Il saggio prende le mosse dall’osservazione diretta del percorso laboratoriale Edipo sveglia il tempo, condotto da Chiara Guidi con un gruppo di ventisei adolescenti. La regista, autrice e attrice della Socìetas si serve del dettato sofocleo per mettere in opera un esercizio d’invenzione mitopoietica che sospende il «mito radicale» fra custodia e deviazione, per riscoprirlo, a contatto con i giovani, in una pratica corporeo-vocale. In questa scrittura scenica, la zoppia edipica diventa il perno di una drammaturgia ritmica dell’andatura sincopata che orienta voce, parola e movimento.
Parla. I ragazzi non hanno ancora chiara coscienza del loro posto nel mondo. Si sentono sempre un po’ come l’oggetto universale. Prestano volentieri la loro vita a tutto ciò che guardano. E le cose inerti profitteranno, grazie alla tua voce, dei battiti dinamici del loro cuore e si commuoveranno e si rallegreranno e si compiaceranno.
Fernand Deligny, I ragazzi hanno orecchie1
Questo testo2 è una raccolta di pensieri nati in prossimità del lavoro che Chiara Guidi ha condotto con un gruppo di adolescenti in Edipo sveglia il tempo (2017), titolo scelto per incorniciare gli incontri con ventisei ragazzi provenienti dalle Scuole Superiori di Cesena. Si tratta della settima edizione di un’attività istituita e curata gratuitamente dalla regista e attrice, per i ragazzi della sua città, che si è svolta da gennaio ad aprile, con cadenza settimanale, al Teatro Comandini. Il percorso non nasce con l’intento di formare attori: questa pratica vuole smarcarsi dalla logica della “formazione permanente” che alimenta l’auto-imprenditoria e forme di neo-individualismo anche nei più giovani.
«Partiremo dal mito di Edipo. Per conoscerlo prima accenderemo un faro e ascolteremo un suono, poi ruberemo a Sofocle le parole per sollevarle sul palco e farle camminare», afferma Chiara Guidi nell’invito rivolto a professori e studenti3. Edipo Re di Sofocle è la matrice convocata per esperire «le tecniche, il processo creativo, il potere maieutico del teatro e la sua capacità di fare spazio, di creare il silenzio, di preparare il terreno dell’immaginazione»4.
Il caso «terribile» e «pietoso» dell’«uomo dal piede gonfio» è, negli anni recenti, per Chiara Guidi una vera pietra d’inciampo. Precipitato in diversi ambiti e ambienti, la vicenda edipica pare dispiegarsi in una topologia dell’incontro con diverse mire e una moltitudine di attori: ragazzi, bambini, cantanti, performer, musicisti, docenti, genitori, attori, studenti universitari, coristi. Momenti di questa ricerca sul mito di Edipo sono il laboratorio Sulla condanna dell’origine, condotto insieme con Scott Gibbons e rivolto ad attori e musicisti nella cornice di Màntica 2016; il seminario per studenti universitari di Bologna nato intorno allo spettacolo Edipo Tiranno5, ideato in collaborazione con la musicologa Alessandra Fiori, l’Ensemble Color Temporis e un coro attoriale e basato sulla traduzione dal greco di Orsatto Giustiniani e sui cori di Andrea Gabrieli, versione destinata all’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza (1585); la performance vocale Edipo Re di Sofocle. Esercizio di memoria per 4 voci femminili (2019)6, realizzata in collaborazione con un “coro” di cittadini, in cui il testo di Sofocle è ricreato e trattato come una partitura vocale7; il lavoro di teatro infantile Edipo. Una fiaba di magia che «ricollega il mito di Edipo ai culti di fertilità delle antiche civiltà dei fiumi»8.
Il complesso di ricorrenze centrate sul medesimo nucleo tragico9 è la chiara testimonianza di una prassi creativa modulare, dall’andamento incatenato che si nutre del déplacement del punto di vista per guardare altrimenti la stessa materia. È l’attivazione di uno spazio disponibile ad accogliere la trasformazione sub specie poiesis. Laboratori, progetti pedagogici e spettacoli sono, di volta in volta, l’occasione per sperimentare un affondo parziale e verticale da intendersi come il transito temporaneo di un ininterrotto discorso interiore che coincide con il continuum di una ricerca vissuta come pratica quotidiana. È un modo di rivolgersi al mondo della creazione come predisposizione sempre aperta a un altro inizio, un’altra via di fuga.
Il futuro del mito
Nella pratica con gli adolescenti, promossa in Edipo sveglia il tempo, il nucleo mitico, fissato nel testo sofocleo, è convocato come un ambito del reale a cui è possibile accedere sconfessando il «mito della mitologia»10. Chiara Guidi non addomestica la «glaciale solitudine»11 dell’eroe, né confeziona, in un racconto semplificato, la progressione catastrofica che dal sommo potere piomba nella condizione della pena. Non schematizza la vicenda del parricida-incestuoso nel suo complesso, non l’inchioda al paradigma giudiziario né all’esegesi del re-pharmakós, profilo esatto della vittima espiatoria. Non si tratta di snocciolare interpretazioni. Né di destinare peripezia e agnizione dell’ignaro figlio di Laio nelle forme attualizzate della vita ordinaria12.
La partita con i ragazzi si gioca sul convincimento di poter attraversare il dettato sofocleo per favorire un’esperienza che non cede al ricatto di dover rendere visibile qualcosa che nel testo riposa già preformata. Tra Chiara Guidi e i giovani si dispone un piano univocamente pragmatico, temprato da una relazionalità asciutta, sottilmente oscillante tra una posizione magistrale (unità fredda) e una tensione inclusiva (unità calda)13. Si serve del dettato poetico della tragedia per mettere in opera un esercizio d’invenzione mitopoietica che sospende il mito edipico fra custodia e demolizione. Quest’operazione passa attraverso la consegna di un “copione”, una scrittura in divenire che si svolge, incontro dopo incontro, a partire da una precisa scansione di gesti e traiettorie nello spazio, suoni e parole che perimetrano un campo d’azione primariamente inteso come spazio acustico. Quello che Chiara Guidi predispone per gli adolescenti è un lavoro di creazione del mito su cui agisce la consapevolezza che
non c’è altra modalità della memoria del mito se non il lavoro su di esso; e non c’è altro successo di questo lavoro se non l’esibizione dell’ultima possibilità di accostarsi al mito – con l’inevitabile pericolo di essere smentiti dalla nuova ultima possibilità, di vedersi provato che non si è realizzata la pretesa14.
La costanza iconica della tragedia è collaudata in un paradossale movimento di “allontanamento” dal testo, che consente di ritrovarlo in una pratica corporeo-vocale, in una condotta che non spiega, non educa, che laicamente fa-fare. È il modo per spingere alla creazione corale di un «mito terminale»15, di cui la scrittura scenica finale è una sua estrema deformazione, quella che rischia di obliare la configurazione originale.
Gesti di voce e di pietra
Nel percorrere il caso edipico con gli adolescenti, Chiara Guidi compie uno scavo tra e nelle parole e dà corso a un «pezzo di impareggiabile lavoro del logos»16 a patto di timbrare il discorso con i ritmi pulsionali dell’espansa gamma di sonorità del vocalico.
Nei primi incontri, quando il montaggio scenico è ancora in una fase preliminare, si fa letteralmente porta-voce del testo. Frena il racconto in alcuni punti, lo accelera in altri, vaglia la relazione (antinomica) tra potere e sapere, fomenta l’accusa di spergiuro nel “focolare del re”, incoraggia la sete di conoscenza di Edipo, allontana il sospetto della trama proditoria ai suoi danni, convoca senza mediazioni il già da sempre compiuto (parricidio e incesto). E lo fa attraverso una tattica di spremitura. Chiara Guidi frantuma, bagna, sospira, trita, silenzia, rumina, satura, biascica, indirizza, sottoeccita, solarizza, irriga, sbiadisce le parole e le deraglia dai binari abituali. Nella pronuncia insegue un limite agrammaticale, fatto di vocalizzazioni non linguistiche che fanno i conti con i margini del linguaggio. Si tratta di estrarre dal testo sofocleo le figure sonore, di sonorizzare elementi olfattivi, di alimentare le scie fantasmatiche che alonano i personaggi attraverso precisi tic della fonazione, e di riscrivere dunque la vicenda in una sequenza vocale ritmico-simbolica. Il testo è dunque manducato. L’allusione alimentare non è qui una metafora: l’organo primo in gioco nella relazione con i ragazzi è la sua bocca. Quell’umido rivestimento di pelle attorno alle sillabe è la caverna in cui il dire è processato, insalivato, impastato ai recessi corporei nell’andamento ritentivo/espulsivo del respiro17. È un modo per stanare un fuori della lingua nella lingua. Parlando, quasi parlando, a fil di labbra, con un procedere melismatico o con una pronuncia a denti stretti, borbottando, scorciando o allungando le vocali, sfumando una consonante gutturale, prorompendo con un’interrogazione lì dove ci si aspetterebbe un’esclamazione, Chiara Guidi suggerisce ai ragazzi di prestare attenzione alla concretezza espressiva del suono come istradamento al senso. Il privilegio accordato a una tale “narratività” concentrata sulla forza sensibile del dire, caricata di valori timbrici e godimenti fonici, si esaudisce in una relazione fondata sul piano orale-aurale18. Fare del tracciato testuale un oggetto sonante non significa cedere a una tecnica affabulatoria: l’obiettivo qui non è in-ludere, semmai in-cantare, allenare l’orecchio dei partecipanti alla negoziazione tra suono e significazione.
Istruttivo è il riferimento a un esercizio, in cui Guidi invita a “portare a spasso un gemito”. Siamo nel secondo quadro previsto dal copione: il nósos, il morbo oscuro imperversa a Tebe e “la città si raccoglie supplicante per chiedere a Edipo di liberarla della peste” (così recita la sequenza). Lo scenario in cui le piante seccano, donne e animali abortiscono, gli abitanti muoiono diventa, in questo praticare scenico, un lamento. I ragazzi, scelta una posizione nello spazio, sono invitati a spandere la loro voce come un “miasma”, a dare consistenza acustica a un’idea di contagio. Si chiede poi d’informare l’emissione vocale con l’intensità di un gesto investito d’intenzione: alcuni sassi sono lasciati e quelli più pesanti poggiati a terra. L’azione è ripetuta più volte, e dislocata altrove. La voce coincide con la traiettoria e la qualità dell’oggetto, è sasso. Questa combinazione di suono e gesto è la tattica che consente ai partecipanti di gemere senza inzuppare la pronuncia di psicologia, cosicché ognuno possa maneggiare lo spazio acustico occupato dal “proprio lamento”, pronto a combinarsi in una coralità espansa che si nutre del contributo di tutti. Le azioni e le parole selezionate, composte e consegnate da Chiara Guidi nel copione e trasmesse nell’esecuzione vocale si inscrivono in un patto di fiducia rivolto ai ragazzi che investe anche l’incongruenza di un gesto, una stonatura o la scompostezza di una reazione. È un invito a calarsi dentro la responsabilità di un compito da eseguire, e al contempo un esercizio del proprio limite che solo consente di cercare con rigore un luogo proprio, una propria postura, un proprio spazio vocale, senza indulgere nella consolazione dello spontaneismo.
Pedibus claudere verba
L’ossatura finale del copione taglia via intere parti della vicenda sofoclea e trasforma Edipo da interrogante a interrogato. A turno e in coro, quadro dopo quadro, il ragazzo che interpreta Edipo è investito da una serie di domande attraverso le quali si ripercorrono i momenti salienti della tragedia (escluso l’accecamento finale). Uomo-Lupo – personaggio che ha in sé i tratti inquisitori della Sfinge, la chiaroveggenza di Tiresia, la sapienza oracolare della Pizia e quell’istinto innato alla sopraffazione noto alla morfologia della fiaba – lo interpella riformulando l’indovinello: “…qual è l’animale che è al tempo stesso di-pous, tri-pous, tetra-pous?”. Edipo, il solutore dell’enigma della Sfinge, capace di differenziare le età dell’uomo e leggere i mutamenti nella progressione del tempo, è massimamente cieco di fronte al presente/passato/futuro che lo riguardano. Questa
scarica di domande serve a mettere in primo piano l’incapacità dell’eroe di sciogliere i fili dei ricordi e la trama degli eventi, che è esattamente l’arma con cui il mito articola la propria quête investigativa. Ferita del tempo è, per Chiara Guidi, la piaga che Edipo porta nel piede, dolorosa marca del rifiuto paterno e segnatura di una genia destinata all’estinzione. Come è noto, ciò che lega le tre generazioni dei Labdacidi è proprio un difetto di locomozione, dovuta alla malformazione dei piedi: Labdakos, lo zoppo, è squilibrato nell’andatura; Laios, l’asimmetrico, è spaccato dalla mancanza di simmetria tra i due lati del corpo; Oidipous è appunto colui che trascina con sé l’anomalia a uno dei due piedi, ma è anche colui che discerne l’enigmatica “podologia” della Sfinge.
È stato Claude Lévi-Strauss per primo – in un noto passo dell’Antropologia strutturale – a rivelare questo specimen generazionale, e a mettere in connessione problematica andatura ed enigma19. Lo ricorda Jean-Pierre Vernant nel to celebre saggio Il tiranno zoppo. Nell’analizzare la zoppia edipica, l’antropologo francese invita a leggere l’irregolarità dell’andatura, impressa nel presagio del nome, il contrassegno del poter agire altrimenti:
Paragonata all’andatura normale, essa costituisce di solito un difetto. Allo zoppo manca qualcosa: una delle sue gambe ha meno (in lunghezza, vigore, dirittura) di quanto sarebbe necessario. Tuttavia, tale differenza rispetto alla norma può anche conferire allo zoppo il privilegio di uno statuto fuori dal comune, di una qualificazione eccezionale; non più difetto, ma segno o promessa di un destino singolare, la asimmetria delle due gambe si presenta allora sotto un altro aspetto, positivo anziché negativo; esso conferisce all’andatura normale come una nuova dimensione, liberando colui che cammina dalla comune necessità di procedere diritto, entro i limiti di un’unica direzione20.
Edipo avanza a singhiozzo, deviando, affrancandosi dalla progressione lineare dei fatti che non riesce a riordinare. Chiara Guidi trasforma lo scarto ritmico prodotto dalla zoppia in una drammaturgia di episodi corporeo-vocali sincopati21. La scrittura scenica è inscritta in una metronomica scansione – un ticchettio registrato – che subisce, a seconda delle scene, accelerazioni e rallentamenti. È lo schema metrico su cui s’impaginano pronunce, spostamenti e gesti con gli oggetti che i giovani manipolano (pietre, terra, campanacci, bastoni, radici, legnetti), per sbilanciare la percezione con un contro-ritmo, con andature claudicanti e oblique che duellano con l’ordine battuto dal metronomo.
Quando Edipo (Luca), illuminato dalla torcia di Uomo-Lupo (Alessandro), avanza per la prima volta verso il proscenio, zoppica. Indossa una doppia-scarpa: è un ingombro che lo costringe a occuparsi della propria postura. L’ancheggiamento prodotto, tra appoggio e spinta, impegna poi tutti i ragazzi, suggerendo l’idea di un Edipo-multiplo che coincide con un ritmo che batte in levare, agisce in controfase, pesta i piedi22.
La zoppia coincide con un peculiare balancement23, una sorta di balbuzie che investe il corpo intero degli adolescenti, ed è infine tutto l’assetto scenico a risultare sciancato. Il ritmo zoppo che orienta voce, parola e movimento è il modo inventato da Chiara Guidi per forzare l’ascolto, incoraggiare l’attenzione reciproca tra i partecipanti. Il divorzio da ogni forma di pacificante psicologismo o di moralismo didattico non potrebbe essere più esplicito. In questo spaziarsi dell’esperienza, ciò che veramente conta è il privilegio accordato al fare insieme, con i propri compagni, nel graduale processo di incorporazione di testo e gesti, e delle domande sollevate dal fare. Lì è possibile cercare la propria voce, l’urgenza di occupare un posto nella tessitura di un ascolto prossemico. La zoppia edipica è il pretesto richiesta per un atto di presenza integrale temprato nello spazio del teatro.
- F. Deligny, I ragazzi hanno orecchie, Emme Edizioni, Milano 1978, p. 23. ↩
- Il saggio prende le mosse da un testo pubblicato nel 2017 nei «Quaderni di Puerilia» di Socìetas. Puerilia è il nome delle giornate di puericultura teatrale – dedicate ai bambini e a chi sta loro vicino, e al rapporto con la scuola pubblica – che Chiara Guidi cura dal 2011 al Teatro Comandini di Cesena. ↩
- Note tratte dall’invito al progetto Edipo sveglia il tempo, testo recapitato ai ragazzi degli Istituti Superiori della Provincia di Forlì-Cesena (Liceo Scientifico “Augusto Righi”, Liceo Classico “Vincenzo Monti”, Liceo Linguistico “Ilaria Alpi”, Istituto Tecnico-Agrario “Garibaldi/Da Vinci”), tramite la collaborazione dei Dirigenti Scolastici e degli insegnanti che hanno aderito all’iniziativa. ↩
- Ibidem. ↩
- Edipo Tiranno. regia di Vito Matera, direzione del coro attoriale di Chiara Guidi; direzione del coro musicale di Alessandra Fiori è parte del progetto Classicismo e Tardo Umanesimo a Teatro, Vicenza 1585, promosso dal Centro La Soffitta del Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, Laboratori delle Arti /Teatro, 20 aprile 2017. Lo spettacolo è stato preceduto dal seminario, dedicato all’allestimento dal titolo L’Edipo Tiranno di Sofocle, a cura di Gerardo Guccini e Cesarino Ruini. ↩
- Edipo Re di Sofocle. Esercizio di memoria per 4 voci femminili, da un’idea di Chiara Guidi in dialogo con Vito Matera, suoni originali Scott Gibbons, con Angela Burico, Chiara Guidi, Anna Laura Penna, Chiara Savoia, produzione Socìetas, presentata nella cornice della mostra Il corpo della voce, Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos, Palazzo delle Esposizioni di Roma, 13 aprile 2019. ↩
- Daniele Vergni, Speciale La voce-corpo/Esercizio di memoria per Edipo, in «Alfabeta», 23 giugno 2019 (ultima consultazione settembre 2020). ↩
- Note dal foglio di sala. Edipo. Una fiaba di magia, ideazione di Chiara Guidi in dialogo con Vito Matera, spettacolo destinato a bambini da 8 a 12 anni, produzione Socìetas, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro delle Passioni di Modena, 27 novembre 2019. ↩
- Queste ricorrenze meriterebbero uno studio comparato, di cui il presente scritto vuole essere un parziale contributo. ↩
- Cfr. H. Blumenberg, L’elaborazione del mito (1979), trad. it. di B. Argenton, Il Mulino, Bologna 1991. ↩
- F. Rosenzweig, La Stella della redenzione (1921), trad. it. di G. Bonola, Marietti, Genova 1985, p. 81. ↩
- W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco (1926), trad. it. di F. Cuniberto, Einaudi, Torino 1999, p. 76. ↩
- M. de Certeau, Che cos’è un seminario? Un caquetoir (luogo di chiacchiere), in “Achab. Rivista di Antropologia”, VII, febbraio, 2006, p. 48. ↩
- H. Blumenberg, L’elaborazione del mito (1979), trad. it. di B. Argenton, il Mulino, Bologna 1991, pp. 756-757. ↩
- H. Blumenberg, Elaborazione del mito, cit., p. 331. ↩
- Ivi., p. 35. ↩
- Cfr. B. LaBelle, Lexicon of the Mouth. Poetics and Politics of the Voice and the Oral Imaginary, Bloomsbury, New York-London 2014. ↩
- Per il legame tra vocalità, motilità ritmico-pulsione e testualità (poetica) cfr. La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia, 1979; anche A. Cavarero, A più voci. Fenomenologia dell’espressione vocale, Feltrinelli, Milano 2003. ↩
- C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale I (1958), trad. it. di P. Caruso, Il Saggiatore, Milano 1980, pp. 238 e seg; Antropologia strutturale II (1973), trad. it. di S. Moravia, Il Saggiatore, Milano, 1978, pp. 56-59. ↩
- J.-P. Vernant, Il tiranno zoppo: da Edipo a Periandro (1986), in J.-P. Vernant e P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia due, Einaudi, Torino 1991, p. 34. ↩
- Sul concetto polisemico di “sincope” si rimanda al prezioso contributo della filosofa francese Catherine Clément, La syncope. Philosophie du ravissement, Grasset, Paris, 1990. ↩
- Va da sé la parentela che questo procedimento instaura con la nozione di “piede” con la quale sin dall’antichità si indica la sequenza sillabica minima nella misura del verso poetico, così chiamata perché il ritmo si batteva con il piede. ↩
- Procedimento dell’apprendimento dei bambini, comune a vari ambienti etnici, in cui nell’imparare un verso o una frase, si attiva un dondolio, fenomeno analizzato in M. Jousse, L’invention scientifique, in G. Baron, Introduction a Marcel Jousse. Le style oral-rithmique et mnemotechnique chez les verbo-moteurs, Nouvelle Édition, Fondation Marcel Jousse, Paris 1981, p. 12. ↩