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n. 8 – ottobre 20, Video

Obladì Obladà e Immagina: sperimentazioni tra video e computer art in tv

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https://doi.org/10.47109/0102200108

Massimo Iosa Ghini, Ranuccio Sodi, Il videodizionario di Obladì Obladà, still da video, 1985.

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ABSTRACT

Durante gli anni Ottanta, parallelamente alla diffusione dei personal computer, l’immagine della televisione italiana viene rivoluzionata dalla grafica digitale. Trasmissioni come Obladì Obladà (1985) e Immagina (1987-88), entrambe dirette da Ranuccio Sodi, fanno ampio uso della videografica e combinano tecniche di postproduzione analogiche e digitali. Si tratta di programmi dedicati alla produzione audiovisiva contemporanea: dal videoclip alle videoinstallazioni, dalla pubblicità alla computer art e, più in generale alle forme artistiche legate all’elettronica. Per Obladì Obladà, Massimo Iosa Ghini cura la linea grafica e disegna uno studio futuristico che preannuncia le linee estetiche del bolidismo. Immagina invece si serve delle scenografie di Fabrizio Plessi, che dettano l’estetica della trasmissione, dialogando con la videografica di Mario Convertino. L’articolo si propone di analizzare i due programmi come prodotto di una sperimentazione al contempo estetica e tecnologica in cui la collaborazione tra il regista e gli artisti coinvolti rappresenta un tentativo di creare un’”arte televisiva”.

La riforma della Rai del 1975, nata dall’esigenza di garantire un maggiore pluralismo nell’informazione, apre una nuova stagione della televisione italiana, caratterizzata da un rinnovamento estetico e contenutistico1. A cavallo tra i due decenni, sono anche le novità tecnologiche a modificare profondamente il piccolo schermo, prima di tutto con l’inaugurazione delle tanto attese trasmissioni regolari a colori nel 19772 e, in secondo luogo, con l’introduzione di macchine appositamente pensate per la grafica televisiva: nasce la cosiddetta “videografica”3, terreno di sperimentazione al contempo tecnologica e artistica, che deve la sua esistenza proprio al colore elettronico e ai computer.

Nel contesto della tv italiana degli anni Ottanta, Obladì Obladà (1985) e Immagina (1987- 88), entrambi trasmessi da Rai Uno con la regia di Ranuccio Sodi, non sono probabilmente tra i programmi più rappresentativi e certamente non tra i più popolari, ma meritano attenzione per esser stati occasioni di sperimentazione di un nuovo modo di fare tv e, potremmo dire, di creare un’”arte televisiva”, attraverso un uso intensivo della videografica e con un’attenzione tanto alla scena artistica contemporanea, quanto ai linguaggi dell’elettronica: videoarte, computer art e, più in generale, l’universo mediale legato alle nuove tecnologie.

Vanno ricordati, come precedenti di queste trasmissioni, due programmi, stavolta dei cult di grande successo: Odeon. Tutto quanto fa spettacolo (1976-78), rotocalco dedicato soprattutto al cinema e alla musica, che aveva l’ambizione di informare “facendo spettacolo”4, e Mister Fantasy (1981-84) che ha portato in Italia le novità del videoclip musicale e della videografica5. Non è un caso che dietro entrambe le trasmissioni ci sia sempre Paolo Giaccio, nella prima in veste di curatore insieme a Enrico Messina6, nella seconda di autore.

Insieme a Romano Frassa, lo stesso Giacco dà vita a Obladì Obladà7, ispirata al tradizionale format del telegiornale, rivisitato, però, sia nell’ambientazione – uno studio futuristico – sia nei contenuti: “ai confini della musica”, come si legge nei titoli di testa8. L’intenzione è di raccontare la cultura musicale andando al di là del solo videoclip, ampiamente sdoganato da Mister Fantasy e diventato, nel giro di pochi anni, oggetto di numerose trasmissioni9. Eppure, è proprio il linguaggio sintetico e dinamico del videoclip a ispirare la regia di Ranuccio Sodi, che dialoga con gli effetti grafici digitali e i commenti musicali elettronici, eseguiti in studio da Maurizio Marsico. Questi dettagli suggeriscono una particolare attenzione alla linea estetica del programma, proprio come era stato per Mister Fantasy che, affidando la videografica a Mario Convertino, aveva introdotto nella televisione italiana la figura dell’art director: colui che ha il compito di unificare l’immagine  del programma, donandogli una veste ben riconoscibile. Dunque, anche la videografica torna, altrettanto colorata, in Obladì Obladà, affidata stavolta a un protagonista del fermento artistico-culturale della Bologna anni Ottanta: Massimo Iosa Ghini.

A questa data, Iosa Ghini attraversa, proprio tramite l’esperienza in Rai, una fase di passaggio che, da disegnatore e illustratore, lo porterà verso la nota carriera di designer e architetto. Prima di Obladì Obladà, lo troviamo nella pattuglia del “nuovo fumetto italiano” che trae spunto dalla cultura metropolitana contemporanea, dalla fantascienza e dal linguaggio parlato dai giovani. Un fenomeno che ha rappresentato una vera rivoluzione dell’immagine illustrata, traghettando il fumetto nel sistema dell’arte10. I protagonisti – Giorgio Carpinteri, Igort, Marcello Jori, Tanino Liberatore, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, solo per citarne alcuni – sono nati negli anni Cinquanta: è la generazione, come ha scritto Pier Vittorio Tondelli, «formatasi culturalmente davanti al teleschermo»11 e il cui immaginario incrocia inevitabilmente quello televisivo12. Anche la moda e il design sono ambiti frequentati dai “nuovi fumettisti italiani”: oltre a pubblicare le sue tavole su Frigidaire e alter alter, Iosa Ghini disegna anche modelli per Vanity e, per Obladì Obladà, oltre all’impaginazione grafica generale, si occupa anche della scenografia.

Il suo disegno anima la trasmissione con una videografica che non è usata semplicemente per i classici titoli, ma per dialogare con le scene riprese dalla telecamera, in modo non troppo diverso da quanto già sperimentato da Convertino a Mister Fantasy. La macchina utilizzata è la stessa: un computer dotato di lavagna elettronica e pennino, a imitazione dei sistemi grafici tradizionali, nato al Centro Ricerche Rai di Torino e perfezionato dall’azienda fiorentina Tesak13. Se però Convertino realizza “quadri fissi” sovrapposti alle scene riprese, Iosa Ghini e Sodi creano delle vere e proprie animazioni che diventano delle sorte di sigle usate come stacchi tra i vari blocchi della trasmissione14. Si tratta di brevi video, come il Videodizionario, nei quali si assapora l’estetica elettronica contemporanea: la musica è di Maurizio Marsico, che in trasmissione sfoggia sintetizzatori e campionatori, mentre le immagini sono tratte da riprese in studio e trasformate in quadri elettronici dalla grafica di Iosa Ghini. La Tesak è un computer recente con il quale sperimentare un nuovo linguaggio, ma è pur sempre una macchina dalle limitate capacità di memorizzazione che obbliga a trattare un’immagine alla volta15: il risultato è una sequenza di disegni elettronici che si susseguono frammentando l’animazione a ritmo di musica.

Massimo Iosa Ghini, Ranuccio Sodi, Il videodizionario di Obladì Obladà, still da video, 1985.
Massimo Iosa Ghini, Ranuccio Sodi, Il videodizionario di Obladì Obladà, still da video, 1985.

Anche la scenografia è studiata in modo da evocare un universo elettronico, con oggetti robotizzati, un televisore in bella vista e un tavolo da conduzione dalle linee curve e dinamiche.

Massimo Iosa Ghini, progetto del tavolo di conduzione di Obladì Obladà, 1985. Immagine tratta da: A. Coppa (a cura di), Massimo Iosa Ghini, catalogo della mostra, Skira, Milano 2013, p. 42.
Massimo Iosa Ghini, progetto del tavolo di conduzione di Obladì Obladà, 1985. Immagine tratta da: A. Coppa (a cura di), Massimo Iosa Ghini, catalogo della mostra, Skira, Milano 2013, p. 42.

Obladì Obladà è la prima occasione in cui Iosa Ghini realizza concretamente i suoi disegni e si confronta con uno spazio praticabile, rimanendo tuttavia ancorato a una dimensione bidimensionale, quella del piccolo schermo: «in televisione si crea la scena attraverso elementi fisici però con finalità molto simili alla produzione dell’immagine»16, avrebbe affermato a proposito della sua esperienza in Rai, proseguita con le scenografie per Discoring (1986) e Fuori Orario (1987). I mobili che arredano lo studio di Obladì Obladà sono di fatto i primi oggetti “bolidisti” di Iosa Ghini. E del resto nel bolidismo – nato ufficialmente nel 1986 ma anticipato negli anni precedenti – l’aspetto visuale e mediatico assume un ruolo primario rispetto a quello funzionale. La leggerezza, la mobilità, le curve, sono questi gli elementi di un design che trae spunto dal futurismo, ma che guarda al panorama mediale degli anni Ottanta: non più la meccanica di inizio Novecento, ma l’informazione e la comunicazione. Come nota François Burkhardt, i bolidisti associano l’istantaneità del nuovo modello informatico a forme ondulate e oblique, le loro opere sono espressione di una società in movimento in cui le nuove tecnologie si caratterizzano per la velocità di trasmissione dell’informazione «ed è questa velocità pura che l’aerodinamismo bolidista intende simboleggiare, quella di una società passata allo stadio dell’elettronica»17.

Iosa Ghini continuerà a sperimentare le tecnologie informatiche anche dopo l’esperienza di Obladì Obladà e sempre in collaborazione con Sodi. Questa volta l’occasione sono tre videoclip musicali realizzati per un contenitore più tradizionale, Italia Sera (1986), in onda sempre su Rai Uno. La finalità non è la promozione di nuove hit, come in genere accade per i videoclip, ma la realizzazione di opere televisive che omaggiano canzoni italiane, più o meno recenti, affidate a diversi registi che in questi anni lavorano per la Rai18. I video di Iosa Ghini e Sodi sono: Caterina (Francesco De Gregori), Giovanni Telegrafista (Enzo Jannacci) e Teresa, non sparare (Fred Buscaglione) e, come quelli di Obladì Obladà, sono realizzati in “tecnica mista”, cioè  combinando immagini  e  un montaggio analogici con la grafica digitale. Quest’ultima è ottenuta con un computer più potente della Tesak: il Quantel Paintbox.

Ranuccio Sodi e Massimo Iosa Ghini al Quantel Paintbox. Immagine tratta dalla rivista «Monitor», n. 64, 1986, p. 51
Ranuccio Sodi e Massimo Iosa Ghini al Quantel Paintbox. Immagine tratta dalla rivista «Monitor», n. 64, 1986, p. 51

Si tratta della stessa macchina usata anche da Mario Sasso per le sue prime sigle digitali: un sistema grafico per effetti pittorici, non dissimile dalla Tesak, ma dotato di una maggiore gamma di colori e in grado di creare effetti di animazione, se collegato alla centralina di montaggio digitale Harry19. I videoclip per Italia Sera sfruttano al massimo gli effetti coloristici del Paintbox, creando dei “quadri digitali” animati in passo uno e mescolando tre tecnologie diverse: oltre al computer, la pellicola 16 mm, che costituisce il materiale di partenza, e il nastro magnetico, usato per il montaggio20.

Effettivamente, negli anni Ottanta, la televisione rappresenta un medium in cui convergono tecnologie audiovisive differenti: mentre si diffondono i computer, si deve ancora fare i conti con una realtà ancora fortemente dominata da tecnologie analogiche, non solo quelle televisive – il video – ma anche la pellicola, ancora ampiamente utilizzata per ottenere filmati di alta qualità, che sono poi telecinemati, cioè riversati su nastro.

In virtù di questa “tecnica mista”, i video di Iosa Ghini e Sodi sono esposti non solo in rassegne di videoclip e, più in generale, di videoarte21, ma anche in manifestazioni dedicate alla computer art, come quelle curate da Rinaldo Funari, fondatore dell’associazione Il Pulsante Leggero22. Rispetto alla situazione internazionale, in Italia mancano realtà dedite alla ricerca tecnologica, pubbliche o private che siano, che incoraggino la sperimentazione artistica. Un esempio geograficamente vicino è l’Institut National de l’Audiovisuel (INA) che finanzia la produzione artistica francese, rispetto alla quale quella italiana non può vantare la stessa sofisticatezza tecnologica. In tale contesto, in cui le ricerche più interessanti sono quelle di artisti che si autoproducono adoperando l’estetica low-tech dei personal computer, gli studi televisivi rappresentano un ambito professionale in cui si rintracciano forme di sperimentazione, seppur inevitabilmente confezionate per   il piccolo schermo. Maria Grazia Mattei, in occasione del SICOF ’87, presenta una rassegna di opere digitali in cui rientrano, oltre ai cosiddetti “puristi” – ossia gli artisti che si basano esclusivamente sul linguaggio di programmazione dei computer – anche ciò che la curatrice definisce “immagini composite”: esempi di ibridazione di tecnologie analogiche e digitali, in gran parte provenienti dal contesto televisivo e tra le quali ritroviamo anche i videoclip di Iosa Ghini e Sodi23. Allo stesso modo, Il Pulsante Leggero accoglie tanto le ricerche basate sulla specificità dei personal computer, quanto realtà professionali legate al mondo della televisione e della pubblicità, come la Computer Graphics Europe (SBP-CGE)24, un’azienda che negli anni Ottanta vanta le macchine più aggiornate per la produzione e postproduzione video. Non stupisce, perciò, la presenza di alcune produzioni televisive, come quelle in esame, nei festival italiani dedicati alle arti elettroniche.

È il caso di Immagina25, presentata al Festival di Camerino nel 198726, premiata a Locarno nel 198827 e prodotta negli studi della succitata SBP CGE. Tra gli autori della trasmissione c’è ancora una volta Paolo Giaccio che, dopo l’esperienza di Obladì Obladà, insieme a Brando Giordani dà vita a una trasmissione interamente incentrata non tanto sul video, quanto sulla sua forza comunicativa e significante in un universo dominato dai mass media: “segni e sogni del nostro tempo”, come recita il sottotitolo del programma. Immagina si avvale della presenza fissa di Omar Calabrese, a cui si deve la cornice teorica della trasmissione, basata sul concetto di “età neobarocca”: un’attualità votata all’apparire, dominata dalle immagini e dalla loro spettacolarità28.

Ranuccio Sodi, un’inquadratura di Immagina con la scenografia di Fabrizio Plessi riadattata per ospitare il mezzo busto di Omar Calabrese, 1987.
Ranuccio Sodi, un’inquadratura di Immagina con la scenografia di Fabrizio Plessi riadattata per ospitare il mezzo busto di Omar Calabrese, 1987.

Al di là dei temi trattati – arte, architettura, cinema, moda, pubblicità – e delle opere di videoarte e computer art mostrate – in gran parte internazionali e provenienti dall’INA – Immagina sviluppa un discorso critico sulla comunicazione visiva giocando su un doppio significato: le immagini e l’immaginazione che da esse scaturisce. Guardando alla produzione videoartistica contemporanea e a esempi televisivi virtuosi come Map of Dreams (1987), trasmissione di Channel 4 che usa un linguaggio di sole immagini29, il programma di Rai Uno cerca esso stesso di formulare un discorso visivo che riduca al minimo il commento verbale. Tale discorso “per immagini” nasce dal lavoro sinergico tra la regia di Ranuccio Sodi, la videografica di Mario Convertino, art director della trasmissione, e la presenza fissa di uno dei videoartisti più acclamati del periodo: Fabrizio Plessi. La scenografia che egli realizza per Immagina sintetizza il concetto di “età neobarocca”30: si tratta di una Fontana di Trevi elettronica, ipoteticamente situata nei sotterranei di quella storica e composta da una serie di elementi mobili in finto travertino, ognuno dotato di uno schermo in cui scorre l’acqua. Inoltre, le videosculture di Plessi, esposte negli anni precedenti in mostre che ne consacrano la notorietà – dalla personale Videogoing alla Rotonda della Besana (1985)31 alle partecipazioni alla Biennale di Venezia (1986) e alla documenta di Kassel (1987) – sono riadattate negli studi televisivi della Rai grazie all’équipe del Centro Videoarte di Ferrara, con cui l’artista lavora fin dagli anni Settanta.

La fluidità dell’acqua, associata da Plessi a quella delle immagini elettroniche, diventa il leitmotiv dell’intera trasmissione: il suo suono delicato accompagna tutti i momenti in studio, mentre la regia gioca con l’elemento vivo delle videosculture, “fluidificando” le riprese, come accade ad esempio al primo piano della conduttrice Edvige Fenech, riflesso nella vasca di Reflecting Water (1984). A raccontare le videosculture di Plessi, una per ogni puntata, non è quasi mai un discorso verbale: è piuttosto una lettura per immagini creata da una regia che svela i meccanismi dell’opera e li amplifica, sfruttandone i riflessi o, in altri casi, ne trae ispirazione, inserendo dei monitor in scena. Questo racconto visivo diventa la caratterizzazione estetica di ciascuna puntata e a esso contribuisce la videografica di Convertino, che si sovrappone alle riprese con poche e sintetiche parole, più evocative che didascaliche.

Convertino, com’è noto, viene dalla grafica tradizionale e con Mister Fantasy fa la sua prima esperienza televisiva32, donando al programma una veste coloratissima. Per Immagina, egli ricorre a toni più sobri, in accordo con l’atmosfera notturna del programma che va in onda a tarda ora, prima dell’interruzione delle trasmissioni. Come per Obladì Obladà, il lavoro grafico nasce dal dialogo tra art director e regista e dalla comune scelta di fare ricorso non solo a ciò che offre la tecnologia digitale, ma anche alla tradizione, come nel caso del lavoro sul lettering: titoli e sottotitoli rigorosamente bidimensionali sono impaginati con soluzioni dinamiche e inedite33. Per ottenere tali effetti, viene fatto un uso intensivo dei computer all’epoca più all’avanguardia: oltre al Paintbox, anche il Mirage, un’altra macchina della Quantel, una delle prime a permettere di trattare un’immagine come un oggetto per creare animazioni 3D, come scorrimenti, rotazioni e volta-pagina34. Molti di questi effetti sono usati per intervenire nei servizi – girati in pellicola e poi telecinemati – o per creare delle sorte di copertine animate che li introducono e, infine, per i numerosi siparietti che dividono i vari blocchi della puntata, dove è immancabile la presenza del tema dominante: talvolta un’acqua sintetica, talaltra ripresa dal vero.

In un contesto come quello italiano in cui il sistema televisivo difficilmente accoglie la sperimentazione videoartistica35, Immagina tenta di colmare un’assenza e di trovare    un possibile territorio intermedio tra la ricercatezza della videoarte più concettuale e     il mainstream televisivo. Negli anni Ottanta, la ricerca artistica legata ai mezzi elettronici, uscita ormai dall’autoreferenzialità che l’ha connotata almeno fino agli anni Settanta, sveste i panni dell’opposizione al sistema televisivo e segue molteplici strade. Non ultima, quella del dialogo con la tv, dove emerge la figura professionale dell’art director, declinazione televisiva dell’artista nel contesto del piccolo schermo.

Ringrazio Ranuccio Sodi per le informazioni e i materiali fornitimi per la stesura di questo articolo.

  1. Cfr. A. Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano 2004.
  2. Nonostante la Rai stabilisca l’adozione dello standard a colori PAL già nel 1965, ragioni politiche portano a un’attesa di ben dodici anni, con un notevole ritardo rispetto al resto del mondo: cfr. G. Tabasso, Comincia per il colore la programmazione regolare, in «Radiocorriere TV», n. 3, 1977, pp. 14-15.
  3. Sul rinnovamento estetico dell’immagine televisiva con l’introduzione della videografica nell’ambito, però, delle sole tv commerciali, cfr. M. Scaglioni, L’ossimoro perfetto. I destini dell’arte nella TV commerciale, in A. Grasso, V. Trione (a cura di), Arte in tv. Forme di divulgazione, Johan & Levi, Monza 2014, pp. 57-64. Sulla videografica negli anni Ottanta: A. Jankel, R. Morton, Computergrafica creativa, Garzanti, Milano 1986 [ed. or. Creative Computer Graphics, Cambridge University Press, 1984], pp. 122-134.
  4. Cfr. A. Grasso, Storia della televisione italiana, cit., p. 289.
  5. Per una panoramica sulla presenza dell’arte elettronica in questa trasmissione e in Immagina cfr. P. Lagonigro, Da Mister Fantasy a Immagina. Arte elettronica in tv, in G. Manzoli, C. Marra (a cura di), L’arte mediata. Dal Critofilm al Talent Show, in «piano b. Arti e culture visive», 2019, V. 3, n. 2, pp. 146-171.
  6. Gli autori di Odeon sono Brando Giordani ed Emilio Ravel.
  7. Sedici puntate trasmesse, con cadenza settimanale, dal 3 aprile al 28 agosto 1985.
  8. Cfr. S. Iannicelli, Ehi voi! Arriva Obladì Obladà, in «Radiocorriere TV», n. 13, 1985, pp. 21-25.
  9. Cfr. B. Di Marino, Segni sogni suoni. Quarant’anni di videoclip da David Bowie a Lady Gaga, Meltemi, Milano 2018.
  10. Una sezione dedicata al nuovo fumetto italiano è nella mostra Anniottanta nella quale, tuttavia, Iosa Ghini non è rappresentato cfr. R. Barilli et al. (a cura di), Anniottanta, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano 1985. Per una visione più ampia cfr. R. Daolio, C. Branzaglia (a cura di), Nuovofumetto italiano, catalogo della mostra, Fabbri, Milano 1991.
  11. P.V. Tondelli, Nuovo fumetto italiano, in Id., Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, Bompiani, Milano 2016, p. 205.
  12. Tanino Liberatore disegna la scenografia del processo condotto da Mario Luzzato Fegiz a Mister Fantasy, mentre Giorgio Carpinteri firma la videografica del programma di Carlo Massarini Non necessariamente e, per la stessa trasmissione, i Giovanotti Mondani Meccanici, autori del primo fumetto al computer, realizzano la serie di video Le avventure di Marionetti.
  13. Cfr. P. D’Amato, M. Magherini, M. Michelassi, C. Vayr, Sistema di grafica elettronica per la televisione (EGP 414), in «Elettronica e telecomunicazioni», n. 6, 1983, pp. 244-248.
  14. Meno interessante la sigla di apertura dove la grafica non è elettronica. Spezzoni di Obladì Obladà e di Immagina, nonché alcuni video citati nel presente articolo, sono visibili sul canale YouTube di Ranuccio Sodi: https://www.youtube.com/channel/UCM4AJ9OhY2qctbl2zDWB5iQ (ultima consultazione: 25.VI.2020).
  15. Da una conversazione di chi scrive con Ranuccio Sodi in data 25.X.2019.
  16. M. Iosa Ghini, Armonizzare il progetto: da autore a interprete, in A. Coppa (a cura di), Massimo Iosa Ghini, catalogo della mostra, Skira, Milano 2013, p.14.
  17. F. Burkhardt, Dei designer architetti e degli architetti designer, in A. Colonnetti, F. Burkhardt, G. Dorfles, Massimo Iosa Ghini. Da designer ad architetto, Compositori, Bologna 2005, p. 26. Cfr. M. Corrado (a cura di), Massimo Iosa Ghini. 15 anni di progetti, Electa, Milano 2001.
  18. Cfr. F. Rinaldo, Un videonomastico al giorno per l’Italia della sera, in «Monitor», n. 64, 1986, pp. 50-53.
  19. Cfr. R. Sodi, La tavolozza del pittore, in «Video Magazine», n. 60, 1986, pp. 70-72; M. Bernardo, G. Blumthaler, I trucchi e gli effetti speciali fotografici ed elettronici. Manuale di pratica cinematografica, NIS, Roma 1990, pp. 40-42.
  20. Teresa non sparare e Giovanni Telegrafista sfruttano materiale in bianco e nero della Cineteca Rai. Cfr. A. Bolzoni, Show Biz Visual Communication. Videoclips Italia Sera, dattiloscritto, 10 febbraio 1987, Roma, Archivio Biblioteca Quadriennale, Fondo Il Pulsante Leggero di Rinaldo Funari (più avanti FPL, fondo non ancora ordinato).
  21. Nel 1986 sono presentati al Salso Film & Tv Festival di Salsomaggiore e al Festival Arte Elettronica di Camerino.
  22. I video di Iosa Ghini e Sodi sono esposti nella selezione di opere di computer grafica curata da Funari per la rassegna Monitors: cfr. Monitors. Selezione computer grafica curata da Rinaldo Funari, dattiloscritto, 1987, Roma, Archivio Biblioteca Quadriennale, FPL.
  23. Cfr. M.G. Mattei, Video di ricerca e sperimentazione tra tecnologia scienza e arte, in A. Colombo (a cura di), SICOF ’87, catalogo della mostra, Assoexpo, Milano 1987, p. 138.
  24. Cfr. R. Funari, Il Pulsante Leggero, in «Computer Grafica & applicazioni», n. 1, 1987, pp. 122-130.
  25. Dodici puntate dal 1 ottobre al 17 dicembre 1987 e altre sei, che ripropongono molto materiale andato già in onda, dal 29 aprile all’11 giugno 1988.
  26. Sezione a cura di Gianni Blumthaler, direttore artistico della SBP CGE: cfr. Festival Arte Elettronica di Camerino. Programma, Università degli Studi di Camerino, Camerino 1987. Su tale festival cfr. S. Bordini, F. Gallo, All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, Mimesis, Milano-Udine, 2018.
  27. Da una conversazione di chi scrive con Ranuccio Sodi in data 25.X.2019. Il catalogo a cura di Vittorio Fagone riporta la Rai come vincitrice del Laser d’Oro senza specificare la trasmissione. Cfr. V. Fagone (a cura di), L’Art Vidéo. Vingt ans du Vidéo Art Festival, Locarno. Recherches, théories, perspectivs, Mazzotta, Milano 1999, p. 276.
  28. Cfr. O. Calabrese, L’età neobarocca, Laterza, Roma 1987.
  29. La puntata del 3 dicembre 1987 dedica un servizio alla trasmissione britannica.
  30. Su Plessi come artista “neobarocco” cfr. O. Calabrese, La tecnologia umanistica di Plessi, in L. Bonora (a cura di), Plessi, Canova, Treviso 1990, pp. 85-89.
  31. Cfr. V. Fagone (a cura di), Plessi – Video Going, catalogo della mostra, Electa, Milano 1985.
  32. Cfr. B. Di Marino, Studio Convertino, un segno tra video e musica, 2017: https://ilmanifesto.it/ studio-convertino-un-segno-tra-video-e-musica/ (ultima consultazione 25.VI.2020).
  33. Cfr. le dichiarazioni di Convertino e Sodi in S. Belli, G. Puma (a cura di), Immagina: segni e sogni del nostro tempo, in «VR Videoregistrare», n. 26, 1987, s.n.p.
  34. M. Bernardo, G. Blumthaler, I trucchi e gli effetti speciali fotografici ed elettronici, cit. pp. 91-99.
  35. Si veda la conversazione intavolata sulle pagine di «Video Magazine» da Felice Pesoli, alla quale partecipano anche Paolo Giaccio e Vittorio Fagone, mentre Immagina è in preparazione: F. Pesoli, Turbolenza video, quiete televisiva, in «Video Magazine», n. 69-70, 1987, pp. 58-61.
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È dottore di ricerca e cultore della materia in Storia dell’Arte Contemporanea alla Sapienza Università di Roma. La sua ricerca si è focalizzata sull’arte elettronica italiana degli anni Ottanta, della quale ha indagato le modalità espositive («Ricerche di S/Confine» 2018) e la circolazione in ambito televisivo («Piano b» 2019). I suoi studi sono attualmente incentrati sulla computer art italiana e sui suoi legami con il sapere scientifico e la tradizione artistica (S. Bordini, F. Gallo (a cura di), All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, Mimesis 2018; «Arabeschi» 2019; A, Bertuzzi, M. Rossi, G. Pollini (a cura di), In Corso d’Opera 3, Campisano 2019). Attualmente lavora come storica dell’arte per la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

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