento acustico che attraversa lo spazio e lo interpreta facendolo entrare in risonanza con la percezione dello spettatore che si trova così ad esperire la sua presenza tramite rapporti intensivi13 scaturiti dalle condizioni propriocettive e dall’immagine acustica. Nella triangolazione tra suono, immagine e spazio, è il suono a essere elemento privilegiato della propriocezione, della definizione di uno spazio esperibile non solo da un punto di vista uditivo ma anche tattile. Il suono diventa dimensione interattiva dello spazio tracciando percorsi tra il luogo e i corpi che lo abitano, modificandosi in queste traiettorie dove emissione e ascolto rappresentano dei vettori di soggettivazione14. Possiamo intuire come, attraverso un uso creativo della spazializzazione, in contrapposizione all’uso commerciale che tende a una standardizzazione dell’ascolto (pensiamo ad esempio al Dolby surround), l’ambiente possa farsi espressione di una ricerca profonda sia sulle valenze materiche del suono sia su quelle drammatiche.

Il secondo elemento della ricerca musicale degli anni Cinquanta, che qui ci interessa sottolineare, è la sperimentazione vocale strettamente collegata al nuovo rapporto che viene ad instaurarsi col testo verbale per musica15. Esaminiamo alcuni esempi: in Il canto sospeso del 1956 Luigi Nono sottopone il testo verbale16 ad una scomposizione fonetica funzionale alla tecnica dei cori spezzati dove la parola viene scomposta nelle varie voci del coro. Scomposizione che ritroveremo non solo nel suo teatro musicale ma anche nel Nuovo Teatro17. Nel 1958 Luciano Berio realizza la prima composizione elettroacustica in cui l’unico elemento sonoro impiegato è la voce umana: Thema. Omaggio a Joyce. La voce registrata, manipolata attraverso modulazioni e filtraggi, tagliata e rincollata su nastro, diviene voce nella macchina come l’ha definita Agostino Di Scipio, voce irrimediabilmente plurale18.

In questo modo la voce viene utilizzata come materiale plastico sottoponibile a diverse trasformazioni che ne accentuano le possibilità espressive. Accanto alle riflessioni sulla voce, Thema ci dà l’occasione di riflettere anche sul rapporto musica/testo. Il progetto da cui la composizione scaturisce è un programma radiofonico dal titolo Omaggio a Joyce: documenti sulla qualità onomatopeica del linguaggio poetico, curato da Berio assieme a Umberto Eco. L’interesse dei due autori è rivolto alle peculiarità acustiche dell’incipit dell’XI capitolo dal titolo Sirens dell’Ulisse di Joyce e orientato verso la possibilità di una sua interpretazione musicale attraverso strutture formali che percorrano parallelamente quelle messe in atto da Joyce. Possiamo considerare l’operazione una lettura fedele del testo che ne attua le possibilità implicite: è la struttura del testo a funzionare da traccia “drammaturgica” per lo sviluppo delle azioni vocali che Cathy Berberian registra e Berio trasforma. Nelle parole del compositore:

Con Thema mi interessava ottenere una nuova forma di unione fra linguaggio parlato e musica, sviluppando le possibilità di una metamorfosi continua dall’uno all’altra. Attraverso una selezione e una riorganizzazione degli elementi fonetici e semantici del testo di Joyce, la giornata di Mr. Bloom a Dublino (sono le quattro del pomeriggio, all’Ormond Bar) prende una direzione diversa in cui non è più possibile distinguere tra parola e suono, tra suono e rumore, tra poesia e musica, ma dove ancora una volta diveniamo consapevoli della natura relativa di queste distinzioni e dei caratteri espressivi delle loro cangianti funzioni19.

Qui sono le forme sonore a creare un rapporto complesso tra voce fenomenologica, voci nella macchina e testo letterario, traducendo «l’ascolto del linguaggio joyciano in nuove forme del fare»20. Nelle riflessioni su questa composizione Berio intravede nuove potenzialità aperte dal trattamento elettroacustico della voce come la possibilità, un giorno, di creare «uno spettacolo totale»21. Nel Nuovo Teatro musicale le pratiche sperimentali sul corpo vocale, quelle in cui la grana sonora è esposta in quanto tale, in quanto «corpo nella voce che canta»22, saranno tra le principali acquisizioni influendo anche sul trattamento del testo verbale. Infatti la scomposizione fonetica, il trattamento elettroacustico della voce e le pratiche vocali sperimentali segnano una prima frattura con la linearità di un testo utilizzato per musica e poi per la scena. Queste tecniche accorciano la distanza tra oggetto musicale e oggetto letterario così che «la parola perde progressivamente il proprio connotato referenziale per avvicinarsi al suono, anzi suono e parola si fondono […] ed emerge l’esigenza di un senso diverso e contrapposto alla significatività del linguaggio»23. Se questo passaggio della parola nei luoghi del «prelinguistico, del fonetico e del gestuale»24 influenza la scelta e la composizione di testi per musica, nel caso del Nuovo Teatro musicale sarà di maggior peso, soprattutto per quanto riguarda la questione del “libretto”25. Scomposizione fonetica, trattamento elettroacustico della voce e tecniche sperimentali di emissione diventano, dagli anni Sessanta, una prassi consolidata nel Nuovo Teatro musicale. Spazio, voce e conseguentemente il trattamento di un testo per musica sono quindi i primi elementi che si muovono verso la teatralizzazione delle pratiche musicali. Ciò, tuttavia, avverrà appieno solo negli anni Sessanta con l’affermarsi della musica gestuale e del Nuovo Teatro musicale. Ci sono però altri due fattori che spingono verso questi indirizzi.

Con riferimento alla musica gestuale, che sarà per alcuni compositori come Domenico Guaccero e Sylvano Bussotti una forma propedeutica al loro teatro musicale, la sua ipotesi dipende da una doppia circostanza: da un lato dalla crisi del linguaggio musicale, dall’altro dall’esperienza elettroacustica. La crisi del linguaggio musicale, portata agli estremi dall’esperienza del serialismo integrale attraverso la disgregazione di tutti gli elementi del fatto sonoro, ha portato ad una risposta compositiva metacritica e a tratti ironica che ha trovato nello scollamento tra gesto e risultato sonoro una possibile reazione alla negazione dell’espressività del serialismo26. La scrittura d’azione, ovvero una serie di istruzioni su come agire al di là del risultato sonoro, diventa abituale in queste composizioni che cominciano ad assomigliare sempre più a canovacci teatrali, dove la progettazione dell’evento prende il sopravvento nei confronti del risultato sonoro27. In queste composizioni, come scrive Alessandro Mastropietro, «i gesti strumentali e le azioni rituali dell’evento concertistico sono elevati a parametro significativo e organizzato dall’autore, assumendo essi la funzione di spia della crisi del linguaggio»28. L’esperienza elettroacustica, invece, con la sua doppia dimensione di suono registrato ed esecuzione dal vivo dello strumentista, fa risaltare la gestualità dell’esecutore, che così ha acquistato «uno spessore fisico e un’evidenza scenica che si sovrappongono, amplificano o addirittura deformano la trama musicale, ipotizzando soluzioni di teatro gestuale che dovranno di lì a poco precisarsi»29.

A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta l’altro fattore è il ribaltamento delle rigide prassi strutturali e seriali nel loro opposto:

[…] nella programmazione della casualità, nella poetica del fortuito e del provvisorio, che ha finito per coinvolgere non soltanto il momento esecutivo, ma anche l’atto compositivo (sofisticati procedimenti di sorteggio, concezione della partitura come opera grafica, eccetera); estremo appiglio per una musica sviluppatasi nel senso della rinuncia ad ogni intenzionalità soggettiva è stato infine l’inserimento nell’opera d’arte del flusso esistenziale e della dimensione vitalistica, attraverso le molteplici esperienze di action music, di “gestualismo” e di body art30.

Se nuove tecniche, nuove tecnologie e nuove prassi musicali, sembrano aprire prospettive drammaturgiche inedite, negli anni Cinquanta i giovani compositori non sembrano molto interessati ad utilizzare queste potenzialità nel teatro musicale, come invece avverrà dagli anni Sessanta.

Abbiamo dunque visto come già negli anni Cinquanta alcune composizioni musicali permettano di riflettere su aspetti fondamentali per il Nuovo Teatro musicale e non. Quali scambi e ripensamenti che riguardano le ipotesi teatrali è possibile leggere nelle composizioni non direttamente pensate per la scena negli stessi anni in cui i compositori si sono occupati anche di Nuovo Teatro musicale? Se negli anni Sessanta e Settanta il Nuovo Teatro Musicale in Italia ha sperimentato le possibilità dei materiali teatrali e teatralizzabili configurando nuovi linguaggi che ritroviamo nelle azioni, di volta in volta sceniche, musicali, mimiche, gestuali (come spesso i compositori definivano i loro spettacoli)31, possiamo affermare che anche in alcune composizioni musicali realizzate negli stessi anni questo processo sia in evidenza, configurandosi come una strategia di una “diversa” scrittura scenica32. Alcune composizioni musicali dove il rapporto con lo spazio, quello tra performer e personaggio vocale e le possibilità di una drammaturgia degli attori e dei cantanti vengono esplorati a fondo, come Sequenza III di Berio, A floresta é jovem e cheja de vida di Nono o gli Esercizi di Guaccero, sfuggono rispetto ad una precisa collocazione perché non sono azioni sceniche, ma ne sviluppano molte conseguenze e/o ne premettono in parte alcune delle strategie. Tutto ciò è ricollegabile sia a quelle sperimentazioni già avviate negli anni Cinquanta sia a quei complessi movimenti, veri e propri sismi, che coinvolgono le prassi artistiche in quegli anni, liberando gli autori da qualsiasi imposizione preliminare e aprendo prospettive transdisciplinari. Così i codici linguistici tendono a deflagrare, creando sconfinamenti tra le arti, anche quando il progetto dell’operazione (composizione, pittura, installazione, poesia ecc.) non è pensato come evento teatralizzabile. A questo punto non si tratta più di unire varie arti, seppur nella loro autonomia, ma di aver introiettato delle problematiche e delle necessità che sembrano coinvolgere l’arte di ricerca nel suo insieme.

Luigi Nono: voce, spazio e prassi laboratoriale

Nell’azione scenica Intolleranza 1960 Nono è ricorso ad un sistema formato da quattro gruppi di altoparlanti dislocati in sala che spazializzano i suoni elettronici e le voci del coro registrate su nastro, composte con la tecnica dei cori spezzati. I fonemi così vengono suddivisi tra le varie parti del coro subendo quindi un doppio processo di spazializzazione33. La successiva ricerca di Nono sulla costruzione di uno spazio drammaticamente acustico, soprattutto in rapporto ai suoni vocali, avviene però fuori dal teatro musicale in composizioni come La fabbrica illuminata, A floresta é jovem e cheja de vida e Y entonces comprendìo.

Appunti di Luigi Nono per La Fabbrica Illuminata. © eredi Luigi Nono www.luiginono.it
Appunti di Luigi Nono per La Fabbrica Illuminata. © eredi Luigi Nono www.luiginono.it

Il “monodramma” per voce femminile e nastro magnetico a quattro piste, La fabbrica illuminata, presentato il 15 settembre 1964 durante il XXVII Festival Internazionale di Musica Contemporanea de La Biennale presso il Teatro La Fenice di Venezia, nasce dal progetto teatrale Diario italiano avviato tra Luigi Nono e Giuliano Scabia nel 1962, poi naufragato per la politicità del testo che vide il Teatro La Scala (committente dello spettacolo) ritirarsi34. Nel Diario italiano le situazioni35 erano pagine della storia recente – inchieste sulla Fiat e sulla condizione operaia, il disastro del Vajont, ecc. L’idea della forma “diario” serviva a superare la narrazione lineare e l’atteggiamento realista-psicologico in favore di momenti aperti. «Concepimmo le scene come lavagne da scrivere, grandi pagine da riempire di segni-suoni»36 dice Scabia. Il testo, nato da un continuo confronto tra i due autori, subì uno stravolgimento della forma quando cominciò ad essere sottoposto alla scomposizione fonetica, scomposizione che fu importante nel teatro successivo di Scabia37.

Interrotto il progetto Diario italiano e partendo proprio da una situazione di tale progetto, i due autori hanno realizzato La fabbrica illuminata38. In quegli anni di dure lotte sindacali Nono è riuscito a portare in teatro lo spazio della fabbrica attraverso le registrazioni del «paesaggio sonoro del mondo operaio»39 effettuate presso l’Italsider di Cornigliano:40

[…] una volta nella realtà tumultuosa e incandescente di Cornigliano, ne fui sconvolto non tanto per la spettacolarità acustica e visiva apparentemente fantasiosa del laminatoio a caldo e di quello a freddo, o per la implacabile ritualità negli altiforni per la colata, ma proprio, non restandone affascinato astrattamente, per la violenza invece con cui in quei luoghi mi si manifestava la presenza reale operaia nella sua complessa condizione41.

Nella Fabbrica non ci sono più personaggi come in Intolleranza 1960 e la dimensione corale su nastro, che è rappresentazione collettiva, si trova ad essere preponderante. Nella composizione troviamo tre tipi di materiali: concreto, elettronico e vocale. La voce è sia dal vivo (non amplificata) che su nastro (spazializzata) dove ci sono anche i suoni della fabbrica misti a materiale originale registrato in studio e altre varie interpretazioni «registrate cantate-mormorate-gridate-dette ecc., del testo sia da parte del coro della Rai di Milano diretto da Giulio Bertola che dalla mezzosoprano Carla Henius»42. Con La fabbrica illuminata Nono da una parte ripropone una situazione simile a quella di Intolleranza 1960, ovvero una spazializzazione su quattro piste predisposta all’emissione delle voci corali e del materiale concreto ed elettronico, dall’altra introduce la “regia live” per la gestione delle quattro piste che trasmettono il contenuto acustico agli altoparlanti43, spesso attraverso un uso del suono che tende alla saturazione, in una sorta di aggressione drammatica data dall’immagine acustica. Nono infatti porta spesso il volume del suono verso la soglia del dolore, facendo distorcere il suono ed esaltandone la componente drammatica fisicamente44. Utilizzare dinamiche sonore così elevate equivale ad immettere apticamente45 ancor più gli spettatori nell’evento, in questo caso a farli entrare nella fabbrica, coinvolgendo non solo l’udito ma il tatto, soprattutto attraverso l’uso delle basse frequenze. Questo trasportare un mondo esterno nella sala è possibile poiché l’ascolto è collegato alla drammatizzazione dello spazio. C’è un continuo movimento del suono tra le fonti, «segnali svariati ma stretti in vortici sonori che concentrano e decentrano la materia acustica secondo un gioco cangiante di spessori: gioco che non allinea gli eventi ma li fa ribollire in una trascinante spirale»46. Questo gioco continuo nello spazio acustico nel finale scompare per lasciar spazio alla voce del soprano, facendo crollare tutto lo spazio acustico fin lì creato. L’uso dello spazio acustico si fa più complesso e preannuncia le composizioni a venire dove dinamismo spaziale e prassi laboratoriale saranno al centro della drammaturgia del compositore veneziano.

Con A floresta é jovem e cheja de vida, composizione del 1966 nata da un progetto teatrale pensato da Nono assieme a Giovanni Pirelli (e poi naufragato)47e Y entonces comprendió, del 1969-70, alla ricerca delle valenze drammatiche dello spazio acustico si aggiunge un rapporto del tutto nuovo con attori e cantanti: prende cioè avvio una prassi laboratoriale in cui non c’è più un passaggio da autore a interprete, ma una costante relazione fatta di feedback tra compositore, attori, cantanti e tecnici del suono; relazione mutevole e evenemenziale a tal punto da non permettere al compositore di scriverne una partitura.

Luigi Nono, A floresta 1966. © eredi Luigi Nono www.luiginono.it
Luigi Nono, A floresta 1966. © eredi Luigi Nono www.luiginono.it

In A floresta é jovem e cheja de vida il compositore utilizza solamente testi documentari suddivisi in testi da recitare dal vivo da attori e soprano – “undici momenti di lotta antiimperialista”48, ovvero frasi di operai italiani e statunitensi, studenti, partigiani e combattenti rivoluzionari del Sud America, ecc. – e testi registrati su nastro magnetico – frammenti dell’appello del comitato americano per la cessazione della guerra in Vietnam affidati ad attori e soprano, ed Escalation as a strategy, testo redatto dall’esperto di difesa militare Herman Kahn per conto del Ministero della difesa degli Stati Uniti – con lo scopo di creare destabilizzazione nel paese49 – affidato agli attori del Living Theater50. Questo materiale documentario viene direttamente trasformato in composizione musicale e la novità consistente, come sottolinea Veniero Rizzardi, è che «i testi selezionati vengono dapprima proposti agli interpreti e vengono poi plasmati compositivamente a partire da e in stretta dipendenza dal modo caratteristico in cui l’interprete se ne è appropriato»51. L’elaborazione drammaturgica avviene attraverso una parola che è già suono. Nelle registrazioni degli attori del Living Theater alle prese con Escalation as a strategy la scomposizione-ricomposizione timbrico-spaziale che Nono aveva avviato fin dal 1955 con Il canto sospeso non avviene più attraverso la scrittura ma attraverso un metodo laboratoriale, in cui le prove con gli attori e con i mezzi elettronici di produzione e diffusione del suono mirano a creare «la forma della comunicazione adatta a ciò che vuole essere comunicato»52. Come ricorda Pestalozza per far ciò viene sperimentato un metodo “in tempo reale” ancor prima che i mezzi elettronici potessero dare pienamente questa disponibilità. Le invenzioni linguistiche di Nono mirano ad un uso ideologico dei mezzi tecnologici, ad esempio in relazione all’uso dello spazio utilizza i mezzi di amplificazione (microfoni e altoparlanti) «emancipandoli dai compiti di mera trasmissione e riproduzione»53 per renderli partecipi e attivi, attuali «ed è questa attualità ad esigere una tecnica agile, mobile, che consenta di intervenire, di partecipare»54. Il materiale, quindi, deriva dalla ricerca tecnica avviata tra interpreti e compositore. Nono così critica la “parola” attraverso tecnica e linguaggio, ne giudica l’uso concettuale e acustico del suo impiego quotidiano. Così

[…] la scomposizione fonetica diventa condizione liberatrice della riconduzione del suono/significato della parola, dell’uso acustico/significativo del testo. […] il suono, la voce, prendono posizione verso il testo – prendendola proprio acusticamente –, mirano al vero essere, ideale, a denudare il falso mondo reale55.

Nell’episodio del Living Theater, l’Escalation, questa tecnica permette di disattivare il testo, «gli viene tolta capacità sociale»56, scrive Pestalozza. Pensare e porre la voce come idea drammaturgica vuol dire ripensare il rapporto con il testo, superare l’ideologia della voce-testo per fendere il potere del linguaggio attraverso la disarticolazione che scopre nuove direzioni nel testo. Scrive Nono:

[…] il Living era veramente una violenza esplosiva. Una delle loro espressioni più violente, che io ho usato nella Floresta, era la “lettura del dollaro”. Si limitavano a leggere i numeri della serie, il nome della banca e le poche altre cose che si possono leggere sulla banconota americana, ma i vari modi di dire i numeri, di gridarli, sussurrarli, i rumori dei passi, delle corse tra gli studi di registrazione, i canti improvvisi, interrotti costituivano una specie di vari campi magnetici che si allargavano spaziando sempre più57.

Nono in una conferenza pubblica del 1959, riferendosi alla discussione sull’improvvisazione musicale che veniva praticata a Darmstadt, ricorre alla pratica attoriale della commedia dell’arte per mettere in discussione concetti come “libero” e “spontaneo”, puntando su un’improvvisazione in cui lo spazio fisico e relazionale diventa il il focus su cui costruire l’improvvisazione58. Il compositore applicherà questa modalità operativa nella sperimentazione collettiva nel lavoro su A floresta é jovem e cheja de vida e su Y entonces comprendìo. La prassi laboratoriale che si viene a creare con attori, cantanti, musicisti, autore e tecnici del suono porta a sviluppare «la sensibilità per la spazializzazione del suono attraverso il gesto teatrale»59.

In queste composizioni inoltre è ben presente l’insegnamento del teatro di Mejerchol’d. Del regista russo Nono sottolinea, oltre che quella politica, la dimensione laboratoriale dove la reiterazione collettiva porta alla scrittura non di un copione ma di una memoria psicofisica. Questo è il metodo delle composizioni che qui stiamo prendendo in esame: «assumendo il corpo e il mondo della prassi come sedimento mnestico, la genesi di un’opera può abbandonare la prescrizione univoca della scrittura per aprirsi alla sperimentazione collettiva»60. Così il lavoro si forma in una dimensione performativa collettiva. Uno dei problemi principali è la sua trasmissione e infatti Nono non ha lasciato partiture di riferimento. La teatralità intrinseca di questa composizione viene così riassunta da Rizzardi:

In A floresta Nono giunge così a comporre direttamente con e sull’esecutore, in un procedimento condotto con tale spontanea coerenza, che la formazione del processo viene infine incorporata all’esecutore, alla sua memoria, al punto che una partitura non sarà infine nemmeno necessaria. Dal punto di vista delle facoltà rappresentative di una musica così concepita, la conseguenza più importante è che la presenza degli esecutori acquista una consistenza scenica per sé61.

Mentre Nicola Buso aggiunge

[…] la scelta di lavorare sulla specificità individuale di ogni singola voce anche e soprattutto nella sua relazione all’ascolto con le altre voci, con il sistema elettroacustico e con lo spazio conduce, nel caso specifico di Y entonces comprendìo, all’assenza di una partitura: i quaderni d’appunti […] si avvicinano piuttosto che alla prescrizione di una partitura musicale, al copione di un attore e a un quaderno di regia teatrale: il riferimento al teatro non ha (solo) valenza poetica ma anche – soprattutto – pratica62.

In A floresta é jovem e cheja de vida e Y entonces comprendió l’esperienza sul suono dislocato in sala e la sua dinamizzazione viene portata a nuovi risultati da Nono attraverso i suoi metodi “nuovi”. Nono ricerca una scena che immerga lo spettatore e non lo lasci solo di fronte allo spettacolo come avviene nei teatri all’italiana. In Y entonces comprendìo per la prima volta, grazie alla creazione di direzionatori acustici realizzati da Giovan Battista Merighi, il compositore ha la possibilità di realizzare una vera e propria dinamizzazione dello spazio acustico. Si configurano così nuove funzioni del suono spinte a testare i limiti della percezione, a creare nuove scene acustiche e stabilire nuovi rapporti con le architetture plastiche che immagine acustica e immagine visiva vanno a costituire. Lo spettatore viene immerso in una dimensione fonica inedita, dove spazializzazione interna ed esterna del suono avviano una dialettica che Francesco Galante definisce «una cinetica del suono che amplifica l’esperienza dell’ascolto»63. Nono è interessato a far muovere le parole e i loro suoni nello spazio, quindi a realizzare ascolti drammatizzati su più piani. Per tale motivo Galante definisce questi lavori come «teatro sonoro virtuale»64.

Il gesto vocale in Luciano Berio

Luciano Berio nel 1966 con Sequenza III per voce sola cerca una via per ampliare l’espressione vocale e la sua fenomenologia attraverso un’espansione del registro espressivo che passa principalmente per l’immissione di nuovi materiali musicali e componenti teatrali riferiti al gesto vocale. Vedremo cosa intenda Berio per gesto vocale, anticipando subito che non si tratta di gestualità (panto)mimica, ma di espressione dinamica di un’intenzione e di una realtà ritualizzata65 dalla ripetizione. In altre parole un’azione e un linguaggio. Sequenza III per voce fa parte del ciclo delle XIV sequenze che Berio ha composto tra il 1958 e il 2002, in cui ha esplorato le tecniche strumentali in una nuova sintesi che fa dialogare tradizione e innovazione con le possibilità del rapporto tra strumento e musicista. L’abilità tecnica richiesta, le possibilità interpretative che lasciano ampio spazio al musicista e l’utilizzo dello strumento musicale sempre in bilico tra uso tradizionale e non convenzionale fa di queste composizioni degli esperimenti in cui la fisicità del mezzo musicale e del musicista sono messi a tema. Farlo con la voce implica che questi due coabitino in una stessa unità irrimediabilmente scissa tra significato e suono, tra voce e phonè. Citando direttamente Berio «Sequenza III può anche essere considerata come un saggio di drammaturgia musicale la cui storia, in un certo senso, è il rapporto fra l’interprete e la sua stessa voce»66.

Quello che si mette in azione è la separatezza tra attore e personaggio, tra performer e personaggio vocalico. Lo scopo è spezzare il rimando a sé costitutivo della voce attraverso un conflitto reale tra personaggio vocale e corpo performativo, tra l’altro nella voce e la voce dell’altro, con tutti i conflitti emotivi espressamente segnati in partitura67. Il personaggio vocale qui si fa diaframma intersoggettivo attraverso l’esecuzione. Come notato da Philippe Albèra68, c’è uno sviluppo dell’individuo inteso come personaggio vocale. È proprio il gesto vocale che mostra questa scissione. Quel tipo di gesto che Jean-François Lyotard intende come

[…] l’esperienza di un senso in cui sentito e senziente si costituiscono in un ritmo comune, come i due margini di una scia […] il gesto viene sperimentato, vissuto, o in ogni caso struttura il vissuto, dipende da un livello d’incoscienza che non è oggetto di rimozione, ma soggetto di costituzione69.

Sequenza III può essere vista come una scena drammatica in cui c’è una messinscena della voce e il gesto vocale è il vettore principale di senso sorretto dalla tecnica. Troviamo qui un riferimento al teatro del secondo novecento, in particolare con quanto scrive Valentina Valentini: «il corpo è assunto a protagonista di un teatro in cui non sono più i personaggi ad avere una voce, sono le voci, ovvero i modi vocali del protagonista (mormorii, soffi, tutta la variegata gamma dei gesti sonori) a diventare i veri personaggi»70. In Sequenza III l’azione vocale è il personaggio con cui l’interprete71 si rapporta. La performance comincia con l’ingresso della Berberian che entra borbottando tra sé e sé; il borbottio è il segno drammaturgico di questo rapporto.

Give me a few words for a woman
to sing a truth allowing us
to build a house without worrying before night comes72

Cathy Berberian in Sequenza III di Luciano Berio. © cathyberberian.com
Cathy Berberian in Sequenza III di Luciano Berio. © cathyberberian.com

Il testo di Markus Kutter è un testo modulare, data la possibilità di lettura pluridirezionale su più assi quali verticale, orizzontale, obliquo. Lo stesso Berio definirà queste parole come sceniche, «considerando però che la scena era costituita da un campo piuttosto ristretto e non troppo ambiguo di associazioni fonetiche e semantiche»73. Il testo viene frammentato in diverse unità che attraversano vari gradi d’intelligibilità: dai gruppi di parole alla singola parola, da una sua spezzatura ai fonemi scritti in notazione fonetica74. Berio introduce tra i materiali componenti e comportamenti extramusicali prelinguistici presi dalla dimensione quotidiana della voce come risate, colpi di tosse, ecc. I gesti presenti nell’opera hanno una funzione sonora di per sé intrinsecamente drammaturgica. Il teatrale non si aggiunge ma è parte costituente della drammaturgia implicita della composizione. Come scrive Uvietta c’è «una disponibilità del gesto a retrocedere allo stadio di materiale»75. L’andamento del brano dimostra una certa organicità narrativa d’insieme, dal parlato si sviluppa la vocalità cantata e dai fonemi le parole.

Torniamo al testo per arrivare al gesto vocale. Il testo, come materiale di base, subisce questa destrutturazione da cui partono due tipi di azioni, quelle cantate e quelle parlate. Nelle prime troviamo suoni che poggiano sui fonemi e canto intervallare su sillabe e parole, nelle seconde troviamo veloci articolazioni sillabiche e fonetiche e azioni vocaliche paralinguistiche come tossire, piangere, ridere. Questo livello d’azione introduce un’ulteriore caratteristica dei gesti vocali: il gesto vocale è universale nel suo essere legato ad emozioni specifiche già esperite e, in quanto tale, non necessita di traduzioni. I gesti pre-verbali non mirano alla mimica ma a degli attributi emotivi come nel caso della risata per la quale possiamo trovare in partitura delle prescrizioni verbali come nervosa, tesa, ansiosa. Questi sono inviti all’oggettivazione di uno stato emotivo e psicologico, non indicano un rapporto mimetico tra interprete e personaggio vocale, bensì il suo coinvolgimento che deve trovare la propria drammaturgia.

La concezione musicale di Berio è processuale e su questa processualità s’innesta il gesto vocale, portatore di un successivo livello di proceduralità, di stampo drammaturgico: «ogni gesto è sempre la traccia di processi che si sono già prodotti»76; ha una sua storia, che è anche quella dell’interprete. Gesto vocale come memoria attiva quindi, dipendente dal contesto fenomenologico in cui è inserito. Agire sul contesto per far agire il gesto, «utilizzare il gesto per quello che può eventualmente diventare»77. Quello che può eventualmente diventare il compositore lo definisce come “cortocircuito” tra gesto e contesto. In questa maniera il gesto vocale si configura «come personaggio, come teatro e come parametro di un rituale»78, scrive Berio. La sua prospettiva è antropologico-linguistica: questo gesto non è qualcosa di spontaneo ma qualcosa che è già esistito, che ha una memoria e  che lo individua come residuo di atto linguistico79 già esperito ed esperienziale per chi lo fa e chi ne fruisce, è comunicazione e condivisione, intenzionalità e ascolto. Non possiamo non pensare al saggio Restoration of Behavior80 di Richard Schechner dove «la figura del performer […] implica nell’unità del soggetto la duplicità del ruolo di operator e spectator nel performer che rivive, ricostruisce, la propria immagine, integra sé nell’altro»81. Fiamma Nicolodi, parlando di Sequenza III come di un teatro vocale senza scena, riconosce nella composizione «un’azione latente e una fisicità fonica di assoluta eloquenza», sottolineando «anche per il pubblico che ascolta»82. È in questa piega tra gesto vocale e contenuto, tra interprete e personaggio, tra memoria e contesto, che si svela la drammaturgia implicita di Sequenza III, la sua «teatralità intrinseca disponibile – ma non solo – alla teatralizzazione»83.

Tale poetica si ripresenta in A-Ronne84, commissionato nel 1973 dalla radio olandese Katholieke Radio Omroep in occasione del cinquantesimo anniversario del Manifesto del Surrealismo. La descrizione della composizione è “documentario radiofonico per cinque attori su una poesia di Edoardo Sanguineti”85.

Luciano Berio alla Radio di Hilversum durante le prove di A-Ronne, 1974. Sullo sfondo, da sinistra a destra, gli attori Ileana Melita, Henk Reyn, Hans Veerman, Hans Karsenbarg e il produttore Frans van Rossum. © Gisela Bauknecht, Maria Austria Instituut, Amsterdam.
Luciano Berio alla Radio di Hilversum durante le prove di A-Ronne, 1974. Sullo sfondo, da sinistra a destra, gli attori Ileana Melita, Henk Reyn, Hans Veerman, Hans Karsenbarg e il produttore Frans van Rossum. © Gisela Bauknecht, Maria Austria Instituut, Amsterdam.

Le azioni vocali messe in atto «svolgono le funzioni di una macchina da presa che, invece di esplorare un soggetto o una situazione da diversi angoli e con lenti diverse, esplora una poesia»86. Il breve testo di Sanguineti87 viene riletto circa venti volte attraverso gesti pre-verbali come piangere, sbadigliare, tossire, sussurrare, deglutire, così la voce non solo modifica ma approfondisce le tematiche interne del testo (con comportamenti vocali ad esempio violenti o intimi). Le dodici scene in cui sono suddivisi i gesti vocali espongono varie modalità come la lettura al contrario, la suddivisione arbitraria, la scomposizione delle parole in vocali e consonanti, distribuite in diversi modi tra i performer che così «diventano pirotecnici generatori di suoni e rumori, diventano umoristi, cantanti, acrobati delle inflessioni, del mimetismo e della parodia»88. La drammaturgia di A-Ronne si compone di situazioni trasformate in comportamenti vocali. Le scene sono composte dalla sola voce e dallo spazio che la voce occupa (nella dimensione dello studio radiofonico questo è reso possibile dallo spostamento dei corpi in prossimità o in lontananza dai microfoni)89. In una lettera di  Edoardo Sanguineti indirizzata a Berio, citata nello studio che Mila De Santis dedica ad A-Ronne, leggiamo che il testo «è urlabile, balbettabile, dialogabile, sparpagliabile, liturgizzabile, litigabile, caricaturabile, disperabile, nobilitabile, casermabile, confessionabile, rissabile, fumettabile, bofonchiabile, interrogabile, frantumabile»90. Questi aggettivi indicano chiaramente le destinazioni per le scene. Le registrazioni con gli attori sono state realizzate sia separatamente e poi rimontate, sia collettivamente in tempo reale in modo da evidenziare la dimensione live dell’interpretazione vocale degli attori (come nel combattimento dove due voci maschili utilizzano le parole del testo per fendersi in un botta e risposta millimetrico o come nella sesta scena, in cui un attore pronuncia le consonanti e uno le vocali ricomponendo le parole originali del testo). In che modo definire A-Ronne? Non è ‘ancora’ teatro, non è un radiodramma, non è una composizione musicale, è potenzialmente tutto ciò. Edoardo Sanguineti parla di «un’esplorazione delle zone critiche in cui il segno verbale si crea e si cancella, ovvero di alcune situazioni, assunte come moduli esemplari, in cui rumore vocale e carica semantica si convertono e si scollano, si incrociano e si compattano»91. Nelle note redatte il compositore definisce il tema come: l’articolazione vocale è significato92.

La funzione del testo è quella di generare diverse situazioni vocali. «Non c’è una messa in scena ma uno spazio drammaturgico che non vuole imporsi come tale ma suggerisce che anche questo A-Ronne, […] è un’esperienza dove vengono organizzati musicalmente anche i nostri comportamenti»93, dirà Berio.

1.
a: ah: ha: hamm: anfang:
in principio: nel mio
principio:
am anfang: in my beginning:
ach: in principio erat
das wort: en archè en:
verbum: am anfang war: in principio
erat: der sinn: caro nel mio principio: o logos: è la mia
carne:
am anfang war: in principio: die kraft:
die tat:
nel mio principio:

2.
nel mezzo: in medio:
nel mio mezzo: où commence?: nel mio corpo:
où commence le corps humain?
nel mezzo: nel mezzo del cammino: nel mezzo
della mia carne:
car la bouche est le commencement:
nel mio principio
è la mia bocca: parce qui il y a opposition: paradigme:
la bouche:
l’anus:
in my beginning: aleph: is my end:
ein gespenst geht um:

3.
l’uomo ha un centro: qui est le sexe:
en meso en: le phallus:
nel mio centro è il mio corpo:
nel mio principio è la mia parola: nel mio

centro è la mia bocca: nelle mia fine: am ende
in my end: run: in my
beginning:
l’âme du mort sort par le pied:
par l’anus: nella mia fine
war das wort:
in my end is my music:
ette, conne, ronne:94

La poesia è un montaggio di citazioni che ha un alto grado di scomponibilità e ruota attorno all’idea dello scorrere del tempo mettendo a tema la sua stessa struttura: è formata da tre strofe, la prima ha come tema il “principio” ed è composta da vari incipit in diverse lingue, la seconda “il mezzo”, la terza “la fine”. Se da un lato la poesia tematizza la sua struttura, dall’altro tiene conto della sua funzione processuale-modulare e della sua destinazione vocale, prendendo anche in considerazione  «il tema della struttura corporea – dove comincia il corpo umano, quale è il suo centro, quale la sua fine – , e cioè somatizzando questo tema vocale e formale»95. Nei termini bocca e ano, presenti nel testo, troviamo l’inizio e la fine di un corpo. Il tema del corpo inoltre è riscontrabile nella citazione che Barthes fa di Bataille presente nel testo dove il tema è «il corpo umano come racconto, come un tutto, che è un principio, un mezzo e una fine. A questo punto il discorso astratto diventa invece tutto rovesciato nella direzione di una straordinaria corporeità»96. Sanguineti indicherà, alla base del testo, il «principio della metamorfosi biologica del testo, del suo calarsi in una voce nella vocalità corporea»97. Abbiamo visto come questo venga trattato attraverso l’uso di gesti vocali pre-verbali come tossire, deglutire, piangere, sbadigliare, insultare, ridere, sussurrare, in modo che l’espressione vocale modifichi il senso del testo ripetuto circa venti volte nelle più diverse maniere. Per ottenere ciò il compositore realizza dodici scene in cui le citazioni sono rilette «attraverso un ampio repertorio di “citazioni” di gesti e di stereotipi vocali»98, sfruttando la circolarità e quindi la ripetizione, con variazioni attraverso diversi livelli di segmentazione e distribuzione del testo e attraverso la gestualità vocale. Così il testo può essere letto al contrario, o suddiviso arbitrariamente, o come nella sesta scena in cui «un attore pronuncia solo le vocali di una frase (aleph: is my end) e un altro solo le consonanti: a e i ai e e l f s m n d. Una perfetta e non facile coordinazione fra i due attori fa riapparire la frase, più volte ripetuta, perfettamente riconosciuta e intellegibile»99. La distribuzione invece riguarda chi legge. Nella seconda scena, ad esempio, una stessa parte è detta da cinque voci in modi diversi, mentre nella dodicesima cinque parti sono dette nella stessa maniera ecc. La ripetizione con variazione, inoltre, permette la comprensibilità del testo lungo un percorso che l’ascoltatore deve effettuare ricomponendo di volta in volta le varianti. Come scrive Berio,

A-Ronne non è solo un testo da comunicare, da ridistribuire e da manomettere: è anche un contenitore di gesti. I gesti vocali, come le espressioni del viso, non sempre hanno un valore assoluto: come uno stesso viso può apparire indifferentemente contratto dal riso o dal dolore, così uno stesso gesto vocale può suscitare emozioni diverse a seconda del contesto in cui viene a trovarsi100.

I gesti vocali indicano le tematiche delle scene, così i comportamenti di scontro, confessione-intimità, i sussurri erotici, gli atteggiamenti vocali violenti da caserma, creano un canovaccio in cui le varie inflessioni segnano i caratteri dei personaggi. Sono questi gesti ad approfondire il contenuto del testo e tutti i suoi rimandi intertestuali. Drammaturgia del testo verbale e performatività si fondono.

Domenico Guaccero: dalla musica gestuale alla despecializzazione

Tra il 1963 e il 1964 Domenico Guaccero avvia la sua riflessione sul teatro musicale sia attraverso il pensiero teorico con lo scritto Un’esperienza di “teatro musicale”101, sia attraverso la composizione delle azioni gestuali Incontro a tre (Variazioni su Ionesco), Nuovo Incontro (a tre) e Negativo. Si tratta di una serie di esperienze con cui il compositore sonda le discrasie della crisi del linguaggio musicale attraverso il genere-soglia della musica gestuale102.

Con Incontro a tre (Variazioni su Ionesco), realizzato presso l’Auditorium del Castello de L’Aquia, la crisi del linguaggio musicale viene messa in parallelo con la crisi del testo verbale che in Ionesco e negli altri autori del teatro dell’assurdo prende avvio103. I testi da Ionesco sono quelli tratti da Le sedie e da La cantatrice calva. La partitura104, un canovaccio comprendente sedici azioni descritte e alcune notazioni, «più che composto, bisognerebbe dire “progettato”: un progetto schematico, una indicazione di azioni, la cui realizzazione è affidata all’estemporaneità dei tre strumentisti. Pertanto questo “Incontro” a L’Aquila si propone come “spettacolo”. Regista: l’autore»105.

Lo stesso compositore considera l’azione gestuale uno spettacolo nonostante Incontro a tre non sia poi entrato, come le altre composizioni gestuali, nel suo catalogo di teatro musicale. L’incontro tra due pianisti e un flautista si svolge in una sequenza suddivisa in tre momenti che hanno ognuno una cesura realizzata dal buio/luce e ogni azione ha una durata cronometrata106. Il cronometraggio delle azioni porta a un’esperienza del tempo diversa in cui non è tanto la successione delle azioni quanto ciò che accade nel lasso di tempo a diventare significante. Azioni e relazioni qui sono utilizzati come materiale musicale. Non si tratta quindi di “musica per teatro” ma di una vera e propria teatralizzazione del fare musicale. Nel Nuovo incontro (a tre) Guaccero elimina la sequenza di azioni che si susseguono in uno schema lineare e realizza un gioco combinatorio in cui le varie scene, a scelta degli interpreti, sono accostabili in varie disposizioni. La messa in questione della linearità della vicenda diventa qui possibilità combinatoria: il compositore ha previsto cinque scene anche se poi ne ha composte solo tre, divise in scene-maiuscole (A, B, C) e scene-somma (a+b+c, a’+b’+c’) permutabili. Le condizioni sono che il pezzo sia aperto sempre da una scena maiuscola e che le scene-somma siano sempre tra scene maiuscole «ma sia le une che le altre possono disporsi in qualsiasi ordine di sequenza. Possono così aversi 12 tipi di sequenza per versione»107. Inoltre alcune di esse si svolgono in contemporanea. Alessandro Mastropietro sottolinea come, in questa seconda composizione gestuale, siano le azioni vocali, più che quelle gestuali, a caratterizzare il rapporto con la selezione da Ionesco108. Il Nuovo Incontro (a tre) (1964) segna inoltre l’inizio della collaborazione tra Guaccero e la soprano ‘sperimentale’ Michiko Hirayama109, protagonista delle future azioni scenico-musicali del compositore Scene del potere e Rappresentazione et esercizio. L’azione gestuale viene realizzata presso il Centro Teatro Ateneo di Roma nella rassegna Teatro, Gesto, Grafia, offrendosi come un evento che si propone di dare una panoramica e gettare un ponte tra queste esperienze e quelle più propriamente teatrali110.

Con Negativo111 l’azione gestuale supera il discorso della crisi del linguaggio per investire la crisi sociale e tecnica relativa al concerto e alla sua fruizione. Al centro dell’azione c’è una partitura scritta per e su un “divo” della musica di quegli anni, il flautista Severino Gazzelloni, in cui ciò che si realizza è tutta una serie di azioni come scendere in sala (il divo che scende tra la folla), invitare una ragazza “carina”, suonare solo quando non si è in sala (nei corridoi ad esempio), quindi mettendo in discussione la centralità monofocale dell’esecuzione in palcoscenico. Guaccero ha realizzato per Negativo una partitura-rotolo che contiene il negativo del suono112 e che ha la funzione di oggetto di scena da svolgere come un lungo canovaccio, mentre le azioni, in un foglio a parte, contengono le indicazioni per i movimenti e in parte vengono lette da Gazzelloni come testo113. Di fatto un oggetto tecnico, la partitura, diventa oggetto drammatico e le indicazioni tecniche, le istruzioni sulle azioni da svolgere, diventano testo drammatico. C’è un rovesciamento della tecnica che potremmo definire come “drammatizzazione della tecnica” Dopo la prima esecuzione avvenuta a Darmstadt, Negativo è stato presentato a Venezia e pesantemente criticato. Mettere in discussione non solo il linguaggio musicale ma la funzione e il sistema sociale del concerto ha significato cogliere un nervo scoperto. Questo passaggio intrinseco della musica gestuale da crisi del linguaggio a critica delle istituzioni non è una caratteristica solo di Guaccero e infatti Andrea Lanza, in un discorso generale sulla musica gestuale, scrive: «la provocazione, implicita nell’incongruenza del gesto rispetto alla musica, viene allora ad assumere i tratti di un’irrisione più corrosiva e perversa, che colpisce dall’interno istituzioni, consuetudini estetiche e feticci culturali mirando a svelarne l’intimo spirito reazionario»114.

Dalla metà degli anni Sessanta e fino alla fine del decennio successivo Domenico Guaccero concentra la sua attenzione sugli interpreti codificando una precisa prassi laboratoriale tesa al superamento delle specializzazioni proprie (di musicisti, cantanti, attori, mimi, compositori). Sin dalle prime composizioni gestuali, come Incontro a tre (Variazioni su Ionesco), Guaccero tenta di superare il gestualismo pantomimico per concentrarsi sulle capacità dei musicisti di saper-fare altro. In particolare in questa prima composizione del 1963 l’incontro tra due pianisti e un flautista è «destinato ad personam a Rzewski, Càfaro, e Kraber, ossia alle loro personali facoltà di interpreti e co-autori»115. Guaccero individua quindi degli interpreti e scrive su misura per loro. Dopo questa esperienza il compositore comincia a riflettere sulla possibilità di una prassi laboratoriale basata sull’interscambio di competenze personali dove è implicita un’uscita, «un’espansione dal proprio ruolo»116. La prima esperienza del genere sarà possibile all’indomani della costituzione della Compagnia del Teatro Musicale di Roma, diretta da Guaccero ed Egisto Macchi117. Due azioni sceniche dello stesso compositore, Scene del potere e Rappresentazione et Esercizio, vedono la pratica degli “interpreti multipli”, pratica che poi sarà costante anche nei suoi spettacoli successivi degli anni Settanta, quando la Compagnia non esisterà più ma la prassi sarà ben avviata.

Nei suoi scritti teorici sul teatro musicale, come anche nelle presentazioni di progetti successivi alla Compagnia, il tema della despecializzazione sarà sempre al centro come nelle Tesi per INTERMEDIA in cui il compositore chiarisce il tipo di ricerca concentrandosi sulla centralità degli “esercizi”, sia quelli da interscambiare (quindi afferenti alle diverse discipline dei partecipanti) e sia quelli della propria disciplina. Guaccero divide gli esercizi in categorie, sul suono strumentale, ovvero «esercizi di poliritmia su percussioni, di emissioni di armonici su oggetti sonori […] elettronici, esercizi con strutture strumentali “da comporre”»118 ecc., e quelli sulla voce cantata, ovvero «esercizi di respirazione, di emissione […] di “rumori” vocali»119 ecc. Quelli sul movimento, «esercizi di scioglimento o controllo disarticolato di parti del corpo, di controllo dello spazio, di movimento interpersonale […] di montaggio di “strutture” del movimento»120, e infine, sulla parola, ossia «esercizi di scomposizione fonetica, di timbriche diverse nell’emissione, di uso della parola per “concentrazione” interpersonale, per giochi verbali fra operatori e pubblico […] invenzione di nuovi usi della parola specie di improvvisazione verbale»121.

Questi stralci delle tesi ci mettono davanti una complessità e una proceduralità in cui si evidenzia l’acquisizione di una drammaturgia dell’attore specifica, come mai prima nel nuovo teatro musicale. Ezio Alovisi, regista di Novità assoluta, azione scenica di Guaccero del 1972, ricorda come in partitura «soprano danzatrice attore mimo si scambiano di continuo parti e voci»122 e dalla partitura-canovaccio123 – che si è venuta evolvendosi durante le prove col direttore e col regista – alle prove ‘gestuali’ col regista, al danzatore, mimo, cantante e attore «si chiedeva il continuo ‘scambio’ di linguaggio, di personalità, di gestualità»124. Così, mentre i linguaggi della scena proseguono nella loro autonomia, i protagonisti realizzano già quelle procedure che Guaccero elencherà sei anni più tardi nelle tesi. Già nel 1965 con l’Esercizio per attrice (attore)/mimo e quello per voce cha fanno parte di un ciclo di quattro di musica gestuale comprendenti anche esercizi per clarinetto e per pianoforte, Guaccero comincia a sperimentare modalità per l’auto-ascolto e l’auto-trasformazione del performer – che approfondirà tre anni dopo con Rappresentazione et Esercizio, espandendo queste pratiche anche agli spettatori125.  Per questi, l’esecuzione dal vivo costituisce solo una possibilità finale mentre l’accrescimento personale e la conoscenza dei propri limiti ne costituiscono il fine principale. Guaccero li definisce «prove di forza, di tensione, di concentrazione, di possibilità (non di effettualità) sonore, (“possono e non possono venir fuori”)»126. La partitura127 è composta di due fogli: il primo che, oltre alla prefazione e alla dedica, contiene il testo composto di parole e semplici frasi che hanno chiari riferimenti ironici alla sperimentazione di nuove prassi musical-gestuali128. Un approccio ironico-metacritico quindi, dove l’intensità e la dimensione del tratto e la spaziatura tra le parole indica l’andamento e le dinamiche espressive. Il secondo foglio comprende la descrizione delle azioni suddivise in moti del corpo ed eventi sonori, questi ultimi sono definiti da Guaccero come «connettivo fra la parola e il moto corporeo»129. I moti del corpo, invece, scomposti in azioni riguardanti occhi, bocca, testa, busto, bacino, gambe e, prese singolarmente, braccia, mani, dita vedono una materialità fisica sempre in tensione, dove il corpo è «sempre febbrile, ma statico»130. Il testo della prima pagina si va ad inserire nelle pause delle azioni previste nella seconda e deve essere detto «con tranquillità»131, indicazione che ci appare ironica dato che il tempo è quello prescritto nelle pause. Gli elementi della seconda pagina, moti del corpo ed eventi sonori, devono essere prodotti contemporaneamente dall’interprete. Gli eventi sonori riguardano soprattutto l’emissione vocale che passa attraverso schiocchi di lingua e di labbra, colpi di glottide, cantato con acqua, lingua sui denti, frullato dentale, soffiato, ingolato, nasale, ecc., ma non solo. Includono anche l’uso delle mani, delle dita e delle unghie in diverse combinazioni tra loro e con materiali come carta, metallo, vetro tritato, ecc. C’è tutta un’enfasi timbrica rivolta a una materialità fonica in bilico tra tatto e udito.

Se la musica gestuale ha sempre messo in risalto lo scollamento gesto-suono, in quest’esercizio Guaccero fa un passo oltre, va verso un’implementazione del corpo molto più organica dove il corpo espressivo si fa conoscitivo, dove la dimensione ‘a solo’ è aperta a possibili “disturbi” collettivi. È previsto, infatti, che gli altri esercizi possano darsi in simultaneità e «alcune azioni audiovisuali degli altri esercizi potranno essere mimate»132. Inoltre «nel caso di esecuzione d’insieme gli esercizi diversi s’incontrano solo in sede d’esecuzione ([…] non provare insieme prima dell’esecuzione) e lì interferiscono l’uno sull’altro»133. Il feedback che si viene ad instaurare tra i performer è una reazione originaria, non provata preventivamente, il che restituisce alla scena una dimensione viva e reale molto forte. In uno studio sulle composizioni vocali di Guaccero, Stefano Lombardi Vallauri scrive: «i multiformi gesti vocali di Guaccero sono in ogni caso propriamente esercizi di auto-ascolto e auto-superamento – dove il limite oltrepassato è insieme tecnico-fisiologico e psicologico-antropologico – e di incontro […] intimo, con gli altri»134. Il corpo del performer è incarnato nel senso in cui lo intende Merleau-Ponty135: apparizione di qualcosa che solo il corpo può. Se, come sostiene Erika Fischer-Lichte, «qualsiasi cosa gli artisti producano attraverso il proprio corpo vivo, lascia tracce visibili su di esso, tracce che rimandano a loro volta un processo di trasformazione»136, la dimensione a solo dell’esercizio, non esclusivamente da realizzare davanti degli spettatori, rileva l’interesse di Guaccero per qualcosa che va oltre la trasformazione per diventare auto-trasformazione.

  1. Il debutto del Nuovo Teatro musicale in Italia avviene ufficialmente il 13 aprile 1961 all’interno del XXIV Festival di Musica Contemporanea della Biennale presso il Teatro La Fenice di Venezia con l’azione scenica Intolleranza 1960 commissionata da Mario Labroca a Luigi Nono. L’azione del compositore veneziano, realizzata in collaborazione con lo scenografo Josef Svoboda e il pittore Emilio Vedova, da un’idea di Angelo Maria Ripellino, ha introdotto nel teatro pratiche e tecniche innovative importanti per il teatro di ricerca a venire, come la scomposizione fonetica, la spazializzazione acustica del suono e l’uso di diversi media visivi col fine di far convergere spazi altri nella scena. Cfr. A. I. De Benedictis, G. Mastinu (a cura di), Intolleranza 1960 a cinquant’anni dalla prima assoluta, Marsilio, Venezia 2011 e A. I. De Benedictis, Intolleranza 1960: opera o evento?, in «Philomusica on line», vol. 1, n. 1, 2001.
  2. Per un approfondimento sul Nuovo Teatro in Italia rimando a V. Valentini, Nuovo Teatro Made in Italy 1963-2013, Bulzoni, Roma 2015 e al sito web collegato. Cfr. anche G. Bartolucci, Preistoria a un nuovo teatro, in Id., Teatro-corpo, teatro-immagine (Per una materialità della scrittura scenica), Marsilio, Padova 1970, pp. 19-48. Per quanto riguarda la nascita della scrittura scenica, con cui il Nuovo Teatro riformula i codici teatrali preesistenti rimando a: G. Bartolucci, La materialità della scrittura scenica, in Catalogo del Festival Internazionale del teatro di prosa. La Biennale di Venezia, Marsilio, Venezia 1967, pp. 97-110, ora in Id., Saggi critici, a cura di V. Valentini e G. Mancini, Bulzoni, Roma 2007, pp. 93-111.
  3. G. Borio (a cura di), L’orizzonte filosofico del comporre nel ventesimo secolo, Il Mulino, Venezia 2003, in particolare i saggi contenuti nella prima parte Struttura musicale e strutturalismo, pp. 51-123.
  4. Gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt sono stati dei corsi creati nel 1946 da Wolfgang Steinecke, in cui si venne a formare il nucleo avanguardistico della cosiddetta neue musik. Nonostante molti dei partecipanti furono tra i protagonisti del nuovo teatro musicale, nell’ambiente darmstadtiano non ci fu spazio per il teatro musicale, ad esclusione, nel 1963, di due composizioni gestuali in forma teatralizzata: Sur Scene di Mauricio Kagel e Visage di Luciano Berio (quest’ultima nata come composizione elettroacustica). Per un approfondimento A. Trudu, La scuola di Darmstadt. I Ferienkurse dal 1946 ad oggi, Unicopoli-Ricordi, Milano 1992.
  5. A. Lanza, Il secondo Novecento, Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, EDT, Torino 1982, II ed. ampliata 1991, p. 98.
  6. Quando parliamo di suono e spazio possiamo riferirci allo spazio interno (quello delle dinamiche interne alle varie microcomponenti che formano il suono e i rapporti fra i suoni) e allo spazio esterno (le varie modalità attraverso cui il suono viene diffuso e ai suoi rapporti con l’ambiente in cui si propaga). Lo spazio esterno riguarda quindi le procedure di spazializzazione che possono rendere un evento sonoro più o meno immersivo.
  7. Per un rapporto tra musica elettroacustica e spazio acustico si veda P. Decroupet, Elettroacustica e nuovo spazio sonoro, in M. Vincenzi (a cura di), Drammaturgie musicali del 900. Teorie e testi, Quaderni di Musica/Realtà n. 56, LIM, Lucca 2008, pp. 335-344.
  8. La musica concreta si è sviluppata dalle sperimentazioni che Pierre Schaeffer ha realizzato presso il Groupe de Recherches de Musique Concrète (G.R.M.C.) nato nel 1951 (poi trasformato nel 1958 in Groupe de Recherches de Musicales – G. R. M.) e che vedevano la composizione come risultante da processi di manipolazione di suoni registrati. La musica elettronica, in cui i suoni utilizzati erano solo di natura sintetica e quindi prodotti da generatori elettronici, si è sviluppata nello studio Westdeuchter Rundfunk (W. D. R.) di Colonia. La musica elettroacustica, in cui il suono elettronico era accompagnato da quello acustico dal vivo, ha contribuito a sfumare la dicotomia tra le prime due, che fino alla metà degli anni Cinquanta vedeva contrapposti gli studi francesi e tedeschi. Cfr. F. Galante, N. Sani, Musica espansa, Ricordi-LIM, Milano 2000.
  9. F. Galante, N. Sani, Musica espansa, cit., p. 55.
  10. Scrive Stockhausen: «Ho tentato nella composizione Gesang der Jünglinge di configurare una nuova dimensione per la vicenda musicale. L’opera è concepita per 5 gruppi di altoparlanti che vengono disposti nello spazio intorno all’ascoltatore. È determinante per la comprensione dell’opera, da quale parte, da quanti altoparlanti simultaneamente, se diretti o verso sinistra o verso destra, se parzialmente rigidi o in moto, i suoni o i gruppi sonori vagano irradiati nello spazio», in K. Stockhausen, Musica nello spazio, in «La rassegna musicale», a. XXXI, n. 4, 1961, pp. 397-417, p. 398.
  11. Per affrontare il concetto di spazializzazione acustica dobbiamo fare due premesse fondamentali, una di ordine acustico e psicoacustico, l’altra riguardo le possibilità tecnologiche. Per quanto riguarda la prima diciamo subito che l’udito, al contrario della vista che è direzionale, s’irradia secondo un diagramma polare sferico. Quest’omnidirezionalità ci permette d’identificare la direzione di provenienza dell’oggetto sonoro e questo perché, all’origine del suono, c’è una vibrazione che si propaga nello spazio e, come scrive Carlo Serra: «Il suono ha una peculiare relazione con lo spazio: interagisce continuamente con esso, e porta dentro di sé i caratteri della sezione spaziale che occupa. Avendo andamento sferico e diffusivo, il sonoro occupa tutto lo spazio che può, portando dentro di sé le caratteristiche di un movimento che traccia le coordinate di un ambiente. Il suono racconta qualcosa di un ambiente ricco, pieno di concavità che lo amplificano: quell’aspetto materiale ci parla di un’interazione anche con la cosa, che esploriamo dal punto di vista tattile e sonoro». (C. Serra, Musica Corpo Espressione, Quodiblet. Macerata 2008, p. 17). Tutto questo ci porta, da un lato, a una dimensione sinestetica che combina le proprietà fisiche dell’udito (direzionalità, sensibilità alle frequenze, all’intensità ecc.) con quelle psicoacustiche (riconoscibilità ecc.) e con la tattilità. La pelle, infatti, è un terzo orecchio in grado di percepire le frequenze più gravi. Dall’altro lato, invece, tutto ciò ci porta alla consapevolezza che questi elementi possono essere programmati. Questo ci introduce alla seconda premessa, quella di ordine tecnologico. La nascita della registrazione prima e quella della radio poi hanno permesso la riproduzione infinita di uno stesso evento sonoro, ma anche la sua dislocazione dai tradizionali luoghi d’ascolto. L’avvento tecnologico, quindi, ha influito innanzitutto sullo spazio della fruizione: il luogo dell’ascolto.
  12. V. Lombardo, A. Valle, Audio e multimedia, Apogeo Education Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna, 2002- 2008, p. 353.
  13. Rapporti di natura evenemenziale che costituiscono eventi caratterizzati dalla presenza, orizzonti acustici in cui si sviluppa il paesaggio delle presenze oggettive. Cfr. E. Pitozzi, Figurazioni: uno studio sulle gradazioni di presenza, in Id. (a cura di), On Presence, «Culture Teatrali», n.21, I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme 2011, pp. 107-127.
  14. Roland Barthes in questa prospettiva traccia la possibilità d’appropriarsi di uno spazio attraverso la dimensione sonora. Cfr. R. Barthes, Ecoute, in Id., L’obvie et l’obtus. Essais critiques III, trad. it. Ascolto, in Id., L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici III, Einaudi 1985 e 2001, p. 237.
  15. Riguardo questa problematica rimando a G. Borio, Linguaggio e desemantizzazione in alcune composizioni vocali contemporanee, in «Musica/Realtà», a. III, n. 8, Dedalo, Bari agosto 1982, pp. 85-103 e K. Stockhausen, Lingua e musica, in V. Valentini (a cura di), Drammaturgie sonore. Teatri del secondo Novecento, Bulzoni, Roma 2012, pp. 81-111.
  16. I testi sono tratti da P. Malvezzi, G. Pirelli (a cura di), Lettere di condannati a morte della resistenza europea, Einaudi, Torino 1954.
  17. Si veda più avanti la nota n. 37.
  18. «la musica che scaturisce dalla tua voce, una volta che questa sia presa nella macchina, non è la stessa musica che scaturisce dalla mia voce. Essa segue sviluppi diversi a seconda di chi parla o canta. Le differenze interne al fenomeno acustico – cioè interne all’acùmeno – hanno sviluppi che rinviano a sguardi di volta in volta diversi, a risonanza di pensiero diverse, a relazioni umane diverse». A. Di Scipio, Voci nella macchina voci della macchina. Annotazioni su vocalità e tecnologia, in D. Tortora (a cura di), Voce come soffio, voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, Aracne editrice, Roma 2008, p. 85.
  19. L. Berio, Note a Thema (Omaggio a Joyce)
  20. A. Di Scipio, Da un’esperienza in ascolto di phonè e logos. Testo, suono e struttura in Thema (Omaggio a Joyce) di Berio, in «Il saggiatore musicale», a. 7, n. 2, 2000, p. 327.
  21. L. Berio, Poesia e musica – un’esperienza, in «Incontri Musicali», n. 3, 1958, pp. 98-111, ripubblicato in H. Pousseur (a cura di), La musica elettronica, Feltrinelli, Milano 1976, p. 125, ora in, L. Berio, Scritti sulla musica, a cura di A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino 2013, p. 254.
  22. R. Barthes, La grana della voce, in Id., L’ovvio e l’ottuso, cit., p. 265.
  23. G. Borio, Linguaggio e desemantizzazione in alcune composizioni vocali contemporanee, cit., p. 86.
  24. Ibidem.
  25. Nel Nuovo Teatro musicale il termine “libretto” acquisisce un significato problematico che pone la sua pertinenza di caso in caso. Infatti non esiste un atteggiamento omogeno nei confronti del testo verbale, ogni caso corrisponde a una determinata processualità e necessità, ma è possibile individuare alcuni punti fermi: prevalenza della tecnica compositiva del collage e del montaggio di citazioni che hanno come risultato l’assenza di una vicenda lineare che si svolge secondo le teorie classiche del dramma, la sovrapposizione di dimensioni spazio-temporali, l’assenza di dialoghi, la prevalenza della tematica sull’intreccio; assenza di personaggi definiti psicologicamente, costruiti di volta in volta come personaggi multipli, dilatati, esplosi; presenza di forme a-narrative precise e particolari come quella del catalogo e della conferenza, utilizzate per un superamento della forma drammatica e narrativa; prevalenza di tematiche politico-ideologiche, con tutti i rimandi alla contemporaneità che distruggono il secondo mondo della finzione scenica (P. Szondi, Theorie des modernem Dramas, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1956, trad. it. Teoria del dramma moderno 1880-1950, a cura di C. Cases, Einaudi, Torino 1962, p. 10), e delle riflessioni metacritiche strettamente legate al dibattito sulla crisi del linguaggio musicale che dalla fine degli anni Cinquanta è stato predominante; il testo-istruzione inteso come script, come «materiale di programmazione dell’evento spettacolare» (L. Mango, La scrittura scenica. Un codice e le sue pratiche nel teatro del Novecento, Bulzoni, Roma 2003, p. 157), come avviene negli happening e più in generale alla scrittura d’azione, caratteristica della musica gestuale degli anni Sessanta. Per un approfondimento: T. Pecker Berio, La crisi dell’opera (e del libretto) nel secondo Novecento, in A. Landolfi, G. Mochi (a cura di), Poeti all’opera. Sul libretto come genere letterario, Artemide, Roma, 2013, pp. 68-77 e M. De Santis, Le idee e le parole: orientamenti del testo verbale nel teatro musicale di avanguardia in Italia, in G. Borio, G. Ferrari, D. Tortora (a cura di), Teatro di avanguardia e composizione sperimentale per la scena in Italia: 1950-1975, Fondazione Giorgio Cini Onlus, Venezia 2017, pp. 27-58.
  26. Le composizioni che partono da questo approccio sono state chiamate gestuali, Instrumentales TheaterSichtbare Musik (musica visibile). Cfr. C. Anderson, Sperimentare con musica e scena: le prime musiche gestuali di Domenico Guaccero a confronto (Incontro a tre, Nuovo incontro (a tre), Esercizi per voce, Esercizi per attrice/attore/mimo, in D. Tortora (a cura di), Domenico Guaccero. Teoria e prassi dell’avanguardia – Atti del Convegno Internazionale di Studi, Aracne, Roma 2009, pp. 277-296.
  27. Cfr. C. Annibaldi, Musica gestuale e nuovo teatro: ritorno alla realtà, in La musica moderna vol. VII: Le avanguardie, Fratelli Fabbri, Milano 1969, pp. 129-157.
  28. A. Mastropietro, Tra improvvisazione e alea, in A. Sbordoni, Improvvisazione oggi, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2014, p. 129.
  29. A. Lanza, Il secondo Novecento, cit., p. 133.
  30. Ivi, p. 101.
  31. Cfr. M. De Santis, Opera o altro. Sul complemento del titolo nella drammaturgia musicale italiana del Novecento, in M. Vincenzi (a cura di), Drammaturgie musicali del Novecento. Teorie e testi, Quaderni di Musica/Realtà n. 56, LIM, Lucca 2008, pp. 43-103.
  32. «La strategia di una nuova scrittura scenica sta facendo impazzire un po’ tutti: dico, la strategia di una scrittura “povera” e “autentica” che da più parti e in diverse direzioni si sta organizzando. E dentro ci stanno in tanti: pittori e scultori, da Ceroli a Kounellis a Pistoletto, e poi i cineasti americani dell’expanded cinema da Dewey a Vanderbeeck, da Gruen a Whitmann a Geldzahler, e ancora musicisti come Bussotti e Kagel o quelli in particolare di Musica elettronica viva», G. Bartolucci, Strategia di una “diversa” scrittura scenica, in «Teatro», n. 1, 1969, p. 11.
  33. Cfr. L. Nono, Alcune precisazioni su Intolleranza 1960, in «La rassegna musicale», a. XXXII n. 2-4, 1962, pp. 277-289, anche in L. Nono, La nostalgia del futuro. Scritti scelti 1948-1986, a cura di A. I. De Benedictis e V. Rizzardi, Il Saggiatore, Milano 2007, pp. 97-110, e in L. Nono, Intolleranza 1960, a cura di A. I. De Bnedictis, Marsilio, Venezia 2011, pp. 9-19.
  34. Cfr. Il Diario italiano e la Fabbrica illuminata, discorso tenuto da Giuliano Scabia presso l’Accademia dei Lincei. L’autore racconta come Diario italiano fu ideato e scritto fra il ‘62 e il ‘64, su richiesta di Ghiringhelli e Siciliani del Teatro La Scala. Quando però fu presentato il testo, La Scala si ritirò e l’opera rimase incompiuta. Documento consultato presso l’Archivio personale di Giuliano Scabia a Firenze l’11 luglio 2017.
  35. Nono fin dalla progettazione di Intolleranza 1960 si rifà esplicitamente al teatro di situazioni teorizzato da Jean-Paul Sarte. Cfr. J-P. Sartre, Pour un théâtre de situations, in «La rue», n. 12, Parigi 1947.
  36. G. Scabia, Composizione de “La fabbrica illuminata” di Luigi Nono e lettere del 1964, in «Musica/Realtà», n. 33, LIM, Lucca, dicembre 1990, p. 44.
  37. «La scomposizione fonetica nacque da una richiesta di Gigi. Voleva che gli scomponessi le parole. […] Questo rompere per fare una polifonia. Mi chiese di scomporle, di creare quasi una pre-partitura. Era una scoperta continua di cosa c’era dentro ogni parola… e poi i cori nascevano su queste scomposizioni, erano delle suggestioni. […] Poi, questo, è quasi un pre-canto il lavoro sui fonemi, qualcosa tra la lallazione dei bambini e il canto. […] Nella scrittura di Zip tutti questi elementi ci sono», in  intervista a Giuliano Scabia di Daniele Vergni, Firenze, 11 luglio 2017. Scabia qui fa riferimento allo spettacolo Zip-lap-lip-vap-mam-crep-scap-plip-trip-scrap e la grande mam alle prese con la società contemporanea, spettacolo paradigmatico del Nuovo Teatro scritto da Scabia per la compagnia Teatro Studio di Carlo Quartucci. Prima rappresentazione Venezia, Teatro del Ridotto, XXIV Festival di Prosa della Biennale di Venezia, 30 settembre 1965. In questo spettacolo troviamo la presenza di un nastro realizzato presso lo Studio di Fonologia di Milano nell’XI scena, spazializzato su tre altoparlanti e la scomposizione fonetica del testo. Per un approfondimento Cfr. nuovoteatromadeinitaly.sciami.com
  38. Anche La fabbrica illuminata, dopo esser stata commissionata dalla Rai, è stata ritirata dal premio Prix Italia perché offensiva per il Governo, all’epoca il primo Governo Moro.
  39. R. Favaro, La fabbrica illuminata (1964).
  40. A questa entrata del reale in sala è corrisposta anche l’uscita inversa: contemporaneamente i due autori assieme al musicologo Luigi Pestalozza cominciano a realizzare concerti-dibattiti con le musiche di Nono nelle fabbriche e nei circoli operai. Non si tratta tanto di avvicinare il pubblico operaio alla musica contemporanea ma di contribuire ad una lotta e mostrare quanto espressivamente è forte il mondo operaio, reale, quotidiano.
  41. L. Nono, La fabbrica illuminata, in Id., Scritti e colloqui, Vol. I, a cura di A. I. De Benedictis e V. Rizzardi, Ricordi-LIM, Milano 2001, p. 446.
  42. L. Nono, La fabbrica illuminata, cit., p. 447.
  43. «Nono muoveva sempre i potenziometri, interventi continui, mai lineari. Dava veramente ‘vita’ a tutti i canali. Alla dinamica presente sul nastro lui, dal vivo, dava la pulsazione», cit. in Colloquio con André Richard su «La fabbrica illuminata», in L. Cossettini (a cura di), Luigi Nono: studi, edizione, testimonianze, LIM, Lucca 2010, p. 242.
  44. Ivi, p. 247.
  45. La percezione aptica è in gioco quando la percezione tattile e la propriocezione si trovano ad interagire, come nel caso dei suoni spazializzati in sala, dato che frequenze basse ed alte vengono percepite anche tattilmente dal corpo dello spettatore mentre la direzionalità dei suoni influisce sulla propriocezione dello stesso.
  46. A. Gentilucci, Gli anni Sessanta, in E. Restagno (a cura di), Nono, EDT, Torino 1987, p. 161.
  47. Cfr. V. Rizzardi, Verso un nuovo stile rappresentativo. Il teatro mancato e la drammaturgia implicita, in G. Borio, G. Morelli, V. Rizzardi (a cura di), La nuova ricerca sull’opera di Luigi Nono, Olschki, Verona 1999, pp. 35-51.
  48. I testi di A floresta é jovem e cheja de vida sono disponibili sul sito dell’Archivio Luigi Nono.
  49. Negli stessi anni in Italia vennero stilati documenti simili che portarono ad azioni di infiltrazione e destabilizzazione, come il libro Le mani rosse sulle forze armate, di Flavio Messalla (pseudonimo unico di Guido Giannettini e Pino Rauti) edito dal Centro Studi e Documentazione sulla guerra psicologica nel gennaio del 1966.
  50. La compagnia statunitense quell’anno è stata in tour in Italia con gli spettacoli Mysteries and Smaller PiecesThe Brig Frankenstein.
  51. V. Rizzardi, Programma al concerto di Milano Musica, in Festival Gyorgy Kurtag, 21 settembre 1998, testo disponibile sul sito www.luiginono.it
  52. L. Pestalozza, Impegno ideologico e tecnologia elettronica nelle opere degli anni Sessanta, in E. Restagno (a cura di), Nono, cit., p. 148.
  53. Ibidem.
  54. Ivi, p. 149.
  55. Ivi, p. 150.
  56. Ibidem.
  57. L. Nono, Un’autobiografia dell’autore raccontata da Enzo Restagno (1987), in Id., Scritti e colloqui, vol. II, cit., p. 528.
  58. «le azioni delle commedie erano allora ridotte a poche indicazioni sceniche riferite a situazioni caratteristiche dei rapporti tra i personaggi, e determinavano lo spazio entro il quale l’attore poteva liberamente improvvisare il dialogo e l’azione», L. Nono, Presenza storica nella musica d’oggi (1959), in L. Nono, Scritti e colloqui, vol. I, cit., p. 52.
  59. N. Buso, «Y Entonces comprendio»: Spazializzazione del suono e prassi teatrale, in L. Cossettini (a cura di), Luigi Nono: studi, edizione, testimonianze, LIM, Lucca 2010, p. 77.
  60. Ivi, p. 82.
  61. V. Rizzardi, Verso un nuovo stile rappresentativo. Il teatro mancato e la drammaturgia implicita, in G. Borio, G. Morelli, V. Rizzardi (a cura di), La nuova ricerca sull’opera di Luigi Nono, Olschki, Verona 1999, p. 51.
  62. N. Buso, «Y Entonces comprendio», cit., p. 74.
  63. F. Galante, Luigi Nono: pensiero sonoro e tecnica elettronica nel periodo del grande impegno politico, in «Musica/Realtà», n. 33, LIM, Lucca, dic. 1990, p. 37.
  64. Ibidem.
  65. L. Berio, Del gesto vocale, dattiloscritto del 1967, ora in Id., Scritti sulla musica, (a cura di) A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino 2013, p. 68.
  66.  L. Berio, Nota dell’autore a Sequenza III.
  67. I conflitti emotivi segnati in partitura sono quarantaquattro. Cfr. L. Berio, Sequenza III, Universal Edition, London 1968.
  68. P. Albèra, Introduzione alle nove Sequenze, in E. Restagno (a cura di), Berio, EDT, Torino 1995, pp. 145-177.
  69. J-F. Lyotard, Discours, Figure, 1971 (tesi di dottorato con Mikel Dufrenne), trad. it., Discorso, Figura, a cura di F. Mazzini, Mimesis, Milano 2008, p. 50.
  70. V. Valentini, Mondi, corpi, materie, Bruno Mondadori, Milano 2007, p. 106.
  71. Utilizziamo qui il termine interprete, usato anche da Berio, perché la cantante esegue una partitura ben delineata anche se con ampi margini di libertà espressiva.
  72. Il testo è riportato in L. Berio, Nota dell’autore a Sequenza III.
  73. L. Berio, Intervista sulla musica, a cura di R. Dalmonte, Laterza, Bari 1981, p. 103.
  74. L’alfabeto fonetico internazionale nato nel 1888 dalla International Phonetic Association è uno standard di riferimento per l’uso di simboli fonetici.
  75. M. Uvietta, Gesto, intenzionalità, indeterminazione nella poetica di Berio fra il 1956 e il 1966, in «Rivista Italiana di Musicologia», Vol. XLVI, 2011, pp. 227.
  76. L. Berio, Du geste et de Piazza Carità, in «La Musique et ses problèmes contemporains», Chaiers Renaud-Barrault, n. 41, Paris 1963, Del gesto e di Piazza Carità, in Id., Scritti sulla musica, (a cura di) A. I. De Benedictis, Einaudi, Torino 2013, p. 30.
  77. Ivi, p. 31.
  78. Ivi, p. 33.
  79. Ivi, p. 31.
  80. R. Schechner, Restoration of Behavior (1983), trad. it. in V. Valentini (a cura di), La teoria della performance (1970-1983), Bulzoni, Roma 1984, pp. 213-301.
  81. V. Valentini, Mondi, corpi, materie, cit., p. 119.
  82. F. Nicolodi, Note sul teatro di Luciano Berio. Tra riflessione e gioco, in R. Meccia (a cura di), Il teatro come pensiero teatrale, Edizioni scientifiche italiane, 1990, p. 183.
  83. M. Uvietta, Gesto, intenzionalità, indeterminazione nella poetica di Berio fra il 1956 e il 1966, cit., pp. 217.
  84. «A-Ronne vuol dire semplicemente ‘dalla A alla Z’, era un modo seicentesco di indicare questa cosa: Ette-Ronne, Ette-Conne-Ronne erano i modi con cui i toscani indicavano i segni che chiudevano, che venivano dopo la Z», E. Sanguineti, Quattro passaggi con Luciano Berio, in A. I. De Benedictis (a cura di), Luciano Berio. Nuove prospettive / New Perspectives, Leo S. Olschki, Firenze 2012, p. 57.
  85. La scrittura sanguinetiana negli anni Sessanta è caratterizzata dall’uso del frammento, del plurilinguismo e da una concezione della parola più che musicale sonora, da leggere a voce alta in modo da farne risaltare la grana sonora. Una scrittura particolarmente attenta alla dimensione fonica che lo stesso autore definisce come «investimento corposo del linguaggio» (E. Sanguineti, Critica spettacolare della spettacolaritàConversazione con Edoardo Sanguineti di Luigi Pestalozza, in Id., Per Musica, a cura di Luigi Pestalozza, Ricordi-Mucchi, Modena 1993, p. 14) evidenziandone il carattere fisiologico legato al respiro, al soffio.
  86. L. Berio, A-Ronne, in E. Restagno, Berio, EDT, Torino 1995, p. 99.
  87. Per un approfondimento delle collaborazioni tra Berio e Sanguineti in relazione al gesto vocale rimando a C. Di Luzio, Sanguineti e Berio: suono, voce, gesto, in «Poetiche. Rivista di letteratura», n. 3, vol. 8, Mucchi, Modena 2006, pp. 529-548.
  88. L. Berio, A-Ronne, cit., p. 105.
  89. Cfr. M. De Santis, Beyond Opera, another kind of theatre: on the dramaturgy of A-Ronne, in G. Ferrari (a cura di), Le théâtre musical de Luciano Berio, vol. 1, L’Harmattan, Paris 2016, pp. 381-408.
  90. Ivi, p. 391.
  91. E. Sanguineti, La messa in scena della parola, in E. Restagno, Berio, cit., p. 74.
  92. L. Berio, Note dell’autore ad A-Ronne.
  93. M. De Santis, Beyond Opera, another kind of theatre, cit., nota n. 34 p. 403.
  94. E. Sanguineti, A-Ronne, in Id. Per Musica, cit., pp. 129-130.
  95. E. Sanguineti, Critica spettacolare della spettacolarità, cit., p. 17.
  96. E. Sanguineti, Quattro passaggi con Luciano Berio, cit., p. 57-58.
  97. E. Sanguineti, Critica spettacolare della spettacolarità, cit., p. 15.
  98. L. Berio, A-Ronne, cit., p. 102.
  99. Ivi, p. 104.
  100. Ivi, p. 105.
  101. D. Guaccero, Un’esperienza di “teatro musicale”, in «Il Verri», n. 21, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 126-140, ora anche in Id., Un iter segnato. Scritti e interviste, a cura di A. Mastropietro, Ricordi-LIM, Milano 2005, pp. 143-160.
  102. Per Guaccero la musica gestuale è una modalità per proporre una nuova musica d’insieme in cui suono, movimento e parola sono a carico del musicista e non di specialisti dei propri campi. Cfr. D. Guaccero, Sulla tradizione del teatro musicale, in Id., Un iter segnato, cit., p. 175.
  103. Cfr. A. Mastropietro, Anni Sessanta: rappresentazione e superamento della crisi del linguaggio in tre lavori “gestuali” di Domenico Guaccero, in «Musica/Realtà», a. XXXV, n. 105, LIM, Lucca 2014, pp. 145-169.
  104. La partitura è conservata presso il Fondo Guaccero negli Archivi della musica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Si ringrazia il direttore prof. Gianmario Borio e la curatrice del fondo dott.ssa Angela Carone per la disponibilità.
  105. D. Guaccero, Incontro a tre [per due pianisti e un flautista, 1960], in programma di sala, Auditorium del Forte Spagnolo, Società Aquilana dei Concerti B. Barattelli, 26 maggio 1963, ora in Id., Un iter segnato, cit., p. 463.
  106. Il cronometraggio delle azioni, musicali o fisiche, che prende il nome di time brackets, è stato introdotto da John Cage nell’Untitled Event del 1952.
  107. Dalla partitura, conservata presso il Fondo Guaccero nell’Archivio della musica della Fondazione Giorgio Cini.
  108. «All’importazione della celebre scena d’apertura (e di chiusura) di La cantatrice calva, col suo placido vaniloquio salottiero, fanno da contraltare le azioni gestuali e, soprattutto, vocali della cantante, con la scoperta tra il ludico e il magico del proprio corpo scenico, e (scena B) una fascinazione attonita verso il suono vocale che, provenendo da fuori scena, si stacca dai contemporanei – perlopiù muti, e ludico-infantili – gesti strumentali dei due pianisti sulla scena», A. Mastropietro, Anni Sessanta: rappresentazione e superamento della crisi del linguaggio in tre lavori “gestuali” di Domenico Guaccero, cit., p. 158.
  109. D. Tortora (a cura di), Voce come soffio, voce come gesto. Omaggio a Michiko Hirayama, Aracne editrice, Roma 2008.
  110. A tal proposito Alessandro Mastropietro indica questo evento come prodromo della formazione della Compagnia del Teatro Musicale di Roma, discussa più avanti nella nota 117. Cfr. A. Mastropietro, A. Mastropietro, Intorno alla Compagnia del Teatro Musicale di Roma: un nuovo modello operativo, tra sperimentazione e utopia, cit.
  111. Il titolo allude al negativo di ciò che è suono. Come scrive il compositore nella presentazione del foglio di sala: «Negativo […] accoglie tutto ciò che non è suono: il rumore, il non suono (gli strumenti non suonati), l’elemento azione-visione, sino a inglobare nell’opera il “progetto” della stessa, progetto anche di eventi che rimangono allo stato di progetto e non si realizzano», D. Guaccero, Negativo. Presentazione, nel foglio di sala del XXVII Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, 1964, p. 43, ora in Id., Un iter segnato, cit., p. 464.
  112. Per “negativo del suono” Guaccero intende tutto ciò che veniva considerato materiale non musicale come lo spazio, le azioni, le luci, il progetto che viene detto durante l’esecuzione, ecc.
  113. Cfr. A. Mastropietro, Anni Sessanta: rappresentazione e superamento della crisi del linguaggio in tre lavori “gestuali” di Domenico Guaccero, cit.
  114. A. Lanza, Il secondo Novecento, cit., p. 152.
  115. D. Guaccero, Incontro a tre,cit., p. 463.
  116. D. Guaccero, Sulla tradizione del teatro musicale, cit., p. 180.
  117. Fondata da Guaccero, Macchi e Sylvano Bussotti, inizialmente coinvolto e che subito dopo abbandona il progetto, la Compagnia del Nuovo Teatro Musicale di Roma è stato l’unico esempio di vera e propria compagnia nel Nuovo Teatro Musicale. Partendo dalle elaborazioni teatrali di Guaccero, come la despecializzazione e il contrappunto dei linguaggi della scena, la compagnia cerca una sua identità più definita, ad esempio nell’ipotesi del teatro agibile (D. Guaccero, Un’esperienza di “teatro musicale”, cit., p. 155), ovvero un teatro con un’organizzazione produttiva più leggera che utilizzi mezzi tecnologici ma che non punti alla spettacolarità delle produzioni liriche, con organici ridotti, da camera. La compagnia è pensata come insieme di elementi artistici e tecnici che collaborano in attività laboratoriali tese alla produzione di azioni scenico-musicali in cui i vari elementi vivano della loro autonomia con l’obiettivo di realizzare un’attività teatrale di giro e «un teatro musicale dove siano istituzionalizzate tutte le acquisizioni attuali, dall’happening, al gestualismo, dal montaggio aperto delle azioni al contrappunto degli elementi (suono, parola, scena, mimica, etc.), dall’abolizione del racconto a quella della monofocalità scenica, dalla rappresentazione di fronte al pubblico alla partecipazione dello spettatore-attore» (Dalla presentazione della Compagnia di Teatro musicale di Roma presente nel libretto di sala di Studio per A(lter) A(ction), Teatro Olimpico 15-15 giugno 1966, conservato presso il Fondo Guaccero nell’Istituto per la musica della Fondazione Giorgio Cini di Venezia). Cfr. A. Mastropietro, Intorno alla Compagnia del Teatro Musicale di Roma: un nuovo modello operativo, tra sperimentazione e utopia, cit., pp. 105-161.
  118. D. Guaccero, Tesi per INTERMEDIA, in Id., Un iter segnato, cit., p. 188.
  119. Ibidem.
  120. Ibidem.
  121. Ivi, pp. 188-189.
  122. E. Alovisi, Disamina affettuosa di un decennio di avventure teatrali con Domenico Guaccero, in D. Tortora (a cura di), Domenico Guaccero. Teoria e prassi, cit., p. 433.
  123. Alessandro Mastropietro considera la partitura di Novità assoluta come partitura-canovaccio «nella quale le situazioni e azioni – sceniche e sonore – sono anzitutto descritte, o meglio prescritte ‘a soggetto’; la notazione musicale, prevalentemente cronometrica […], viene inserita quando necessaria, e in alcune scene […] determinata in maniera più vincolante la temporalità, ma non ne è certo il principale medium di controllo». A. Mastropietro, Ancora una ‘scena del potere’: Novità assolunta (1972), in D. Tortora (a cura di), Domenico Guaccero. Teoria e prassi, cit., p. 304.
  124. Ivi, p. 434.
  125. S. Lombardi Vallauri, L’anti-opera come veicolo: il teatro musicale come pratica autotrasformativa per il performer, in A. Ramerino (a cura di), Teatro e Musica, Bulzoni, Roma 2015, pp. 131-146.
  126. D. Guaccero, Prefazione all’Esercizio per voce, scritto su e per Miciko Hirayama. In Id., Un iter segnato, cit., p. 466.
  127. La consultazione della partitura è avvenuta presso il Fondo Guaccero più volte citato.
  128. «Sull’eteronomia finisce l’autonomia / c’è scel-ta / il progetto è, ora, parte dell’oggetto / (ma questo non è il pezzo per Gazzelloni?) / Sperimentare eguale fare / – Il tempo – / Dietro me è il tempo / (Gazzelloni Gazzelloni!) / Io vedo dietro ma Io Io così, qui, sono qui, dietro/avanti Io Forma che rimane. Ho cellule nuove. Eccole. Eccole. Qui. Io più nuovo che ieri. Nasco / Che sappiamo tutto del corpo / Noi non abbiamo nulla provato. Vero? / Non c’è prova / (Pezzi sperimentali? Non/pezzi, non/pezzi) / Nulla è provato / Ora è la prova / Happening? Clownerie? / Tutti: ora / Augenmusik / Provocazione? / Tutti Insieme / Il progetto è parte dell’oggetto / La comunità. Il potere dev’essere sempre come tra pareti di vetro. È sconveniente?». Testo presente nella partitura dell’esercizio conservata nel Fondo Guaccero. Inoltre il testo è presente anche nella scheda dell’esercizio, nel catalogo tematico delle opere di Domenico Guaccero curato da Alessandro Mastropietro e consultabile a questo link
  129. D. Guaccero, Prefazione all’Esercizio per attrice (attore) / mimo, Fondo Guaccero, anche in Id., Un iter segnato, cit., p. 466.
  130. Ibidem.
  131. Ibidem.
  132. Ibidem.
  133. D. Guaccero, Prefazione all’Esercizio per clarinetto, in Id., Un iter segnato, cit., p. 467.
  134. S. Lombardi Vallauri, La musica vocale di Domenico Guaccero. Dalla sperimentazione alla compiutezza, dall’antropologia all’uomo, in D. Tortora (a cura di), Domenico Guaccero. Teoria e prassi dell’avanguardia, cit., p. 183.
  135. M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, Gallimard, Paris 1964, trad. it. Il visibile e l’invisibile, a cura di M. Carboni, Bompiani, Milano 1999, pp. 147-70.
  136. E. Fischer-Lichte, Ästhetik des Performativen, Shurkamp Verlag, Frankfurt am Main 2004, trad. it., Estetica del performativo, a cura di T. Gusman e S. Paparelli, Carocci, Roma 2014, p. 159.
Author

Daniele Vergni, dottorando in Spettacolo presso la Facoltà SARAS dell'Università La Sapienza di Roma, si occupa di Performance Art e del Nuovo Teatro Musicale in Italia nella seconda metà del Novecento. È redattore della rivista «Sciami|ricerche», membro del gruppo Acusma e di Nuovo Teatro Made in Italy, diretti dalla Prof.ssa Valentina Valentini. Collabora con la rivista «Artribune» e ha collaborato con «Alfabeta2». Tra le sue pubblicazioni Nuovo Teatro Musicale in Italia (1961-1970) (Bulzoni, 2019). Per il progetto ERC “INCOMMON In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979)” diretto dalla Prof.ssa Annalisa Sacchi ha pubblicato il saggio Fare Musica. L’azione “teatrale” di Giuseppe Chiari negli anni Sessanta (in Ilenia Caleo, Piersandra Di Matteo, Annalisa Sacchi (a cura di), In fiamme. La performance nello spazio delle lotte (1967-1979), Bruno Editore, Venezia 2021, pp. 360-369).