Il rapporto di Altair4, il gruppo creativo di cui faccio parte, con la tv si è sviluppato fin dall’inizio sul confine tra l’amore e l’odio1. Amore per la mamma catodica dispensatrice di buone novelle, con la quale eravamo le prime generazioni a crescere. Odio, per quella che si era materializzata la quinta colonna del potere mediatico.
Non a caso le scelte creative di Altair4, benché cercassero le loro radici nelle istanze spazialiste2, avevano individuato nel computer lo strumento per poterle portare avanti in modo libero.
Disgraziatamente negli anni Ottanta il computer rappresentava ancora un mondo chiuso in se stesso e l’unico modo per rendere visibile il nostro impegno creativo era, con tutti i limiti del caso, di trasferirlo sulla televisione.
In questo contesto conflittuale si è sviluppato il rapporto del gruppo con l’evoluzione della tv fino alla sua dissoluzione con il definitivo avvento dello streaming in rete. L’episodio creativo che qui si narra brevemente rappresenta proprio il punto finale di questo processo, quando la televisione, ancora il più potente sistema di comunicazione, annuncia a se stessa la propria morte raccontando che cosa sarà il mondo futuro di internet.
Negli anni Novanta Altair4 si era evoluta in termini imprenditoriali, mentre i componenti del gruppo erano cambiati: Avio Mattiozzi si era ritirato in Nuova Zelanda e a Pietro Galifi e Stefano Moretti si era unito Alessandro Furlan. Altair4 era divenuta Altair4 Multimedia, con l’aggettivo apposto a rimarcare come la nostra attenzione fosse concentrata sul mondo molto più gratificante e libero da costrizioni esterne della multimedialità. Era per noi un momento di grandi successi editoriali su CD-ROM, con titoli distribuiti su scala europea in centinaia di migliaia di copie, mentre il rapporto con la tv, anche se mai del tutto interrotto, si era diradato e più di tutto non era spasmodicamente cercato.
Alla fine di giugno del 1999 successe, però, una cosa nuova: il regista Piccio Raffanini bussò alla porta del nostro studio per proporci d’ideare e realizzare la sigla di una delle trasmissioni più innovative del palinsesto Rai: MediaMente3, che doveva avere come tema l’esplorazione della rete internet. Questa volta era la tv a venire da noi. La piena libertà creativa e l’impegno limitato nel tempo prospettateci da Raffanini ci convinsero ad accettare l’incarico. Dovevamo proporre un’idea per la fine di agosto e così fu. Tale idea nacque, passeggiando nel Deutsches Technikmuseum Berlin, alla vista del motore di un razzo V2 ritrovato in un bunker. L’assoluta modernità dell’oggetto contrastava con le ruggini accumulate negli anni; era come se si guardasse una parte dell’oggi con l’occhio di un archeologo del domani. Quello che la sigla voleva proporre era proprio questo, la rete come strumento di analisi del sapere umano senza barriere di spazio e di tempo, dove la trasmissione stessa diveniva macchina – microscopio e telescopio contemporaneamente – degli spazi infiniti della conoscenza.
Realizzati alcuni bozzetti del concept, con una torre di Babele e un colombario romano elettronico che trovarono l’approvazione di Raffanini, cominciammo quindi a elaborare uno storyboard: le connessioni della rete sarebbero diventate canyon evocatori delle circonvoluzioni cerebrali, dove il telespettatore in un virtuale tuffo si sarebbe gettato, trovando alla fine del percorso il titolo della trasmissione; sopra di questo si ergeva la Macchina studio televisivo, strumento simbolico della navigazione in rete, una specie di piattaforma petrolifera estrattrice d’informazioni, sostenuta da un unico appoggio munito di una sola ruota, costruzione staticamente impossibile per rimarcarne la sua virtualità. Macchina per la quale trovammo anche un nome, che per altro non fu mai usato nella trasmissione, cyberscopio. La scelta stilistica era ispirata alla grafica degli anni Sessanta, ai colori di Milton Glaser, alle costruzioni avveniristiche del gruppo Archigram, ma anche allo stesso tempo, alle Prigioni di Giovanni Battista Piranesi.
Alla Macchina studio televisivo, poi sarebbero stati collegati altri dispositivi di navigazione, tra cui il cyberfish, vero e proprio oggetto Frankenstein, composto dalla cabina di uno Zeppelin e motivi elaborati in passato nel video Par Avion4. Da sottolineare, come trait d’union con altri lavori del gruppo, la necessità sempre sentita di lavorare su una storia anche a costo di scriverla come nel caso di questa sigla. Fu a questo punto che Raffanini ci chiese di sviluppare le scenografie virtuali della trasmissione, dove si sarebbe mosso il conduttore Carlo Massarini, dopo essere arrivato in studio con il cyberfish. L’impegno aumentava, ma fu accettato di buon grado. Lo studio della Rai di Napoli, dove veniva prodotta la trasmissione, è stato uno dei primissimi virtuali in Italia: le scene erano girate in chroma key con telecamere poste su appositi stativi, che ne rilevavano i movimenti, e assemblate in tempo reale alla scenografia virtuale da un dispositivo hardware-software di fabbricazione israeliana, un’occasione artistica troppo stimolante per essere mancata. Le scenografie virtuali, infatti, rappresentavano un contesto ben più innovativo di una sigla, che di per sé non andava oltre il mondo dell’animazione conosciuto. Lo studio virtuale implementava quello che giornalmente sperimentavamo nella realizzazione delle opere multimediali, l’interazione. Quest’ultima avveniva in questo caso tra lo spazio virtuale e il conduttore, che in tale spazio si muoveva, ma anche con l’azione di regia di Raffanini che ne orchestrava le riprese. Alla fine, sviluppammo ben sei set virtuali differenti, articolati tra spazi all’interno del cyberscopio ed esterni a esso. Le scene avevano sempre delle superfici da usare come schermo per introdurre visivamente le rubriche trattate. Gli schermi erano anche un pretesto per inserire elementi grafici animati all’interno della rigida staticità degli elementi scenografici, che la tecnologia dell’epoca non permetteva di animare. Il tema della connessione, della rete e delle sinapsi cerebrali era esplicitato tramite l’inserimento di cavi, serpenti multicolori, veri e propri apparati radicali dell’albero della conoscenza, che racchiudeva anche lati oscuri, come nella scena della cisterna mediatica, spazio sotterraneo dove la radici si sciolgono in una piscina di dati non più intellegibili. Il lavoro svolto era stato gratificante, ma mentre lo studio fremeva per tornare agli impegni multimediali, arrivò il contratto Rai, dove scoprimmo che ci veniva richiesta l’intera cura della grafica della trasmissione, che aveva una cadenza giornaliera con tanto di una nostra unità dislocata negli studi Rai di Napoli. Ormai era troppo tardi per tornare indietro e l’impegno di un mese si trasformò in una massacrante esperienza di un anno, in cui Altair4 si occupò dell’intera grafica di Mediamente. Nel 2000 la trasmissione subì un drastico taglio di budget e l’anno successivo fu soppressa. Nel frattempo, Altair4 iniziava una nuova avventura con la Walt Disney interactive, la televisione stava per trasformarsi in un telefono e il telefono in una tv, ma questa è un’altra storia…
Altair 4 Multimedia e Mediamente
- Cfr. Videossessioni, 1987, l’opera prima di Altair4, che tratta il tema della teledipendenza. ↩
- Cfr. Manifesto del Movimento Spaziale per la Televisione (17 maggio 1952, firmato da A. G. Ambrosini, A. Burri, R. Crippa, M. Deluigi, B. De Toffoli, G. Dova, Donati, L. Fontana, G. Carozzi, Guidi, B. Joppolo, G. La Regina, M. Milani, B. Morucchio, C. Peverelli, Tancredi, V. Vianello). ↩
- MediaMente, trasmissione televisiva di Rai Educational dedicata al mondo d’internet e delle nuove tecnologie della comunicazione, ideata da Renato Parascandalo e condotta da Carlo Massarini, con la regia di Piccio Raffanini. ↩
- Par Avion, Altair4, 1988, serie di siparietti per uso televisivo. ↩