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n. 8 – ottobre 20, Video

«Noi non riprendiamo la realtà: la inventiamo»: Eugenio Carmi

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https://doi.org/10.47109/0102200106

Tecnica del feedback applicata alla figura disegnata. Frame tratto dal video Olivo verde vivo.

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ABSTRACT

Alla fine degli anni Sessanta, su invito di Umberto Eco, Eugenio Carmi comincia a collaborare con il Servizio Programmi Sperimentali della Rai. Dopo alcune indagini sulla percezione, l’artista propone una vera “trasgressione” nell'impiego del mezzo televisivo: usare le telecamere non per filmare la realtà, ma per creare un video a colori completamente astratto. Dal confronto con i tecnici Rai, nasce l’idea di utilizzare in senso artistico il disturbo che si genera riprendendo con una telecamera un monitor collegato alla stessa telecamera. Hanno così origine le prime sperimentazioni italiane di quello che in videoarte è chiamato “effetto feedback”, arrivando fra il 1972 e il 1974 alla produzione del documentario Arte elettronica, arte della luce e dell’opera C’era una volta un re, e poi, nel 1977, alla fiaba animata Olivo verde vivo realizzata dalle figlie del pittore Antonia e Francesca Carmi assieme a Giulio Masoni.

La trasgressione del feedback

Eugenio Carmi arriva in Rai sul finire degli anni Sessanta.

Mario Raimondo, chiamato nel 1968 a dirigere il Servizio Programmi Sperimentali1, sta approfondendo con Umberto Eco l’idea di «esplorare tutta una serie di elementi, che riguardavano la telecamera, e quindi la percezione visiva, e quindi gli spazi, e quindi i colori. Quando parlammo di queste cose, Umberto disse subito: Eugenio su questo è un maestro, dobbiamo chiamarlo»2. Nasce così, un po’ per caso e un po’ per amicizia, un piccolo gruppo, di cui entra a far parte anche il professore di psicologia Marcello Cesa-Bianchi.

Inizialmente ci si incontra per analizzare la comunicazione tv – ad esempio azzerando il volume e concentrandosi sulla sola componente visuale – e Carmi cura gli elementi grafici per i filmati sperimentali Dove e quando e Dal celeste impero a Chang Kai Shek, che Eco realizza fra il 1968 e il 1970 al fine di studiare la comprensibilità dei programmi televisivi, in collaborazione con il Servizio Opinioni.

«Anche se il mio mestiere era la pittura, sono sempre stato interessato a quello che il nostro tempo ci dà, ci fornisce: la tecnologia, quindi, purché usata bene»3. “Fabbricante di immagini”4 e instancabile sperimentatore, dal 1958 al 1965 Carmi è stato consulente artistico dell’Italsider e nel 1966, per la Biennale di Venezia, ha creato con un amico ingegnere la SPCE, una macchina che scompone le immagini per poi ricomporle in relazione agli stimoli sonori prodotti dagli spettatori5.

Macchie di colore generate con la tecnica del feedback. Frame tratto dal video <em>C’era una volta un re</em>.
Macchie di colore generate con la tecnica del feedback. Frame tratto dal video C’era una volta un re.

«Le regole sono importanti, ma anche trasgredirle per riuscire a scoprire qualcosa, è molto importante. Questo è importante nella vita, nell’arte, nell’amore, in tutte le cose che ci riguardano»6. Così Carmi comincia a immaginare una “trasgressione” anche in campo televisivo, sovvertendo le regole degli studi per creare qualcosa di completamente nuovo: coerentemente con la propria impostazione artistica, propone di realizzare un filmato astratto.

«Sperimentazione per Carmi significa soprattutto coinvolgere gli altri, trascinandoli con le sue idee e con le sue utopie»7, avvalendosi della professionalità e dei suggerimenti di ingegneri, operai e studiosi. Mario Raimondo riesce a mettere a disposizione dell’artista una troupe televisiva «molto simpatica, molto brava»8, con cui Eugenio Carmi si confronta.

Ho chiesto a loro di usare la telecamera in un modo diverso da quello normale: l’uso normale della telecamera è riprendere la realtà, riprendere le cose. Allora io ho detto: noi non riprendiamo la realtà, la inventiamo. E per inventarla, domando a voi: tecnicamente, come possiamo fare? E allora siamo arrivati alla conclusione che, per non riprendere le cose che stavano intorno, bisognava fare un collegamento diverso9.

I macchinisti Rai sanno che inviando il segnale di una telecamera ad un monitor e riprendendo con la telecamera il monitor stesso, si creano effetti di disturbo: Carmi intuisce la valenza artistica di questi “errori”, che paragona suggestivamente all’espressione di una persona messa a disagio. «Succede l’imprevisto: cominciano i disturbi. E i disturbi sono delle immagini straordinarie, che cominciano ad apparire e si muovono in continuazione»10.

Scopriamo così un dato inaspettato, ignorato dagli storici della videoarte: all’inizio degli anni Settanta vengono attuate in Rai le prime sperimentazioni italiane del cosiddetto “effetto feedback”, figura fondamentale del linguaggio elettronico.

Arte elettronica, arte della luce

Intervistato nel 1973, Carmi parla dell’avventura con gli Sperimentali Rai come di «un fatto estremamente importante per me, molto interessante»: «è appena incominciata, ma potrà ancora portare a risultati nuovi che in questo momento ancora non conosco»11.

Il primo risultato degli esperimenti condotti fra il luglio 1972 e il luglio 1974 è Arte elettronica, arte della luce, un singolare programma di 33’ «insieme didattico e creativo sulla formazione delle immagini video»12, «con una prevalenza di immagini, ma anche con un parlato chiaro e lineare sulle ragioni di una ipotesi critica delle più avanzate; e, insieme, una esemplificazione efficacissima delle possibilità tecniche ed espressive del colore televisivo»13. La critica d’arte Lorenza Trucchi ne cura la realizzazione assieme a Carmi14, con la consulenza scientifica di Cesa-Bianchi e del neurofisiologo Mauro Mancia; la regia è di Kicca Mauri Cerrato.

Ad un primo livello, siamo di fronte ad un documentario che intende illustrare i meccanismi scientifici della visione umana e della trasmissione televisiva. Avvalendosi di una tradizionale voce over, il programma mostra esempi di illusioni ottiche e di opere d’arte, enfatizzando gli aspetti soggettivi della percezione. Quando ancora la Rai trasmette in bianco e nero e produce per lo più in pellicola, ecco un programma realizzato a colori su nastro magnetico, che spiega che, in un certo senso, «il colore non esiste: lo vediamo noi, perché cellule recettrici della nostra retina sono selettivamente stimolate dalle varie lunghezze d’onda, che formano i colori che voi vedete nello schermo. Siamo entrati nell’era elettronica: la più estesa, la più fluida»15.

All’approccio divulgativo si intreccia la riflessione sulle potenzialità artistiche della tv:

Con lo sviluppo della televisione, divenuta ormai il mezzo più importante della comunicazione di massa, ci si è posta l’ipotesi di una nuova arte elettronica: ipotesi non azzardata e già ventilata fin dal 1952 da Lucio Fontana nel Manifesto Spaziale per la Televisione. Più recentemente, queste ipotesi sono state riprese da numerosi critici e sociologi, primo fra tutti McLuhan.

Appaiono le immagini realizzate da Carmi e lo speaker sottolinea come esse siano state create «con tecniche e materiali del nostro tempo. Invece del pennello o della spatola, si sono adoperati mezzi elettronici; invece del tradizionale colore e di altre materie, sono state usate frequenze di luce».

Il programma chiarisce qual è il procedimento tecnico all’origine di questo “bombardamento di immagini”16. Protagonista è proprio il feedback, anche se non viene chiamato così: facendo riferimento all’analogo fenomeno dell’«innesco audio» (l’effetto Larsen), si parla qui di «innesco video»: «percepito visivamente come immagine casuale e non ordinata. Essa può subire infinite variazioni nella forma e nel colore. Un tale tipo di innesco è molto interessante, e può costituire un nuovo strumento di creatività». Infatti «l’artista dipinge elettronicamente» «modificando i parametri dell’anello di innesco» (agendo cioè sulle regolazioni della telecamera e del monitor, e variandone distanza e angolazione) e «operando un opportuno montaggio su un nastro magnetico». Inoltre «il pittore Eugenio Carmi», ormai divenuto «progettista di immagini e di sequenze visive», ha mixato al flusso altre immagini, da lui elaborate, che assumono così la funzione di “matrici di innesco”.

«L’arte elettronica», prosegue lo speaker, «nasce e si sviluppa su se stessa, attraverso un processo di continue e veloci mutazioni, che, anche per l’intervento delle forti componenti casuali, non hanno più alcun aggancio con la realtà oggettiva». Si restringe cioè notevolmente l’ambito dell’arte video, quasi esclusivamente identificata con la tecnica del feedback, giungendo alla conclusione che «l’arte elettronica è sempre, necessariamente, astratta, fino ad essere una rappresentazione di se stessa». Sebbene un’affermazione come questa possa oggi apparire riduttiva rispetto alle molteplici possibilità della videoarte, è significativo che nella Rai del 1974 si siano già colte le peculiarità della nuova tecnica: il feedback è infatti un fenomeno specifico dell’arte elettronica (non si può realizzare ad esempio con la pellicola), che consente di ottenere la generazione spontanea e randomica di immagini, rivelando così l’identità “interna”, recondita, del video17.

Anche le osservazioni con cui si chiude Arte elettronica, arte della luce anticipano sorprendentemente molte future teorizzazioni sulla videoarte:

Altra caratteristica dell’arte elettronica è il suo dinamismo – meglio, la sua interna fluidità: le immagini non sono mai statiche, mai fisse, mai definitive. Il loro essere è il loro incessante divenire […]. Una fluidità metamorfica, inarrestabile, che coinvolge lo spettatore; un fiume di immagini conseguenti ma imprevedibili […] che scorre con un nuovo ritmo, il ritmo elettronico della luce-colore.

C’era una volta un re

Partendo dallo stesso “materiale visivo” di Arte elettronica, arte della luce, Carmi realizza un programma a colori di 26’, completamente astratto: C’era una volta un re (1974). Nato come «saggio di pittura elettronica» (così è definito nelle relazioni interne)18, è in effetti una straordinaria opera di videoarte.

Le immagini registrate lavorando fianco a fianco con i tecnici vengono selezionate e montate; il musicista Angelo Paccagnini, che ha diretto lo Studio di Fonologia Musicale della Rai di Milano, compone la colonna sonora: anch’essa ottenuta elettronicamente, elaborando i segnali visivi e traducendoli con un sintetizzatore in segnali sonori, «per una ricerca di consonanze elettroniche tra immagine e suono»19.

Il titolo suggerisce una dimensione fiabesca lasciata alla libera immaginazione dello spettatore. Come accade anche nella sua produzione pittorica, Carmi privilegia un titolo “narrativo”, sollecitando chi guarda a superare l’apparente asemanticità dell’astrazione20.

C’era una volta un re è un affascinante viaggio nel mondo magmatico dell’immagine elettronica. Ci troviamo all’interno di un universo ipnotico, popolato di macchie dai colori cangianti, in continua evoluzione. Se, nei dipinti di Carmi, cerchi e quadrati si accostano timidamente gli uni agli altri, danzano e fuggono, si incontrano, si compenetrano e si innamorano, il video fa dialogare figure dai contorni più irregolari: la macchia blu e la macchia rossa si avvicinano, si corteggiano, fino a sovrapporsi parzialmente e, poi, ad essere inglobate l’una nell’altra.

Percorse da onde concentriche, le immagini “dipinte” dal feedback ricordano la superficie di uno specchio d’acqua: illuminata dai raggi del sole, avvolta in un mulinello, o increspata per il lancio di un sasso. Le forme sono meduse fluttuanti, si moltiplicano all’infinito, attraversano tunnel vorticosi e caleidoscopici.

Forme elaborate dall’artista e utilizzate come “matrici di innesco” per il <em>feedback</em>. Frame tratto dal video <em>C’era una volta un re</em>.
Forme elaborate dall’artista e utilizzate come “matrici di innesco” per il feedback. Frame tratto dal video C’era una volta un re.

La colonna sonora rafforza l’impressione di un ambiente liquido, quasi gorgogliante. Le sonorità elettroniche sottolineano il ritmo delle immagini, ora rapido e pulsante, scandito dai rimbalzi elastici degli aloni luminosi e da veloci lampi di colore, ora rallentato e solenne. La musica, prima ironica e giocosa, introduce poi un’atmosfera di mistero e inquietudine.

Compaiono le “matrici di innesco” – segni grafici astratti, elaborati da Carmi – come apparizioni improvvise ed enigmatiche oppure come elementi quasi impercettibili, che, sovrapposti al flusso generato dal feedback, entrano subito a far parte dell’immagine manipolata. La conclusione del viaggio è affidata ad uno spazio uterino, caldo e avvolgente, entro cui si muovono “vivi” corpuscoli cellulari.

Lungi dall’essere una mera parentesi, l’esperimento televisivo rappresenta una tappa importante nel percorso espressivo di Eugenio Carmi. Sul feedback l’artista non può esercitare un controllo totale: non può determinare con precisione quei rapporti geometrici che nella sua pittura procedono per scarti minimi. Eppure, proprio nel video può trovare piena espressione il “teatro delle forme”: la capacità di muovere e animare lo spazio, insinuando l’errore e l’imprevisto dietro l’apparente esattezza. Carmi cerca sulla tela l’instabilità e la serendipità, e le rintraccia in quello «spettacolo continuo di immagini in divenire, che sono la esemplificazione assoluta del provvisorio»21. Come afferma Nicola Micieli, la stessa «pittura di Carmi appare, nel suo complesso, un laboratorio dell’immagine elettronica»22.

Forme elaborate dall’artista e utilizzate come “matrici di innesco” per il <em>feedback</em>. Frame tratto dal video <em>C’era una volta un re</em>.
Forme elaborate dall’artista e utilizzate come “matrici di innesco” per il feedback. Frame tratto dal video C’era una volta un re.

Olivo verde vivo

Qualche anno più tardi Carmi propone al Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi (che, dopo la riforma della Rai, ha sostituito il Servizio Programmi Sperimentali) di coinvolgere tre giovani in un altro video, che, come C’era una volta un re, possa essere realizzato «esclusivamente con la televisione» – sfruttando cioè le specificità del medium – e avendo «già in partenza una finalità estetica»23.

Si tratta di Olivo verde vivo, fiaba a colori di 13’, ideata e realizzata nel 1977 dalle giovanissime disegnatrici Antonia e Francesca Carmi, figlie del pittore, assieme all’architetto Giulio Masoni, con la consulenza di Carmi (presente durante le riprese) e Cesa-Bianchi, e la voce over di Paolo Poli. Come per C’era una volta un re, la colonna sonora è composta da Angelo Paccagnini sulla base delle immagini, mediante sintetizzatore e manipolatore elettronico del segnale audio.

Disegno intarsiato con immagini di repertorio. Frame tratto dal video <em>Olivo verde vivo</em>.
Disegno intarsiato con immagini di repertorio. Frame tratto dal video Olivo verde vivo.

«Intorno e dentro di noi esistono milioni di mondi possibili»; nel mondo del protagonista Olivo i personaggi sono colori, e ognuno è costretto a vivere separato dagli altri: ma, un po’ come avviene nelle opere di Carmi, l’uomo verde Olivo e la donna rossa Amaranta riescono a incontrarsi. In forma di fiaba, un messaggio di tolleranza, comprensione e apertura verso l’altro.

La struttura elementare della favola rappresenta un punto di partenza per esplorare le «possibilità narrative e scenografiche del mezzo elettronico usato al di fuori degli schemi tradizionali», superando le tecniche consuete del cartone animato, e «proporre allo spettatore un tipo di comunicazione allo stesso tempo accessibile e nuova rispetto a ciò che gli viene normalmente proposto»24.

I disegni delle sorelle Carmi sono ripresi dalle telecamere ed elaborati con il mixer e con vari effetti, dando vita ai fantasiosi mondi raccontati dalla voce over. Figurine ritagliate si animano, si sovrappongono, cambiano colore – e umore; vengono zoomate, solarizzate, intarsiate anche con immagini reali, di repertorio, o trattate con il feedback. Ritroviamo infatti la tecnica già sperimentata da Carmi, che qui è utilizzata sia in forma “pura” – come nei titoli di testa, ad evocare spirali e galassie – sia in applicazione alle figure disegnate, anche per rappresentare i turbamenti, onirici o amorosi, dei personaggi.

Le note Rai forniscono ulteriori dettagli tecnici: sono state impiegate due telecamere Philips LDK 3 e gli effetti di colore sono il risultato di manipolazioni cromatiche effettuate in punti diversi della catena video di ripresa (variazione della risposta cromatica delle telecamere, impiego del chroma-key e del “correttore di croma Albrecht”)25.

La televisione è un mezzo bellissimo

Nonostante le schede interne accennino a una loro eventuale trasmissibilità, i tre video non vanno mai in onda. Come molti dei lavori prodotti dalla sperimentazione Rai, hanno una fruizione alternativa: congressi di semiotica, rassegne organizzate dal Premio Italia, incontri del CIRCOM26.

Assistendo nel 1977 ad una proiezione di Olivo verde vivo, Renato Palazzi nota come l’opera sia nata

un po’ avventurosamente, sul filo di una sperimentazione tecnica che si è svolta alla cieca e che ha consentito ai realizzatori di tentare un primo, embrionale inventario di effetti possibili: è ora auspicabile che il lavoro possa essere proseguito in modo più programmatico e articolato perché questa esperienza ci sembra aprire nuovi spazi di ricerca per tutto il linguaggio televisivo27.

L’auspicio resta inesaudito. I dirigenti Rai perdono presto interesse per la sperimentazione creativa, e l’esperienza televisiva dell’artista si conclude «in modo quasi clandestino»28, senza la possibilità di sottoporre i lavori alla reazione del pubblico e ad una revisione critica, e di offrire dunque ai telespettatori quegli «stimoli percettivi di cui ogni uomo ha bisogno»29. Non saranno mai realizzati gli altri progetti che Carmi propone alla Rai: cartoni animati tratti dalle favole di Umberto Eco che l’artista aveva illustrato, e Stripsody, un video a colori di 14’ «rappresentazione audio-visiva delle onomatopee della lingua dei fumetti», che prevede il “canto” di Cathy Berberian su “partitura” di Carmi, ispirato all’omonima esperienza condotta con Eco e la Berberian nel 196630. Si esaurisce così prematuramente una ricerca sulle possibilità estetiche della tv, che avrebbe dovuto invece essere attuata in maniera sistematica e costante: perché «la televisione è un mezzo bellissimo […]. Allora la lotta che dobbiamo fare, con un po’ di speranza, è di ritornare a impossessarci di questo mezzo»31.

  1. Sulla storia di questo piccolo e innovativo nucleo sperimentale cfr. A. Barenghi, La struttura di sperimentazione Rai, dal 1968 al 1987, in «bianco e nero», fasc. 557-558, nn. 1-2, 2007, pp. 169-179.
  2. M. Raimondo, intervista mia, Milano 15.III.2006.
  3. E. Carmi, intervista mia, Milano 15.III.2006.
  4. La definizione è dello stesso Carmi: cfr. ad es. il suo intervento in Aa. Vv., Atti del Convegno su Le arti visuali e il ruolo della televisione, ERI / Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana, Torino 1979, p. 129.
  5. Una sperimentazione elettronica proseguita con le opere presentate alla mostra Superlund in Svezia (1967) e alla Semaine de recherche et d’action culturelle di Bordeaux (1967) e con il CarmO-Matic esposto alla mostra Cybernetic Serendipity di Londra (1968).
  6. E. Carmi, intervista mia, cit.
  7. V. Carmi (a cura di), A proposito della sperimentazione, in C. Cerritelli (a cura di), Premio Marconi 2004 per l’arte elettronica. Eugenio Carmi, Circolo Artistico di Bologna, Bologna 2004, p. 27.
  8. E. Carmi, intervista mia, cit.
  9. Ibidem.
  10. Ibidem. L’indicazione di Eco, per cui Carmi avrebbe ottenuto questi effetti puntando due telecamere l’una contro l’altra, non è esatta. Cfr. U. Eco, Carmi colpisce ancora [1973], in Id., D. Macmillan, Carmi, L’Agrifoglio, Milano 1996, p. 126.
  11. Programma Rai dal titolo Un’ora con Eugenio Carmi, curatore Gastone Favero, trasmesso il 18.VI.1973.
  12. Rai-Radiotelevisione Italiana, I Programmi Sperimentali dal 1968 ad oggi, luglio 1975, dattiloscritto, pp. non numerate, Roma, archivio personale di Sebastiano Di Paola.
  13. Scheda interna Rai, C’era una volta un re…, dattiloscritto, Roma, archivio personale di Silvano Fuà.
  14. Cfr. L. Trucchi, in «Res Publica», n. 1, settembre 1979, p. 13.
  15. Questa e le citazioni successive sono mie trascrizioni della voce over.
  16. Cfr. Scheda interna Rai, C’era una volta un re…, cit., dove si parla di un «flusso ininterrotto di composizioni informali a colori».
  17. La consapevolezza di essere di fronte a un procedimento creativo nuovo, che si avvale delle caratteristiche del mezzo televisivo come strumento espressivo autonomo per dar vita a una realtà autogenerata, si riscontra anche nella relazione interna Rai-Radiotelevisione Italiana, I Programmi Sperimentali dal 1968 ad oggi, cit., e negli interventi di Gillo Dorfles ed Eugenio Carmi in Aa. Vv., Atti del Convegno su Le arti visuali e il ruolo della televisione, cit., pp. 116-117 e 130.
  18. Rai-Radiotelevisione Italiana, I Programmi Sperimentali dal 1968 ad oggi, cit.
  19. Ibidem.
  20. Nei ricordi di Carmi e nella Scheda interna Rai, C’era una volta un re…, cit., compare un titolo più lungo: C’era una volta un re che aveva tre figlie bellissime, in cui cogliamo anche un riferimento autobiografico (le figlie dell’artista).
  21. Un’ora con Eugenio Carmi, cit.
  22. N. Micieli, Eugenio Carmi. Teatro delle forme, in Id. (a cura di), Carmi, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera (PI) 1991, p. 12.
  23. E. Carmi in Aa. Vv., Atti del Convegno su Le arti visuali e il ruolo della televisione, cit., p. 131.
  24. Rai-Direzione Generale, Ricerca e Sperimentazione Programmi, Note illustrative, 30 settembre 1977, dattiloscritto, pp. non numerate, Roma, archivio personale di Sebastiano Di Paola.
  25. Ibidem.
  26. Coopérative Internationale de Recherche et d’Action en matière de Communication.
  27. R. Palazzi, Rai senza allori al Premio Italia, in «Corriere della Sera», 25 settembre 1977, p. 23.
  28. E. Carmi in Aa. Vv., Atti del Convegno su Le arti visuali e il ruolo della televisione, cit., pp. 130-131.
  29. Ibidem.
  30. Cfr. Rai-Direzione Generale, Ricerca e Sperimentazione Programmi, Note illustrative, cit.
  31. E. Carmi, intervista mia, cit.
Author

Anna Barenghi si è formata all’Università di Pisa e ha lavorato in Rai occupandosi di ricerche nelle Teche, comunicazione social e produzione; attualmente è Responsabile della Biblioteca Villino Corsini (Villa Pamphilj) nell’ambito dell’Istituzione Sistema delle Biblioteche Centri Culturali di Roma Capitale. Fra le sue pubblicazioni: La valorizzazione degli archivi televisivi. Un esempio: le Teche Rai in A. Di Brino (a cura di), L’audiovisivo. Conservazione - valorizzazione, Firenze 2007; La struttura di sperimentazione Rai, dal 1968 al 1987, in «bianco e nero» 2007; Gianni Toti e le diSper(iment)azioni Rai - entrevista, in A. Gondra Aguirre (a cura di), Gianni Toti. La creación total, Barcellona 2012; Gianni Toti. Un (di)sperimentale alla Rai, in S. Lischi e S. Moretti (a cura di), Gianni Toti, o della poetronica, Pisa 2012.

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