Il saggio approfondisce le proiezioni di “immagini luminose in movimento” realizzate da Lucio Fontana nel 1952, anno del Manifesto del movimento spaziale per la televisione. Analizzando poco noti e nuovi documenti e riesaminando il contesto storico e artistico in cui sono nate, il contributo propone una rilettura di queste ricerche mettendone in luce la dimensione ambientale. Caso emblematico all’interno di una “pre-cronistoria” dei rapporti tra arte e televisione, l’interesse di Fontana per il nuovo mezzo televisivo è ricompresa così nell’originale percorso che dal Manifiesto Blanco porta alla creazione dei primi pionieristici “ambienti”.
«Noi spaziali trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte». Con questa dichiarazione carica di entusiasmo e di aspettative si apre il Manifesto del movimento spaziale per la televisione, firmato nel 1952 da un gruppo di artisti aderenti allo Spazialismo o che al movimento fondato da Lucio Fontana furono occasionalmente vicini1. Questo e altri passaggi alludono all’ideazione di una «manifestazione spaziale»2 per la Radiotelevisione italiana, che all’epoca viveva ancora una fase cosiddetta sperimentale, precedente l’avvio delle trasmissioni regolari nel 1954. Si tratta delle proiezioni di “immagini luminose in movimento” realizzate da Fontana utilizzando, come schermo attraverso cui far filtrare la luce, alcuni dei suoi Concetti spaziali percorsi da vortici di “buchi”.
Attorno a questa pionieristica esperienza – approfondita in più occasioni dalla critica3 – aleggia ancora oggi una sorta di “mito”, che, se rispecchia positivamente l’innegabile ruolo di precursore riconosciuto al maestro italo-argentino, rischia di favorire in alcuni casi letture del tutto slegate dalle sue effettive radici e dal contesto artistico in cui è nata. Riallacciando prospettiva storica e indagine documentaria, il mio contributo si propone di portare nuovi tasselli all’analisi di queste ricerche, che rappresentano uno dei casi più emblematici di una “pre-cronistoria” dei rapporti tra arte e televisione e ricoprono un posto originale nel percorso che conduce Fontana alla creazione dei primi “ambienti”.
I semi di questi sviluppi si possono rintracciare nell’ultimo periodo di permanenza in Argentina, precedente il ritorno in Italia nel 1947, quando l’artista partecipa al vivace clima culturale di Buenos Aires4, entrando in contatto con i giovani protagonisti della nascente avanguardia astratta (dal movimento Arte Concreto-Invención a Madí), da cui è guardato come un maestro per la sua militanza «nelle file dell’astrattismo europeo» degli anni Trenta5. Nel contesto di questi appassionati dibattiti e dal generoso e anticonvenzionale rapporto con i suoi allievi nasce nel 1946 il Manifiesto Blanco6, con cui Fontana entra nel vivo della «polemica artistica» più attuale7. Il manifesto, riallacciandosi all’eredità del Futurismo, propone un rinnovamento totale dell’arte che si accordi con i nuovi sviluppi della scienza:
Noi continuiamo l’evoluzione dell’arte. L’arte sta attraversando un periodo di latenza. C’è una forza che l’uomo non può ancora manifestare. Per questo chiediamo a tutti gli uomini di scienza del mondo […] che orientino una parte delle loro ricerche verso la scoperta di questa sostanza luminosa e plasmabile e degli strumenti che produrranno suoni, che permetteranno lo sviluppo dell’arte tetradimensionale8.
Come ha ricordato uno dei giovani firmatari, Jorge Roccamonte:
Chiedevamo agli scienziati di scoprire nuovi materiali, di inventare nuove tecniche, nuovi mezzi di comunicazione. […] Volevamo, per esempio, che il mondo intero fosse in condizione, contemporaneamente, di vedere masse di colore proiettate nel cielo di Buenos Aires, per mezzo di riflettori giganti o di altri mezzi meccanici. Anticipavamo la televisione? Mi pare di sì, abbastanza, anche se non possedevamo alcun dato tecnico concreto9. O forse lo possedevano i nostri amici firmatari che s’interessavano d’ingegneria. Masse di colore che diventassero messaggio per il giapponese, il filippino, il cileno, l’italiano10.
Al rientro in Italia le riflessioni e aspirazioni del Manifiesto Blanco maturano nella nascita dello Spazialismo, movimento fondato da Fontana insieme a un gruppo di letterati, intellettuali, artisti e sostenuto da Carlo Cardazzo, direttore della Galleria del Naviglio a Milano e della Galleria del Cavallino a Venezia: «Era appena finita la guerra, e Lucio Fontana ritornato dall’America aveva portato a Milano la sua vitalità e tutta una serie di idee nuove e audaci. Ricordo le prime serate, i primi raduni in cui si parlava dell’energia atomica e della televisione, e di tutte le altre conquiste della fisica e della tecnica»11. La conoscenza, seppur intuitiva, della teoria della relatività di Einstein e della fisica quantistica, la consapevolezza dell’ingresso in una nuova era atomica modificano la percezione della realtà e del cosmo e non possono non influenzare, per gli Spaziali, anche la creazione artistica12. «Noi pensiamo di svincolare l’arte dalla materia […]. È impossibile che l’uomo dalla tela, dal bronzo, dal gesso, dalla plastilina non passi alla pura immagine aerea, universale, sospesa»13. Secondo questa prospettiva la televisione è citata nei primi dibattiti e nei manifesti del gruppo: «un’espressione d’arte aerea di un minuto è come se durasse un millennio, nell’eternità. A tal fine, con le risorse della tecnica moderna, faremo apparire nel cielo forme artificiali, arcobaleni di meraviglia, scritte luminose. Trasmetteremo per radiotelevisione espressioni artistiche di nuovo modello»14.
Lucio Fontana, il solo a indagare concretamente queste dichiarazioni d’intenti, immagina la televisione come un nuovo spazio di comunicazione per il quale ideare esposizioni trasmissibili simultaneamente in tutto il mondo15, ma anche quale strumento capace di proiettare nello spazio immagini in movimento, colori e suoni, secondo una concezione che supera i limiti tradizionali di pittura e scultura nella direzione di un’inedita dimensione ambientale e, in un certo senso, “planetaria”. Alcuni disegni restituiti agli studi dal catalogo generale curato da Luca Massimo Barbero, documentano queste prospettive di ricerca. Nel 1948 l’artista tratteggia una «Prima esposizione spaziale nel mondo», annotando: «descrizione tecnica delle nuove visioni d’arte attraverso la televisione»16. All’interno di quella che in un altro foglio definisce «camera trasmissiva»17 dispone una mostra antologica del suo lavoro, pensando l’allestimento come «un ambiente in cui lo spettatore possa fruire le opere in un modo alternativo», quasi come un «percorso performativo-visivo»18. Questi e altri disegni rappresentano l’«interessante e poco nota germinazione»19 del primo e pionieristico Ambiente spaziale a luce nera, inaugurato il 5 febbraio del 1949 alla Galleria del Naviglio di Milano. Usando la luce di Wood Fontana sovverte il modo tradizionale di intendere lo spazio espositivo, coinvolgendo il visitatore e innescando in lui una reazione emotiva. In modo simile in un disegno di quello stesso anno, descritto come «Concetto Spaziale trasmesso per televisione in un ambiente»20, immagina una figura immersa in un vortice luminoso che richiama le “cosmologie” dei primi “Buchi” o delle coeve gouache caratterizzate da nuclei di colore in espansione, come se queste opere fossero appunto “proiettate” nello spazio.
Come ha scritto Beniamino Joppolo: «Gli spazi sono per Fontana la nuova materia plastica su cui la sensibilità e l’intelligenza nostra possono trovare un loro pieno significato. Gli spazi entro cui l’uomo e l’universo si muovono relativi e assoluti, finiti e illimitati […] gli spazi lanciati in una vicenda senza sosta tra una geometricità euclidea ferma e perplessa e una geometricità in continuo movimento di forme e colori»21. I disegni dell’artista ci parlano di una televisione tutta immaginata, forse anche sulla scorta delle prove di trasmissioni in diretta andate in onda nel Palazzo dell’Arte di Milano nel 1949 durante la Prima esposizione internazionale della televisione, così descritte dalle cronache dell’epoca: «attraverso una parete di cristallo si vedono gli spettacoli dell’apposito teatro che simultaneamente appaiono sullo schermo della sala televisiva. Incrocio del cinema e della radio: si gira e si vede. Si vive l’ubiquità. […] La televisione è come un occhio nuovo regalato all’uomo»22. Tre anni più tardi, nel 1952, questo “nuovo occhio” sul mondo diventa a Milano realtà produttiva, quando, in occasione della XXX Fiera Campionaria (12-27 aprile), entra ufficialmente in funzione la stazione tv di Corso Sempione23. Davanti ai televisori installati nel padiglione Rai i visitatori della fiera possono vedere programmi di vario genere, alcuni dei quali trasmessi in diretta, facendo esperienza di una nuova “condizione spazio-temporale”, che è interessante rievocare attraverso le suggestive parole del critico d’arte e giornalista Marco Valsecchi:
Seduti dinanzi al televisore, lo spazio sembra dissolversi di colpo insieme al tempo, e ambedue srotolarsi in una dimensione sempre al presente, e l’ambiente in cui si sta a riguardare ecco si riempie al momento di figure, di cose, di avvenimenti anche lontani e svelati nella loro bruciante immediatezza, quasi si fosse dinanzi a un oblò aperto sul mondo e sulla vita, da cui si veda l’esistenza accadere sotto gli occhi con l’intatta e improvvisa mobilità delle cose reali24.
Al clima di entusiasmo vissuto dal paese e all’effettivo concretizzarsi a Milano di un centro di produzione televisivo vanno ricondotti il Manifesto del movimento spaziale per la televisione del 17 maggio 1952 e le «immagini luminose in movimento» “messe in scena” da Fontana. Queste ricerche, di cui non è finora emersa traccia audiovisiva25, sono documentate da due fotografie pubblicate dalla rivista «Spazio» tra le «trasmissioni sperimentali della Televisione – R.A.I. di Milano» a illustrazione di un articolo dell’architetto Luigi Moretti sul tema Arte e televisione26. La rivista rappresenta un contesto editoriale particolarmente significativo, che rimanda a un complesso e allargato dibattito interdisciplinare sul tema dello spazio e sulla sua rappresentazione e interpretazione in architettura e nelle arti visive. Un contesto che propone ad esempio una rilettura del Barocco e del Futurismo non solo in ottica storica, ma quali fonti vitali per la contemporaneità, solo per citare alcune delle molteplici tangenze tra la riflessione critica di Moretti, fondatore e direttore della rivista, e il pensiero creativo fontaniano27.
L’analisi delle fotografie usate per la pubblicazione, conservate tra le carte dell’architetto romano presso l’Archivio Centrale dello Stato, fornisce ulteriori elementi al nostro discorso. La prima, di cui è conservata una copia anche presso la Fondazione Lucio Fontana, mostra un Concetto spaziale illuminato dal retro con una lampada e utilizzato come schermo per proiettare nello spazio circostante dinamici filamenti di luce. La seconda non è la ripresa frontale di un’opera come è stato in passato ipotizzato, ma mostra l’effetto della proiezione dei “Buchi” fontaniani su una parete: “puro gesto creativo”, vibrazione luminosa nello spazio e «fecondo suggerimento» per la «megalografia e per la plastica architettonica», per riprendere le parole di Agnoldomenico Pica, che coglie i possibili sviluppi su scala ambientale di queste ricerche28. Sul verso della prima fotografia si legge il significativo titolo manoscritto da Fontana «Concetto Spaziale per televisione», mentre le iscrizioni autografe sul verso della seconda riportano: «Lucio Fontana “Concetto Spaziale” 1952», il nome della Galleria del Naviglio cancellato con dei tratti a penna e «Milano/ Concetto Spaziale per televisione»29.
Intervistato da Tommaso Trini nel 1968, l’artista ha fatto cenno a queste esperienze e al loro contesto di realizzazione: «Io ho fatto dei programmi in una mostra dello Spazialismo e del Nuclearismo in cui invadevo una stanza di rosso, di verde, di giallo, dando emotività attraverso la televisione»30. La mostra citata può essere identificata con la rassegna del Premio Gianni, che si svolge alla Galleria del Naviglio di Milano dal 26 aprile al 2 maggio 195231, sovrapponendosi per alcuni giorni con la Fiera Campionaria. L’esposizione, portata tra il 10 e il 17 maggio alla Galleria del Cavallino di Venezia32, rappresenta un momento di aggregazione degli eterogenei firmatari del Manifesto del movimento spaziale per la televisione, che segna un allargamento del gruppo spaziale, raccogliendo adesioni occasionali come quella di Alberto Burri.
Le tracce documentarie e le testimonianze fin qui discusse non permettono di affermare che la “trasmissione” di Fontana sia stata effettivamente ripresa dalle telecamere della Rai e mandata in onda nei giorni di apertura della Fiera33, ma consentono di meglio comprendere il contesto, sfaccettato e denso, in cui è nata e la sua natura pienamente ambientale. Nel 1967, pensando all’allestimento della sua mostra antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam, Fontana non a caso prevede una «Sala 6 (nera)» dedicata al primo ambiente spaziale del 1949, a cui fa seguire una «Sala 7 rossa», dedicata al Manifesto spaziale per la televisione, concepita come un ambiente in cui proiettare i suoi “Buchi”34.
Quello stesso 1967 in dialogo con Carla Lonzi sottolinea: «Cos’è il cinema? Il cinema è come fare un quadro del Trecento, oggi. […] Adesso, in America, ho letto che proiettan già, per televisione, delle forme nello spazio: allora, potrei fare già qualcosa, non è che trasmetterei delle figure, invaderei degli ambienti di colore, farei delle proiezioni, farei quello che vorrei, ma arrivi attraverso uno spazio e arrivi attraverso degli elementi veramente nuovi»35. Il riferimento ad esperienze americane contemporanee, forse identificabili con gli sviluppi dei Light Ballets di Otto Piene e alla sua collaborazione con Aldo Tambellini36 oppure, come ha suggerito Paolo Campiglio, con la mostra Light/ Motion/ Space di Minneapolis37, è conferma non solo della prospettiva dell’indagine televisiva fontaniana, ma anche del suo lascito alle più giovani generazioni.
Christine Mehring, studiando le originali esperienze artistiche nate agli albori delle tv nazionali, ha messo in evidenza come «television art started out closely related to abstract art. It was made by artists who primarily worked nonfiguratively in other media and who used the new medium to produce abstract images of a self-reflective nature»38. La televisione per Fontana è ancora un medium «senza contenuto», citando la nota definizione di Raymund Williams, e proprio per questo aperto a infinite e, in parte utopiche, possibilità.
Quando nel 1958 l’artista è chiamato a intervenire sul tema Cultura e televisione in occasione di una poco nota inchiesta promossa dalla rivista «Le Arti», discordando dall’opinione di molti altri intervistati, dà una serie di risposte che penso sia interessante rileggere oggi:
Quali sono le manchevolezze della T.V. nel campo culturale?
Molte, perché ritengo che sia un problema di non facile soluzione.
Come intenderebbe una rubrica di arti figurative? Come, una di letteratura? Come, una di scienze?
Una proposta mia personale avrebbe valore di parte; invece consiglierei la T.V. di richiedere ad un gruppo di persone competenti un programma adatto.
Ritiene che il pubblico italiano non sia maturo per trattazioni di carattere specializzato nel campo artistico?
Penso che al pubblico italiano possa interessare anche un programma artistico culturale, sempre che la T.V. lo sappia svolgere con intelligenza.
Pensa che sia necessario fermarsi solo alla cronaca degli avvenimenti?
La cronaca degli avvenimenti logicamente è la parte che più può interessare, la più consona a questo genere di informazione, e veramente la T.V. ha fatto e fa grandi progressi. […]
Le sembra giusto che su sei ore quotidiane di trasmissione non si possa concedere neppure mezz’ora a quella minoranza intellettuale che è tuttavia composta da milioni di persone?
Naturalmente mi sembra giusto! La T.V. è spettacolo e divertimento o passatempo. Mezz’ora o un’ora di trasmissione artistica culturale nel vero senso della parola, non influirebbe molto sulla cultura degli abbonati, ci vuol altro! Perciò è bene che la T.V. si mantenga su un programma culturale informativo […]39.
Nel 1961, presentando la mostra Miriorama 10, Fontana riprende alcuni punti centrali della pubblicistica spaziale, “aggiornandoli” per descrivere i lavori cinetici del Gruppo T: «Queste opere che escono dalle categorie e sono realizzate con materiali e mezzi offerti dalle scoperte della stessa civiltà attuale, propongono un’arte che nella variazione è continuamente immersa nel presente, un’arte che rifiuta la pretesa e usurata assolutezza dell’immagine per evidenziarne la relatività»40. È qui e nei diversificati sviluppi dell’arte ambientale che penso si trovi l’eredità delle pionieristiche ricerche “televisive” condotte da Fontana tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta.
- Anton Giulio Ambrosini, Alberto Burri, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Bruno De Toffoli, Gianni Dova, Enrico Donati, Lucio Fontana, Giancarozzi (Gian Carozzi), Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Guido La Regina, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Tancredi, Vinicio Vianello. Proponendo nel 1956 una prima storicizzazione della pubblicistica spaziale, Giampiero Giani ristampa il manifesto come «VI manifesto per una trasmissione televisiva di Lucio Fontana. Milano, 1952» (G. Giani, Spazialismo. Origini e sviluppi di una tendenza artistica, Edizioni della Conchiglia, Milano 1956, s.p.). ↩
- «Siamo lieti che dall’Italia venga trasmessa questa nostra manifestazione spaziale, destinata a rinnovare i campi dell’arte». ↩
- Tra coloro che hanno dato un contributo essenziale all’analisi di queste esperienze, ricordo: Silvia Bordini (Ead., Videoarte & arte. Tracce per una storia, Lithos, Roma 1995); Matteo Chini (Id., Prove tecniche di Spazialismo, in «Art e Dossier», n. 145, maggio 1999, pp. 13-16; Id., Lo spazio in onda: Lucio Fontana e la televisione, in “Annuario della Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università di Bologna, n. 1, 2000, pp. 104-133); Christine Mehring (Ead., Television Art’s Abstract Starts: Europe circa 1944-1969, in «October», vol. 125, estate 2008, pp. 29-64); Antony White (Id., TV or not TV: Lucio Fontana’s “Luminous Images in Movement”, in «Grey Room», n. 34, inverno 2009, pp. 6-27). ↩
- Cfr. E. Crispolti (a cura di), Fontana e lo Spazialismo, catalogo della mostra, Edizioni Città di Lugano, Lugano 1987. ↩
- T. Maldonado, Avanguardia e razionalità, Einaudi, Torino 1974, p. 6. ↩
- Il manifesto, ispirato da Fontana, è firmato da un gruppo di suoi allievi. Cfr. J.A. Roccamonte, E. Crispolti, Su Fontana e il Manifiesto Blanco a Buenos Aires, in E. Crispolti, R. Siligato (a cura di), Lucio Fontana, catalogo della mostra, Electa, Milano 1998, pp. 102-107. ↩
- Cfr. lettera di Fontana a Enrico Crispolti, 28 settembre 1960, ora in E. Crispolti, Carriera barocca di Fontana: taccuino critico 1959-2004 e carteggio 1958-1967, a cura di P. Campiglio, Skira, Milano 2004, pp. 335-336. ↩
- Manifiesto Blanco, 1946, ora in E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni, Skira, Milano 2006, p. 111. ↩
- Le prime prove della televisione argentina datano al 1945, quando un gruppo di industriali capeggiati da Martin Tow, firma un accordo con l’azienda statunitense DuMont Laboratories per installare il primo trasmettitore televisivo del Sudamerica. Cfr. DuMont B.A. Video, in “The Billboard”, vol. 57, n. 27, 7 luglio 1945, p. 15. ↩
- J.A. Roccamonte, E. Crispolti, Su Fontana e il Manifiesto Blanco a Buenos Aires, cit., pp. 105-106. ↩
- C. Cardazzo in Spazialismo, catalogo della mostra (Milano, Galleria del Naviglio, 29 maggio – 7 giugno 1956), Milano 1956, ora in L.M. Barbero (a cura di), Lucio Fontana e gli Spaziali. Fonti e documenti per le Gallerie Cardazzo, Marsilio, Venezia 2020, p. 87. Per approfondire la figura di Cardazzo: L.M. Barbero (a cura di), Carlo Cardazzo. Una nuova visione dell’arte, catalogo della mostra, Electa, Milano 2008. ↩
- Per approfondire: R. Siligato, Simbolismo e scienza nella luce di Fontana e A. Oliverio, Riflessi della scienza nell’opera di Lucio Fontana, in E. Crispolti, R. Siligato (a cura di), Lucio Fontana, cit., pp. 17-30. ↩
- Spaziali, primo manifesto dello Spazialismo, 1947. Per la disamina sulla datazione, numerazione e paternità dei manifesti dello Spazialismo rimando a D. Marangon, Manifesti dello Spazialismo, in E. Crispolti (a cura di), Fontana e lo Spazialismo, cit., p. 71. ↩
- Spaziali, secondo manifesto dello Spazialismo, 18 marzo 1948. Cfr. nota precedente. ↩
- Cfr. T. Trini, Ultima intervista a Lucio Fontana, estratti a cura di J. De Sanna, in B. Corà (a cura di), Burri e Fontana 1949-1968, catalogo della mostra, Skira, Milano 1996, p. 68. ↩
- L.M. Barbero, Lucio Fontana. Catalogo ragionato delle opere su carta, Skira, Milano 2013, 48 DBL 26. ↩
- Ivi, 48 DBL 27. ↩
- L.M. Barbero, Lucio Fontana: i disegni. Dallo spazio espositivo all’ambiente percorribile, in M. Pugliese, B. Ferriani, V. Todolì (a cura di), Lucio Fontana. Ambienti/ Environments, catalogo della mostra, Mousse-Pirelli Hangar Bicocca, Milano 2018, p. 63. ↩
- Ivi, p. 61. ↩
- L.M. Barbero, Lucio Fontana. Catalogo ragionato delle opere su carta, cit., 49 DAS 23. ↩
- B. Joppolo in L’ambiente spaziale di Lucio Fontana, pieghevole della mostra (Milano, Galleria del Naviglio, 5-11 febbraio 1949), Milano 1949, ora in L.M. Barbero (a cura di), Lucio Fontana e gli Spaziali, cit., p. 45. ↩
- La Settimana Incom, 15 settembre 1949. ↩
- La radio italiana alla XXX Fiera di Milano, in «Radiocorriere», n. 15, 6-12 aprile 1952, p. 3. ↩
- M. Valsecchi, La cultura, in «Radiocorriere», n. 51, 19-25 dicembre 1954, p. 29. ↩
- All’epoca la Rai non aveva la possibilità di registrare i programmi trasmessi in diretta. I programmi di questi primi anni che ci sono pervenuti sono stati filmati su pellicola. ↩
- L. Moretti, Arte e televisione, in «Spazio», n. 7, dicembre 1952-aprile 1953, pp. 74 e 106. L’articolo non parla in specifico delle ricerche di Fontana. ↩
- Per approfondire: L. Tedeschi, Algoritmie spaziali. Gli artisti, la rivista “Spazio” e Luigi Moretti (1950-1953), in B. Reichlin, L. Tedeschi (a cura di), Luigi Moretti. Razionalismo e trasgressività tra barocco e informale, Electa, Milano 2010, pp. 137-177. ↩
- A. Pica, Lucio Fontana e lo Spazialismo, in Fontana, Edizioni del Cavallino, Venezia 1953, ora in L.M. Barbero (a cura di), Lucio Fontana e gli Spaziali, cit. p. 51. ↩
- Roma, Archivio Centrale dello Stato, Fondo Luigi Moretti, Busta 38. Ringrazio Stefano Setti per il prezioso aiuto nella ricerca presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Le due immagini fanno parte di un’interessante serie di fotografie di Concetti spaziali del ciclo dei “Buchi” retroilluminati o illuminati con luce radente. Una di esse, di cui è autore Attilio Bacci, è stata riprodotta nella monografia di Guido Ballo del 1970 con il titolo di Ambiente spaziale (G. Ballo, Fontana: idea per un ritratto, ILTE, Torino 1970, p. 159, fig. 191). ↩
- T. Trini, Ultima intervista a Lucio Fontana, cit., p. 68. ↩
- Al premio, destinato a dipinti spaziali e nucleari ispirati alla bomba atomica, partecipa, tra gli altri, anche Burri che in questi anni espone nelle gallerie di Cardazzo. ↩
- Lucio Fontana ha esposto in questa occasione e nella sua di poco successiva personale alla Galleria del Naviglio (26 maggio – 6 giugno 1952) alcuni Concetti spaziali retroilluminati, come documentato dalla stampa dell’epoca (ad esempio Outside is everything, in «Time», vol. 59, n. 21, 1952, p. 73). Queste sperimentazioni trovano sviluppo in opere ambientali come i soffitti luminosi realizzati per i padiglioni Breda e Sidercomit alla Fiera di Milano del 1953. Cfr. A. White, TV or not TV: Lucio Fontana’s “Luminous Images in Movement”, cit. ↩
- Le trasmissioni sperimentali si interrompono dopo la chiusura della Fiera e riprendono in autunno. Da due lettere di Fontana a Pablo Edelstein (17 ottobre 1952) e Gyula Kosice (3 febbraio 1953), già discusse da Matteo Chini, si ricava che tra l’autunno 1952 e l’inverno 1953 erano previste alcune trasmissioni “spaziali” (P. Campiglio (a cura di), Lucio Fontana. Lettere 1919-1968, Skira, Milano 1999, pp. 129-130 e 122). Questa informazione è confermata da un articolo del 16 ottobre 1952, che annuncia che «il venti novembre prossimo gli spaziali trasmetteranno le loro opere per televisione da Milano» (F. Castellani, Il Movimento spaziale va guadagnando… spazio, in «Il Gazzettino», 16 ottobre 1952). ↩
- Disegni allegati alla lettera di Lucio Fontana ad Ad Petersen, direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam, del 21 febbraio 1967, riprodotti in P. Campiglio (a cura di), Lucio Fontana. Lettere 1919-1968, cit., p. 241. ↩
- P. Campiglio (a cura di), Milano, 10 ottobre 1967: Carla Lonzi intervista Lucio Fontana, in Id. (a cura di), Lucio Fontana: sedici sculture, Silvana Editoriale, Milano 2007, pp. 55-56. ↩
- Ad esempio The proliferation of the Sun del 1967 al Black Gate Theater di New York, che precede le trasmissioni Black Gate Cologne: a Light Play (1968, WDR Fernsehen) e The Medium is the Medium (1969, WGBH, Boston). ↩
- P. Campiglio (a cura di), Milano, 10 ottobre 1967: Carla Lonzi intervista Lucio Fontana, cit., p. 65, nota n. 45. ↩
- C. Mehring, Television Art’s Abstract Starts: Europe circa 1944-1969, cit., p. 30. Mehering analizza le ricerche di Karl-Otto Götz, Fontana, Nam June Paik, Karl Gerstner e il Gruppo Zero. ↩
- Cultura e televisione, inchiesta a cura di G. Sperandio, in «Le Arti», febbraio 1958, p. 5. ↩
- L. Fontana, testo pubblicato nell’invito della mostra Miriorama 10, Galleria La Salita, Roma, 14 aprile 1961, ora in A. Sanna (a cura di), Lucio Fontana. Manifesti, scritti, interviste, Abscondita, Milano 2015, p. 66. Cfr. Bordini, Videoarte & arte, cit., p. 25. Sul tema dell’ambiente e delle prime videoinstallazioni cfr. V. Valentini, Ipotesi per una pre-storia delle installazioni video, in «Sciami| Ricerche», n. 6, ottobre 2019, pp. 37-52. ↩