Tradotto dall'inglese da Valentina Ajmone Marsàn
Revisione di Angela Bozzaotra
Originariamente pubblicato in inglese in: Ella Finer, The Aura of Aural, «Performance Research», volume 22.n.3, aprile/maggio 2017 pp. 15-20
Soggiogato e confuso dalla distanza tra l'altoparlante e il ricevitore nella prima comunicazione telefonica, un reporter anonimo di Scientific American chiamò questo fenomeno "un arioso non-luogo, abitato da voci e null'altro". Concependo le distanze temporali e spaziali come aree che possono ospitare gli eventi della voce, questo articolo considera la voce registrata come un particolare esempio di trasmissione nell'"arioso non-luogo". L'articolo analizza inoltre come la riproduzione si complichi in base alla distanza attraverso e all'interno della quale la voce performa; sperimentando infine come il materiale della registrazione possa rendere la voce più materica nel suo suono, questa ricerca si domanda se la registrazione della voce possieda una sua propria presenza "auratica" nell'istanza della sua riproduzione sonora.
Un anonimo giornalista della popolare rivista scientifica Scientific American, confuso dalla distanza fra chi parlava e chi ascoltava delle prime comunicazioni telefoniche, le chiamava un etereo non luogo, abitato da voci e da nient’altro”1. Concependo le distanze spaziali e temporali come aree che ospitano l’evento della voce, questo articolo assume la voce impressa sul disco in vinile come un esempio particolare di trasmissione nell’etereo non luogo. In questo testo indago come la riproducibilità complichi la distanza dalla quale la voce è emessa, sperimentando come il materiale su cui viene impressa la registrazione possa rendere più concreto il suono della voce. Sostengo che la voce registrata abbia la sua presenza ‘auratica’ nel momento della sua ripetizione.
Mi riferisco all’opera dell’artista Georgina Starr , Mum Sings Blues (2009), una registrazione della madre dell’artista che canta, affidata alla segreteria telefonica e ri-registrata per sedici volte. Prendo in esame quest’opera come esempio di una voce registrata che trasmette coprendo la distanza fra il ‘parlante’ e chi ascolta, e applico il concetto di Walter Benjamin circa la distanza riguardo all’‘aura’ dell’opera d’arte2. Come si sa, Benjamin sosteneva che la riproducibilità dell’arte nelle società moderne distrugge la sua aura, la sua presenza unica nello spazio e nel tempo. Il contesto e l’unicità del tempo e dello spazio del saggio di Benjamin – in concomitanza con l’ascesa al potere di Hitler– influenzarono il modo in cui la perdita dell’aura fu recepita come ciò che rendeva possibile un uso politico dell’arte che avrebbe potuto promuovere la rivoluzione socialista. Anche le artiste femministe degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso avevano preoccupazioni simili, ‘attaccando il corpo auratico’ per complicare la presenza dell’artista donna, la rappresentazione di sé e della sua soggettivit 3. Elin Diamond portò l’attenzione sul corpo aggredito, riferendosi alla distinzione di Benjamin fra attori di teatro e attori di cinema, al fatto che ‘egli vedeva l’attore cinematografico parcellizzato dalle tecnologie della riproduzione, mentre, “l’aura dell’attore di teatro è legata alla sua presenza; non essendoci riproducibilità”4. Tuttavia, nell’analisi di Diamond dell’arte femminista degli anni ‘90, le artiste soliste fanno (nuovamente) un uso consapevole del corpo auratico per cambiare effettivamente la distanza fra il loro corpo e lo spettaore/ascoltatore. Considero questo cambiamento di distanza dalla prospettiva vocale, per esaminare come e con quale effetto si può praticare la voce auratica.
HELLOLAND
Torniamo all’anonimo giornalista dello Scientific American, che, con poetica chiarezza, continuava a descrivere la singolare condizione del parlare attraverso le linee telefoniche: “Fra noi due c’è un etereo non luogo, abitato da voci e da nient’altro – dovrei chiamarlo Helloland”5, immaginato come un sito nel grande spazio del non luogo: un paesaggio invisibile contornato da voci in movimento. Chiamare questa distanza fra parlante e ascoltatore ‘un luogo’, vuol dire pensare nei termini di come definire un sito, fare la mappa di qualcosa entro un non luogo dove ospitare l’evento della voce. Il luogo chiamato ‘hello’ tiene fede a uno scopo preciso, dato che le voci raggiungono un ricevitore: quello di poter marcare nell’aria un tragitto fra due corpi. Questa descrizione di Helloland introduce un concetto di distanza come uno spazio acustico in cui la voce si libra nello spazio fino a ‘essere raccolta’. Il momento in cui la voce è udita in uno specifico spazio e tempo è un momento distinto da quello in cui è proferita. La distanza fa da mediatore fra questi due momenti e funziona come un territorio fertile per la voce, per praticare una peculiare autonomia, sia dal corpo che fuori dal corpo. Da qui in avanti, mi concentro sulla voce registrata, suggerendo come la sua trasmissione si possa affrontare nei termini in cui Benjamin ha definito l’aura come ‘l’unico fenomeno di una distanza, per quanto vicina possa essere’6.
La tecnologia telefonica gioca sulla distanza fra parlante e ascoltatore riducendola a una falsa immediatezza, come i fili elettrici mediano invece la distanza fra il respiro e l’aria, smantellando le percezioni dello spazio. Emily Thompson scrive che l’avvento della nuova tecnologia telefonica nel 1876 ‘ha immediatamente riconfigurato le tradizionali relazioni fra spazio e suono’. L’illusione di vicinanza che il telefono consente è stata celebrata, ‘proclamata per “aver annullato” spazio e tempo, per aver davvero eliminato la distanza fra persone che volevano comunicare’.7 La nuova capacità di combinare lo spazio ha visto le linee telefoniche diffondersi gradualmente con distanze sempre più lunghe, che, insieme alla costruzione di cabine telefoniche, avrebbe permesso al parlante di staccarsi sempre più dai suoni ambientali e architettonici intorno a lui. Il telefono poteva trasmettere una voce situata acusticamente da qualche parte, in un non luogo.
Prima che i progressi nella tecnologia del fonografo permettessero ai suoni di riempire gli spazi, cominciò come un debole segnale di trasmissione e, come il telefono, si sentiva meglio con auricolari o anche con sottili tubi che offrivano all’ascoltatore una intima vicinanza al suono che passava attraverso la cuffia. Queste prime occasioni in cui si sentivano voci isolate dai corpi che le producevano, devono avere avuto un grandissimo fascino per la loro diretta e solitaria esperienza di ascolto. Scrivendo dell’avvento della tecnologia della registrazione che rese possibile ‘costruire un mausoleo del suono’, John Durham Peters cita Charles Cros, ‘il maggiore concorrente francese al titolo di inventore del fonografo’, che ‘chiamò la sua versione, paleofono, un termine che suggerisce un tipo di telefono che chiama dal passato’8. Come la fotografia, il fonografo salvaguarda i ‘ritratti’ dei morti o di chi è lontano. Questa illusione di vicinanza alla materia del corpo mancante rende queste riproduzioni attraenti in quanto creano un rapporto con dei passati altrimenti inappropriabili. Il saggio di Benjamin L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, mentre si riferisce solo fugacemente al suono con brevi menzioni al fonografo, offre un utile modo di analizzare la singolare presenza della voce a distanza, che in pratica resta, come Benjamin descrive l’oggetto auratico, distante ‘per quanto possa essere vicino’9. Che cosa succede nella riproduzione alla voce auratica, unica, ‘originale’?
Mentre in questa discussione metto l’articolazione della voce dal vivo come l’’originale’ e la registrazione come riproduzione, non mi interessa porre o sostenere, in linea di principio, alcuna articolazione come ‘originale’. Con la voce dal vivo, tutte le rivendicazioni di ‘originale’ cambiano continuamente, e la riproduzione serve a complicare ancora una volta questo cambiamento. Per esempio, i primi fonografi e tecnologie di registrazione rivendicavano la loro posizione rispetto all’‘originale’, non diversamente dall’esempio di Benjamin del negativo fotografico che diventa un altro strato, o opera d’arte, da cui riprodurre:”L’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproducibilità. Di una pellicola fotografica per esempio è possibile tutta una serie di stampe; la questione della stampa autentica non ha senso”10.
MUM SINGS “HELLO” (MAMMA CANTA “PRONTO”)
La riproduzione della riproduzione (e così via) è l’argomento di Mum Sings Hello di Georgina Starr, in cui la riproduzione è usata come processo per una continua trasformazione che che degrada man mano il senso, da un punto di vista materico. Starr descrive l’opera come ‘la registrazione lasciata da mia madre sulla mia segreteria telefonica nel 1993. La sua voce è stata riascoltata e riregistrata da nastro a nastro per sedici volte’11. Come risultato della riregistrazione ripetuta, la voce a poco a poco si perde nel suono della riproduzione di se stessa. La registrazione di Starr sfida la fedeltà, con il disfare la mimesi (seguendo il progetto di Elin Diamond), essendo acusticamente corrotta dalle proprie possibilità tecniche. La registrazione da un nastro della segreteria a un altro ripete i versi di ‘hello’, ma la ripetizione, piuttosto che rendere la voce più presente, come spesso l’atto di ripetere si sforza di fare, allontana la voce dall’ascoltatore, fino a che proprio il nastro è l’unica presenza sonora che percepiamo. In questo modo, la registrazione di Starr mostra un rovesciamento del grande dono della tecnologia della registrazione, quello di avvicinare le voci alle orecchie dell’ascoltatore o, citando le parole di Benjamin, di avvicinare la riproduzione dell’opera d’arte all’osservatore. Benjamin scrive del desiderio delle ‘masse di “avvicinare” le cose spazialmente e umanamente’12, di colmare il divario fra il tempo e lo spazio dell’opera d’arte originale e il tempo e lo spazio dell’osservatore, dell’uditore, del consumatore. Con la registrazione di Starr, il divario fra voce e ascoltatore non è colmato, ma sistematicamente ampliato, riempito di suoni che prima deformano e poi distruggono completamente la voce.
L’articolazione della voce umana rende difficile identificare o comprendere l’originale, perché il compito sarebbe quello di identificare una parte di una produzione in diretta in cui la voce si ricompone di continuo nel passaggio dal corpo che l’ha emessa, attraverso la sua trasmissione, al corpo dell’ascoltatore. Ogni mezzo attraverso cui passa la voce potrebbe essere interessato nell’originare degli aspetti della qualità sonora della voce. Tuttavia, nel contesto della riproduzione della voce, la registrazione prende il posto dell’ascoltatore (nell’equazione precedente) dall’altra parte della trasmissione della voce, pronta a materializzare i suoni, non in un corpo ma in una macchina. ‘La riproduzione tecnica’, scrive Benjamin, ‘può mettere la copia dell’originale in situazioni che sarebbero fuori portata per l’originale stesso’, consentendo ‘all’originale di incontrare l’osservatore a metà strada’ (1936:[1966]). Pur essendo una posizione virtuale in questa discussione, la nozione di Benjamin di ‘metà strada’, di incontrarsi a metà strada per mezzo della tecnologia, mi aiuta a studiare le complessità di quello che succede alla voce mettendola in prospettiva. Con la registrazione, l’incontro a metà strada con l’ascolto è perlomeno duplice. Prima c’è l’incontro fra il corpo immaginato della voce registrata e l’ascoltatore in cui la registrazione fa da mediazione, da punto a metà strada della distanza temporale. Secondariamente c’è l’incontro in diretta fra la voce sul disco e l’ascoltatore nell’etere, in cui l’aria è la materia che fa da mediazione. Nel caso della registrazione di Starr, lei sposta la voce di sua madre sempre più lontano dal punto d’incontro a metà strada di disintegrazione sonora verso una totale saturazione. Nel momento della saturazione, il punto d’incontro non può più valere, perché quel che è accaduto è un movimento che va dal punto a metà strada di comprensione e chiarezza a un posto dove le parole diventano suoni che pigolano e raschiano, tanto da rendere astratto e irriconoscibile il loro significato. Se quello che ‘appassisce nell’era della riproduzione meccanica è l’aura dell’opera d’arte’13 allora anche l’aura appassisce, quando si riproduce la voce ’originale’ dalla sua propria riproduzione? Il musicologo Martin Dixon, in un saggio sul malfunzionamento della tecnologia, riferendosi al saggio di Benjamin, rileva: “La nostra consueta stima della tecnologia deriva dalla sua funzione di eliminare la venerazione, distruggere l’aura e riconfigurare la realtà; tutto questo è vero solo nella misura in cui la tecnologia si comporta appropriatamente, nella misura in cui funziona”14.
Tuttavia, quando la tecnologia non funziona da sé o non è fatta funzionare da una persona, essa si mostra come la riproduzione imperfetta, e nelle parole di Dixon è perseguitata da ‘una dimensione auratica’15. Le ri-registrazioni di Starr costringono i malfunzionamenti a verificarsi, ma nel far ciò, ella crea anche un’opera d’arte, un lavoro di suono progettato consapevolmente che esiste come tale nel mondo dell’arte.Diversamente dagli ingegneri delle prime registrazioni telefoniche e fonografiche, che aspiravano e anzi erano ossessionati dai suoni più chiari e più puliti nel tentativo di eliminare i suoni ‘di scarto’ della macchina, oggi molti artisti e musicisti che lavorano con la tecnologia sono meno interessati alla fedeltà, e più ai modi di far sì che la tecnologia funzioni da sola. Russell Ferguson, scrivendo dell’artista Christian Marclay, sostiene che nella sua performance ‘i dischi che suona suonano come dischi’, citando Marclay:
Voglio mandare in frantumi le nostre abitudini di ascolto. Quando un disco salta o raschia o sentiamo rumore sulla facciata, cerchiamo in ogni modo di farne un’astrazione perché non mandi in frantumi il flusso musicale … la registrazione è una sorta di illusione mentre il graffio sul disco è più reale16.
I dischi sono degli artefatti le cui superfici possono influenzare le loro esecuzioni. Gli oggetti d’arte di Marclay operano in un ambito simile – con la tecnologia del suono che funziona come un artefatto scultoreo: una tromba di grammofono diventa il modello per una candela di cera e pezzi delle registrazioni su nastro dei Beatles diventano un cuscino all’uncinetto. La tecnologia della riproduzione diventa l’‘opera d’arte’, ancora funzionante in silenzio17.
Se la riproduzione materiale del suono può diventare ‘l’opera d’arte’ dalla quale si fanno altre copie, ciò è particolarmente vero per il disco in vinile, l’oggetto più collezionato e desiderato. Un raro LP può essere trattato come l’’opera d’arte’, apprezzato più del suono dal vivo da cui proviene. Jacques Attali ha osservato questo strano cambiamento: ‘per quei [cantanti, artisti della registrazione] intrappolati dal disco, l’esibizione pubblica diviene un simulacro del disco: un pubblico in genere familiare con le registrazioni dell’artista sta attento quando ascolta la loro replica dal vivo’18. Quindi quello che il pubblico sente dal vivo è di nuovo una cosa lontana in ogni senso dalla loro ‘originale’ esperienza sonora dell’artista – trasmessa dal disco. Dato che il disco arriva ad essere suonato dopo un processo di produzione (che ad ogni nuova ripresa, nuovo montaggio e nuovo mix allontana il suono dall’evento delle sue ‘riprese’ dal vivo), il disco come ‘l’opera d’arte’ è sempre del tutto sia originale che copia.
L’’opera d’arte’ di Georgina Starr traccia il proprio mutevole rapporto fra originale e copia attraverso i vari stadi della sua produzione (dalla registrazione da-nastro-a-nastro al disco di vinile al file digitale online). Questo rapporto è reso ancora più condizionante quando lo si mette davanti all’oggetto visivo e tattile del disco e della sua copertina. Sulla copertina della custodia del disco c’è una fotografia della madre di Starr a 16 anni, che viene mostrata spesso quando si suona il disco in occasione di qualche evento. Vedere e perfino tenere in mano l’oggetto minaccia di calpestare le fragili richieste del suono avvenute prima della produzione di questo oggetto inteso come ‘opera d’arte’ più concreta. In un istante l’oggetto leggermente sbiadito, ben curato ma invecchiato, eclissa la voce auratica contenuta su di esso. Il disco come oggetto diventa l’opera d’arte originale, per la sua rarità ma anche per il fatto che è ‘in mostra’. La convincente materia dell’oggetto-disco come l’’originale opera d’arte’ designa anche il lavoro sul suono come l’’originale opera d’arte’. Le registrazioni da un nastro all’altro della voce della madre di Starr e il file digitale usato per incidere il disco diventano strani relitti di pre-produzione nell’era della riproduzione tecnologica.
PLAYING OUT
Il ‘fenomeno della distanza’ da Benjamin è inteso come identificazione dell’aura con gli oggetti naturali, in particolare una ‘catena di montagne’ immaginate mentre ‘si riposa in un pomeriggio d’estate’19. Che l’aura debba apparire per Benjamin l’oggetto naturale lontano come anche l’unico oggetto storico, è utile per il fatto che propone una voce auratica che, mentre non è interamente alcuno di questi oggetti, è però caratterizzata da entrambi. Il suono è percepito a una distanza naturale, rimanendo storicamente legato al suo unico tempo e luogo di produzione20. La voce segue inevitabilmente lo stesso movimento, sebbene differisca decisamente per via del suo agire unicamente in uno specifico corpo in un dato spazio e tempo . Non è solo l’ascoltatore/uditore (un altro corpo) che può afferrare la voce. La voce registrata non può contenere o fissare tutti i suoni della voce viva. Praticamente, eseguire e ascoltare i suoni delle voci su un disco mette in dubbio il controllo del suono come sostanza, che non può essere controllata. In Il fonografo e il suo futuro, Thomas Edison scrisse che il fonografo rendeva possibile ‘la cattività di ogni tipo di onde sonore fino ad allora designate come “inafferabili”, per poterle trattenere per sempre21. La cattività o il contenimento della voce sul disco è in forte contrasto con la meccanica della voce umana e della sua trasmissione nello spazio aereo. Il disco di Starr è un esempio di come si possa rendere inafferrabile la voce registrata anche entro i confini del disco, in quanto la stessa tecnologia che faceva apparire e riapparire la voce a un certo punto la fa scomparire. La voce inafferrabile è naturalmente anche la voce che si sposta, e precisamente si allontana dal suo profilo sonoro iniziale. La voce della madre di Starr si allontana dal suono chiaro e abbastanza pulito che sentiamo per prima cosa sul disco e che segna una tangibile distanza acustica dalla riconoscibile ‘originale’ registrazione. Che cosa fa, allora, questo allontanamento acustico, risultato di una riproduzione meccanica/tecnica ripetuta (o la riproduzione di una riproduzione), alla ‘voce auratica’ – la voce che rivendica la posizione dell’’originale’? Il metodo di Starr – diverso da quello di Alvin Lucier che in I Am Sitting in a Room (1970) compone utilizzando l’acustica dell’ambiente o di Come out (1966) di Steve Reich, che attuano entrambi un simile allontanamento sonoro da una traccia ‘originale’ –si evidenzia nella tecnologia che trattiene la canzone. La voce auratica si consuma nel nastro che esegue il nastro che esegue il nastro, fino a essere un’ombra. La presenza precaria della voce, ai limiti dell’udibile, ha la propria qualità perché non è semplicemente una riproduzione, piuttosto una nuova ripetizione, una versione alterata. Perfino a una distanza da cui è udibile, la voce rivendica nuovamente la sua originalità suonando diversa.
Mentre Mum Sings Hello esegue la scomparsa di una voce su nastro, intanto che l’opera viene incisa su un disco il processo di allontanamento acustico ricomincia, anche doppiamente. Le registrazioni si consumano gradualmente e più o meno rapidamente secondo il materiale di cui sono fatte: sui dischi in vinile o acetato la qualità del suono a un certo punto diventa scadente, i dischi fischiano e la definizione è perduta. Con il tempo il suono statico del nastro della segreteria telefonica riregistrato su se stesso si combinerà con il sempre maggior deterioramento del suono delle registrazioni per confondere ancor più la posizione di una ‘voce auratica’. Più la voce si ritira nella staticità, più il materiale del nastro e del disco consuma la materia della voce. Questo deteriorarsi della voce e delle tracce sonore in rapporto con la sua scomparsa, è sempre in atto, perché la riproduzione del materiale si consuma a un ritmo determinato dalle sue proprietà materiali. In questo modo, la registrazione meccanica offre un approccio alternativo alla voce registrata (come quello che semplicemente unisce la voce inafferrabile a una solida permanenza). Piuttosto, la riproduzione può creare continuamente nuove presenze nel tempo e nello spazio perché la voce esista decomponendosi – recitando la parte della propria esistenza finita nel mondo.
- B. Engh, Adorno and the sirens: Tele-phono-graphic bodies in L. C. Dunn, N. A. Jones Embodied Voices: Representing female vocality in Western culture, 1994, Cambridge: Cambridge University Press, p.122 ↩
- Cfr. W. Benjamin,‘The work of art in the age of mechanical reproduction’[1936] in Hannah Arendt (ed.) Illuminations: Essays and reflections, trad. Harry Zohn, 2007, New York, NY: Shocken Books. Trad it. W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, (trad. E. Filippini) 1966, Einaudi, Torino. ↩
- E. Diamond, Unmaking Mimesis: Essays on feminism and theatre, 1977, Oxon: Routledge p. 151 ↩
- Ibidem ↩
- B. Engh, Adorno and the sirens: Tele-phono-graphic bodies, cit. p. 122 ↩
- W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit. p. 25 ↩
- E. Thompson, The Soundscape of Modernity: Architectural acoustics and the culture of listening in America, 1900-1933, 2004, Cambridge, MA: MIT Press p. 236 ↩
- J. D. Peters, Speaking into the Air: A history of the idea of communication, 1999, Chicago, IL: University of Chicago Press, p. 162 ↩
- W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit. p. 25 ↩
- Ivi, p. 27 ↩
- Mum Sings Hello (2009) è (come sono quasi tutte le opere sonore di Starr) accessibile online, ma è spesso presentata anche in gallerie. Mum Sings Hello è una delle opere di Starr più mostrate, e recentemente è stata inclusa come uno dei tanti elementi di un’installazione di opere che compongono la sua mostra I, Cave al Middlesburgh Institute of Modern Art (mima) (7 aprile-28 maggio 2015) ↩
- W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit. p. 25 ↩
- Ivi, p. 23 ↩
- Dixon, Martin ’The horror of disconnection: The auratic in technological malfunction’ (2007), Transformations, PDF accessed 27 April 2017 p. 2 ↩
- Ibidem ↩
- C. Marclay citato in R. Ferguson, Christian Marclay, 2003, Los Angeles: Steidl/UCLA Hammer Museum p. 41 ↩
- La voce della madre di Starr, tuttavia, si sente a voce alta, e il malfunzionamento della voce è percepito diversamente da quello di altri suoni. Sebbene la tesi di Dixon suggerisca che rumore e deformazione servono a creare un senso di aura nella registrazione del suono, io applico questo con cautela avvicinandomi alla voce, rendendomi conto di che cosa può essere in ballo decomponendo la materia della voce di qualcuno. Dato che la voce è unita a un corpo (presente o no), si presenta anche una questione etica provocata dalla manipolazione del suono della voce per deformare e decomporre. La voce è sempre la voce di qualcuno, e perciò la manipolazione di questa voce da parte di altre persone avrà un impatto sulla rappresentazione del corpo da cui è venuta. ↩
- J. Attali, Jacques Noise: The political economy of music, 1985, Manchester University Press, Manchester:p.85. ↩
- W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, cit. p. 25 ↩
- Come contrappunto alla vista della lontana montagna auratica, Douglas Kahn descrive un incontro con una lontana montagna in termini aurali quando la lontanissima Saddleback Mountain rinvia la voce come musica: ‘Durante una ricerca geologica nel Maine, il dottor Charles Thomas Jackson provò l’eco di Saddleback Mountain, coperta di neve dietro una grande area paludosa; tutti i gridi e i rumori erano rinviati come musica. “Un feroce grido di guerra indiano ci fu rinviato nei più soavi toni musicali, non si sentiva neanche una dissonanza”, Cfr. D.Kahn, ‘Acoustic sculpture, deboned voices’, New Music Articles: 8, 1990 p. 6 ↩
- Cfr. T. Edison, The phonograph and its future, The North American Review, 1878 p.530 ↩