Il saggio proposto intende affrontare il contesto relativo alla storia della video arte in Italia negli anni Settanta approfondendo i contesti di produzione ed esposizione delle opere prodotte attraverso, in particolar modo, le attivitĂ dei centri di produzione privati e pubblici diffusi sul territorio italiano (Videobelisco A.V.R.., art/tapes/22, Centro Video Arte, Studio 970/2, galleria del Cavallino). Questi centri, dati i costi inaccessibili dei dispositivi di registrazione, cosĂŹ come la necessitĂ di disporre di competenze tecniche specifiche, sono di fondamentale importanza per consentire agli artisti la sperimentazione con il nuovo dispositivo di registrazione. Sono inoltre questâultimi a prendersi carico in molti casi della distribuzione delle opere in contesti espositivi e rassegne in Italia e allâestero e a contribuire, insieme ad alcuni critici dâarte, alle prime teorizzazioni sullâuso del nuovo dispositivo in ambito artistico. Saranno analizzate in conclusione alcune delle cause della fine di queste esperienze nel passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta, quando cambieranno i sistemi di produzione, cosĂŹ come i contesti espositivi, per lo piĂč festival dedicati.
Cercare di riassumere i primi dieci anni di una forma dâespressione artistica come la video arte mette di fronte al fatto che non esiste tra i critici, gli artisti e i direttori dei centri di produzione, un unico modo di intendere il ruolo del dispositivo video e il suo uso in ambito artistico. A meno di non considerare gli specifici contesti Ăš quindi difficile e forse insensato dare una definizione unica dellâoggetto di studio, la video arte, soprattutto per ciĂČ che concerne i Settanta, il decennio in cui prima crolla ogni âspecificoâ come conseguenza del processo analitico avviato negli anni Sessanta e, poi, si assiste ad una fase di progressiva ârestaurazioneâ e ritorno allâordine, non solo dal punto di vista artistico. Prima lâarte diventa una situazione, un concetto, un processo, una dimostrazione, un lavoro che in quanto tale non ha confini disciplinari e mediali; poi, dalla seconda metĂ degli anni Settanta, si assiste al processo inverso e al progressivo ritorno allâoggetto artistico.
Ă in questo contesto che si inserisce lâuso del dispositivo videografico composto da nastro, videoregistratore, telecamera, monitor che possono essere usati insieme o separatamente. Il nuovo mezzo implica tecnologie e display diversi e in sperimentazione, piĂč o meno adatti ad una produzione e riproduzione broadcast, professionale o âdomesticaâ. A seconda degli artisti, dei contesti e dei centri di produzione, cosĂŹ come a seconda della tecnologia impiegata, il dispositivo acquisisce poi funzioni diverse. Viene adottato per realizzare opere o per documentarne e tramandarne lâesistenza anche in relazione ad altri mezzi (fotografia, cinema, pittura, scultura musica) e ad altri linguaggi, performativi, concettuali, poveri, ponendosi come lo strumento forse piĂč elastico e piĂč in linea con le esigenze di appropriazione della realtĂ sentite in quegli anni nel mondo dellâarte.
Avere a che fare con il video e lâarte negli anni Settanta implica dunque trattare due concetti in sperimentazione che non hanno in quel momento confini, disciplinari o tecnici. Per questo di seguito si cercheranno di evidenziare e analizzare alcuni momenti salienti e significativi della diffusione del video in ambito artistico, guardando in particolare ai primi usi che vengono fatti del nuovo mezzo e ai relativi tentativi di legittimazione della nuova forma artistica da parte di critici e direttori dei centri di produzione. Questâultimi, nonostante le alterne fortune, svolgono un ruolo importantissimo in Italia negli anni Settanta perchĂ© Ăš grazie a loro che gli artisti e non solo possono avvicinarsi al dispositivo videografico iniziando a sperimentarne le potenzialitĂ . Ă inoltre grazie ai direttori di questi centri e alla loro reciproca collaborazione che Ăš possibile lâorganizzazione degli eventi che si susseguono per tutti gli anni Settanta in Italia contribuendo al diffondersi della nuova espressione artistica in ambienti artistici piĂč o meno ufficiali.
Lâintento Ăš quindi quello di mettere in rilievo come, a livello sincronico e diacronico, la video arte abbia assunto diverse forme e valori, nessuno dei quali puĂČ essere considerato il piĂč valido in rappresentanza del decennio. Ognuna delle sperimentazioni Ăš infatti alla base delle evoluzioni della forma video artistica nei decenni successivi, cosĂŹ come della fortuna critica che avranno le opere, gli artisti e i centri protagonisti di questo periodo storico. Si tratta dunque di ripercorrere le tracce di una storia in alcuni casi giĂ acclarata e in altri da approfondirsi rileggendo il decennio alla luce delle tecniche produttive ed espositive, delle tecnologie, della critica e del mercato per restituirne una versione allargata e plurale che di lineare sembra avere solo lo scorrere del tempo.
Video, arte e informazione
Come si anticipava, sin dalle prime manifestazioni del video in ambito artistico in contesti piĂč o meno ufficiali come la Terza Biennale dâArte Internazionale della Giovane Pittura. Gennaio â70. Comportamenti, oggetti, mediazioni, il Telemuseo (Eurodomus, Milano) e la XXXV° Biennale dâArte di Venezia, si assiste a diverse modalitĂ dâintendere il ruolo del nuovo mezzo nel campo dellâarte1. Vi Ăš chi sceglie lâimmagine pre-registrata e trasmessa in mono-canale, broadcast o a circuito chiuso; chi ne intende lâapporto in termini documentari; chi ne affronta uno studio analitico prendendo in considerazione tutto il dispositivo (telecamera â videoregistratore â monitor); chi ne adopera piĂč parti in situazioni performative o installative; e chi infine ne propone lâuso in diretta, in una funzione di relax e gioco.
La stessa modalitĂ si ripete nei primi usi del dispositivo fatti da parte degli artisti e dei direttori delle gallerie dâarte. Tra queste LâObelisco a Roma decide sin dal 1971 di dare vita al centro di produzione Videobelisco A.V.R., fondato da Cesare Bellici â direttore â e Francesco Carlo Crispolti â tecnico â come estensione delle attivitĂ della galleria di Gaspero del Corso e Irene Brin2. Il centro si pone subito lâintento di mettere il nuovo mezzo a disposizione degli artisti e, piĂč in generale, del pubblico invitato a partecipare alla sperimentazione. Ne Ăš un esempio la realizzazione del Videobook n. 13 che presenta non solo le prime produzioni della galleria quali Alberi parlanti (1971) di Luca Patella e Feu dâartifice 1915-1917 (1971)4, ma anche lâopera Vobulazione e bieloquenza NEG (1970) di Giorgio Colombo e Vincenzo Agnetti in distribuzione presso LâObelisco ma realizzata in occasione del giĂ citato evento Telemuseo (Eurodomus 3) a cura di Tommaso Trini.
CosĂŹ Francesco Carlo Crispolti introduce lâuso che dovrebbe essere fatto del nuovo dispositivo5:
Mi piace [âŠ] gustare lâuso che del mezzo televisivo ha fatto il buon Norman Mailer, quando, in una teleintervista, ha mandato tutti a fuck off. Il che non Ăš poco e potrebbe essere fatto da tutti (se oligarchie e monopoli non si fossero impadroniti di questo mezzo). Anche dagli âartistiâ. La maggior parte dei quali ignora, critica, e considera la televisione come mezzo di informazione con poche e monotone alternative. Il che puĂČ essere vero per quanto riguarda i canali ufficiali, dimentichi delle specificitĂ del mezzo; ma non per la videoregistrazione e la tv a circuito chiuso home use, che daranno invece a tutti la stessa chance di Mailer. Videoregistrazione, dunque, come modulo nuovo; telecamera e videotape come memoria presa diretta provocazione, dissenso dai canali ufficiali, happening gesto presenza casualitĂ spontaneitĂ scatole cinesi, e infinite altre possibilitĂ per le arti visive, questa volta inserite nel concetto piĂč vasto di Informazione6.
Lâuso del nuovo mezzo â telecamera, videoregistratore e monitor â in ambito artistico allâinizio degli anni Settanta Ăš quindi inserito in un discorso articolato su piĂč piani: da un lato gli artisti possono realizzare lavori autonomi indagando le specificitĂ del mezzo (e Francesco Carlo Crispolti virgoletta la parola âartistiâ probabilmente per differenziarsi dallâidea di arte âaltaâ contro la quale ci si era schierati soprattutto a partire dal 1968); dallâaltro gli stessi lavori sono considerabili uno strumento di dissenso, da opporsi ai canali ufficiali per promuovere un altro tipo di comunicazione televisiva che «potrebbe essere fatta da tutti, anche dagli artisti».
Diversamente dalla Galleria LâObelisco che, come si Ăš detto, prende in mano la produzione, altre gallerie scelgono invece di appoggiarsi allo Studio 970/2 di Luciano Giaccari7. Questâultimo aveva dato vita, a Varese, alla costituzione del centro di produzione a partire dalle esperienze in pellicola e dal 1971 inizia, anche in collaborazione con la moglie Maud, a usare il dispositivo videografico soprattutto con lâintento di realizzare e/o di documentare azioni e performance live e di mettere poi il materiale raccolto a disposizione del pubblico in alcune video-salette ospitate in gallerie come la Diagramma (Milano) e la Bertesca (Genova). Ă inoltre dello Studio 970/2 lâidea di produrre regolarmente un programma sotto la denominazione Tv Out che al 1973 contava 8 âpuntateâ. Si hanno ancora poche notizie a riguardo, ma il Tv-Out 3 sembra corrispondere alla documentazione del Festival Music and Dance U.S.A. (12-23 giugno 1972) alla galleria LâAttico a Roma; il Tv Out 1, intitolato anche Nucleo sperimentale di CCTV, era stato invece organizzato alla galleria Naviglio 2 a Venezia â diretta da Renato Cardazzo e succursale dellâomonima galleria milanese â tra il 7 e il 9 giugno 1972. Secondo la testimonianza di Giaccari, quanto trasmesso consisteva in documentazioni di azioni live degli artisti svoltesi allâinterno della galleria e che, quantomeno nel caso de Il Naviglio 2, venivano trasmesse in diretta sui monitor allestiti nello spazio esterno.
A proposito di questa serie di video e, piĂč in generale, delle attivitĂ dello Studio 970/2 Giaccari riporta un lungo articolo che prende il titolo Tv Out nel numero monografico della rivista Argomenti e immagini di design (1972) dal titolo Lâimmagine iconoscopica: uno strumento8. Ă chiaro che, anche in questo caso, la parola al centro del discorso non Ăš arte ma informazione. Sebbene quindi i due centri nascano da realtĂ diverse e facciano un uso plurale del dispositivo, analizzando i testi pubblicati dai direttori e dai tecnici in queste date Ăš evidente che entrambi spingono â comâera stato in occasione di Telemuseo â affinchĂ© con il video ci si riappropri della realtĂ urbana, portando lâarte al di fuori dello spazio chiuso della galleria, cosĂŹ come nei âtelevisoriâ del focolare domestico, proponendosi di fatto come informazione alternativa dedicata allâarte. Per alcune sue caratteristiche tecniche tra cui lâimmediatezza, la bassa qualitĂ , i costi di riproduzione, il video si sposa bene con lâutopia che ci si possa appropriare dei mezzi di comunicazione puntando lâobiettivo verso il basso, verso il povero, verso la presa di una posizione politica nei confronti della propria realtĂ . La possibilitĂ del broadcast o la diffusione a larga scala affascinavano infatti unâarte pronta allâimpegno politico, sociale, allâinformazione alternativa attraverso un mezzo, il video, che si pensava senza filtri, senza inganno. Un mezzo rivoluzionario in unâepoca rivoluzionaria.
Questo intento, purtroppo, si scontra sin da subito con la difficoltĂ di inserirsi in un mercato o di proporne uno ex-novo, sia nel mondo dellâarte, che in quello della produzione televisiva o âa cassettaâ. Pochi sono ancora gli spazi espositivi e i privati che dispongono delle tecnologie necessarie alla trasmissione. Inoltre, a seconda della marca di videoregistratore e soprattutto per ciĂČ che riguarda il mercato consumer, il segnale video era registrato sul nastro in modalitĂ diverse e incompatibili tra di loro. Dunque, a meno di un riversamento, le registrazioni non erano visualizzabili e questo era giĂ allora di grande impatto sul âdestinoâ delle âopereâ e, di conseguenza, sulle reali possibilitĂ di questi centri di proporsi sul mercato.
La questione si pone soprattutto nella prima metĂ degli anni Settanta e tocca in particolare il Videobelisco A.V.R., le cui opere e registrazioni fatte con il Philips LDL1000 godono di una discreta distribuzione in gallerie, festival e rassegne solo fino al 1974 e poi se ne perdono le tracce. La scelta della Philips non era casuale e probabilmente era legata al fatto che sia a Gennaio â70 che al Telemuseo, che alla XXXV° Biennale di Venezia, si fa uso di dispositivi della Philips e anche in questo caso le opere realizzate hanno giĂ allâepoca una scarsissima diffusione. Anche Paolo Cardazzo â direttore della galleria del Cavallino di Venezia insieme a Gabriella Cardazzo â prima di fondare il centro di produzione video-artistica nel 1974 utilizza il Philips LDL1000 per le prime documentazioni in video non piĂč rinvenute. Diverso Ăš il caso di Giaccari, che usa molteplici tipologie di videoregistratori prima di approdare, tra il 1972 e il 1973 e come il Cavallino, alla Sony e, in particolare, al modello CE, ovvero Standard EIAJ, che prometteva una maggiore compatibilitĂ tra un piĂč ampio numero di dispositivi ed era quindi maggiormente indicata. Come si dirĂ nel terzo paragrafo, nella seconda metĂ degli anni Settanta si assiste poi ad un ulteriore scarto tecnologico che porta con sĂ© conseguenze simili, limitando nuovamente le possibilitĂ di diffusione di opere e documentazioni in video.
Video arte e video documentazione
Mentre i due direttori dei centri di produzione vedono nel video un sistema in grado di porre sullo stesso piano informazione e impegno politico, andando contro unâidea di arte alta, diversa Ăš la posizione di Schum chiamato da Barilli a presentare la propria produzione alla 36° Edizione de La Biennale di Venezia (1972). Il galleria tedesco in questa occasione si pone infatti lâobiettivo di sancire definitivamente il passaggio dal video-nastro come documentazione di unâopera altra a video-nastro come opera in tutto e per tutto equivalente a quelle scultoree e pittoriche9. Se, infatti, nel 1970 Schum era piĂč propenso a farsi interprete dello smaterializzarsi progressivo dellâarte per una presa di posizione politica, prima ancora che estetica, contro la mercificazione dellâoggetto e la triangolazione studio-galleria-collezione, nel 1972 egli parla di produzione e distribuzione e i film trasposti in video-oggetti vengono prodotti in edizione limitata e firmata dallâartista.
I video-oggetti, secondo Schum, sono da considerarsi opere che possono derivare, da un lato, dallâapplicazione di tecniche medium-specific come il video-recording; e, dallâaltro, dallâarte intesa come processo e comportamento che non solo Ăš memorizzata, documentata e trasmessa nel e dal dispositivo videografico, ma sâincorpora oramai del tutto in questâultimo che diventa supporto di opere dâarte riproducibili. Il video-oggetto rappresentava quindi a pieno il dualismo/identitĂ tra le opere risultanti dallâuso di âtecniche artistiche videoâ e quelle concettuali ed effimere espresse sotto forme performative e processuali, registrate e trasmesse in collaborazione con lâartista.
Schum, tuttavia, considerava video-oggetti â e quindi opere â anche nastri i cui contenuti venivano trasferiti da pellicola e, di conseguenza, realizzati a partire da tecniche e supporti diversi. CiĂČ che contraddistingue i lavori prodotti non Ăš il sistema di registrazione (pellicola o video), quanto la diffusione broadcast o collezionistica connessa ad un linguaggio minimal (camera fissa, assenza di montaggio). Contro questâidea nasce dallâaltro lato lâesigenza da parte dei centri di produzione di procedere a una distinzione piĂč precisa tra opera (arte) e documentazione (non-arte). Sintomatico a tal proposito Ăš lâumore del direttore de LâObelisco Gaspero del Corso quando lamenta a Barilli che in vista della citata Biennale dâArte di Venezia del 1972 e della sezione rivolta al video, non si fosse pensato di proporre i nomi di Giaccari e il suo che piĂč precocemente di Schum erano impegnati su lavori realizzati completamente in video e non in pellicola e poi migrati. Anche Giaccari si pone il chiaro obiettivo di differenziare lâarte dalla non arte e i diversi usi del video allâinterno de La classificazione dei vari modi di impiego del videotape in arte pubblicata nel 1973. Qui il direttore differenzia una volta per tutte tra rapporto diretto e mediato con il mezzo e sottolinea lâimportanza di considerare opere in video solo quelle nate sin da subito con il nuovo dispositivo10.
Dal punto di vista dei centri di produzione Ăš chiara quindi lâesigenza a spingere affinchĂ© si inizi a parlare di video nello specifico e, come per Giaccari, per la maggior parte dei tecnici e dei direttori, ma anche per molti artisti legati a questâultimi, diventa fondamentale che arte in video sia considerata quella registrata solo e unicamente attraverso la sperimentazione di limiti e potenzialitĂ del dispositivo. Questo includeva sia situazioni in cui il dispositivo video era utilizzato dallâartista per produrre unâopera monocanale, da trasmettere; sia situazioni in cui, invece, il video poteva essere integrato live in forme performative o inserito in quelle installative.
Lâaltro motivo che spinge a definire piĂč nel dettaglio quando si tratta di opere in video Ăš dovuto alle numerose occasioni di scambio, in Italia e allâestero, che dimostrano il progressivo diffondersi del dispositivo non solo in ambito artistico, ma anche in quello cinematografico e del design. Francesco Carlo Crispolti collabora allâorganizzazione della rassegna Circuito Chiuso-aperto. IV Rassegna dâarte contemporanea âAcireale Turistico-Termaleâ (Palazzo Comunale, 24 sett. 15 ott. 1972) curata da Italo Mussa11. Il XV Festival dei due mondi a Spoleto, tra il 24 giugno e il 9 luglio del 1972, ospita lâevento Filmperformances curato da Bonito Oliva â in rappresentanza degli Incontri Internazionali dâArte di Palazzo Taverna â e coordinato da Bruno CorĂ , in cui vengono presentate prevalentemente documentazioni in pellicola, alcune delle quali poi migrate su videotape12.
Gli stessi Bonito Oliva e Bruno CorĂ collaborano poi alla mostra Contemporanea (nov. 1973-feb. 1974, Parcheggio di Villa Borghese, Roma) che nuovamente vede ospitata una parte dedicata al video. Sempre a Roma, nel maggio del 1973, nellâambito della X° Quadriennale, viene aperta una âpostazioneâ a cura di Francesco Carlo Crispolti in collaborazione con Guido Cosulich, che documenta la mostra e gli interventi degli artisti e curatori13. Tra il 12-19 settembre 1973 a Pesaro viene organizzata Lâaltro video. Incontro sul videotape a cura del critico e studioso di cinema Andriano AprĂ , una rassegna di video-artisti, di gruppi sperimentali italiani e stranieri e di esperienze fra cinema e televisione che nasce nel quadro della 9° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema e che riporta lâattenzione sullâuso dei video in ambito, ancora prima che artistico, sociale e politico14. Ritroviamo il video nel 1973 alla Triennale di Milano, nella sezione a cura di Nanda Vigo e, sempre a Milano, nel 1974, durante la rassegna a cura di Gemano Celant, Jole de Sanna, Daniela Palazzoli e Lea Vergine dal titolo Nuovi Media. Film e Videotape in collaborazione con il milanese Centro Ricerche e Documentazioni Jabik e il Centro Internazionale di Brera15.
Durante queste rassegne, nella maggior parte dei casi, i due supporti, pellicola e video, vengono posti sullo stesso piano; inoltre, il video non viene piĂč inserito in situazioni live, a circuito chiuso, ma viene usato nella sua forma mono-canale, dando cosĂŹ rilevanza soprattutto al testo audiovisivo, ovvero al contenuto registrato e non al dispositivo impiegato. Si vedrĂ nel prossimo paragrafo quali conseguenze questo porta dal punto di vista della diffusione e comprensione da parte del pubblico. Qui Ăš importante rilevare che insieme al diffondersi delle mostre nascono in questo periodo altri centri di produzione come il Centro Video Arte di Ferrara, fondato nel 1973 durante la direzione delle Gallerie Civiche dâArte Moderna e Contemporanea da parte di Franco Farina per volontĂ Lola Bonora, Carlo Ansaloni e Giovanni Grandi. Rispettivamente direttrice e tecnici, questâultimi avviano lâattivitĂ dopo aver frequentato un corso sugli audiovisivi tenuto da Roberto Faenza, lâautore di Senza chiedere il permesso (1973), libro canone della tendenza che vede nel video un mezzo per la rivoluzione – dellâarte, della societĂ , dei mezzi di comunicazione e del loro linguaggio16.
Se il Centro Video Arte puĂČ godere di finanziamenti pubblici â e forse anche per questo sarĂ in grado di superare il decennio dei Settanta per proseguire le attivitĂ fino al 1994 â diverso Ăš il caso invece di art/tapes/22, fondato nel 1973 da Maria Gloria Bicocchi, sprovvisto di uno spazio espositivo e piĂč specificamente rivolto alla produzione e distribuzione. Il centro nasce con intenti espressamente dedicati alla creazione di opere in video in collaborazione con gli Incontri Internazionali dâArte di Palazzo Taverna (Roma) â fondati da Bonito Oliva e Graziella Leonardi Bontempo â e con la Castelli & Sonnabend Video Film â il centro di produzione e distribuzione avviato e diretto dai galleristi Leo Castelli e Ileana Sonnabend tra New York e Parigi.
Nonostante queste premesse e il ruolo centrale per la collaborazione sul piano internazionale, art/tapes/22 ha una breve durata e giĂ tra 1975 e 1976 Bicocchi prende accordi con Wladimiro Dorigo e Carlo Ripa di Meana per il trasferimento della collezione in video allâArchivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) de La Biennale dâArte di Venezia. Anche la galleria del Cavallino, nuovamente a carattere privato, cerca di inserirsi dal 1974 nel mercato dellâarte in video avvicinandosi sin da subito alla Bicocchi e poi al Centro Video Arte17. Ma lâattivitĂ , anche in questo caso, si conclude entro la fine del decennio dei Settanta, quando il Cavallino Ăš costretto a limitare la produzione video-artistica per dare il via ad una cooperativa e poi societĂ , lâAudio&Video, dedicata alla produzione di programmi a fini commerciali per la televisione.
Per quanto invece riguarda Giaccari, Ăš lui stesso a spiegare le motivazioni che lo spingono a chiudere con la produzione video artistica per dedicarsi alla sola documentazione:
Va sottolineato che il video dâartista in Italia, pur con una sua individualitĂ in questo primo periodo storico, veniva in qualche modo a ruota delle esperienze americane e tedesche mentre, per quanto riguarda il nostro lavoro di documentazione in âtempo realeâ di performances e spettacoli di musica, danza e teatro, si era sicuramente in anticipo su tutte le esperienze europee […]. Fu cosĂŹ che il nostro lavoro si sviluppĂČ, in seconda battuta, prevalentemente nel senso delle video-documentazioni18.
La fine dellâutopia
Come si Ăš visto, non solo i primi centri, ma anche gli altri sorti privatamente in Italia negli anni Settanta hanno breve durata e faticano ad insinuarsi in un mercato che, in particolar modo nella seconda metĂ del decennio, affronta una grossa crisi e tende progressivamente a chiudersi per tornare a forme e tecniche artistiche âpiĂč sicureâ e piĂč âconcreteâ. Lo dichiara, tra gli altri, Tommaso Trini nel catalogo della mostra della Fiera dellâArte di Bologna del 1977 ed Ăš evidente nelle scelte delle gallerie che partecipano allâoccasione19.
A questo si aggiungono la ârotturaâ con le specificitĂ del video individuate nella prima fase e la conseguente apertura verso unâanalisi piĂč complessa del dispositivo video causata da un ulteriore cambiamento della tecnologia; cosĂŹ come la fine di una fase âutopisticaâ in cui video, arte e politica si equivalevano. Come scrive Giaccari retrospettivamente negli anni Ottanta:
[âŠ.] lâuso generalizzato del videotape [âŠ] si basava spesso su una serie di equivoci [âŠ] innanzitutto esisteva una sorta di âtransfertâ dal mezzo allâopera, per cui si riteneva che usando uno strumento â rivoluzionario a livello tecnico â si ottenessero automaticamente dei risultati innovativi anche a livello di contenuti. Il mito del video rivoluzionario convinse poi molti che con questo strumento si potesse fare anche la rivoluzione, e in questo stato confusionale nacquero tristi esperienze di artisti che facevano una sorta di video socio-politico, e di âimpegnatiâ politicamente che producevano nastri para-artistici. Unâaltra identificazione errata era quella tra lâintero fenomeno del video e il portapak [âŠ] In sostanza mancava la consapevolezza del fenomeno produttivo, che esiste comunque anche in situazioni di micro-televisione. [âŠ] Oltre che una mancanza di definizione dellâoggetto video, câera anche una carenza pressochĂ© totale di chiarezza sul come farlo, come elaborarlo, dove e a chi proporlo20.
Lâassenza di consapevolezza che denuncia Giaccari nelle sue memorie Ăš giĂ chiara nel 1975, lâanno che per Pierre Restany21 Ăš quello decisivo per la video arte in Italia. Si puĂČ assistere infatti, presso la Rotonda di Via Besana di Milano, alle mostre Artevideo e Multivision (curata da Tommaso Trini)22 e Fotomedia (curata da Daniela Palazzoli)23. In maggio, Ferrara ospita il Third International Open Encounter on Video (1975) organizzato dal Centro de Arte y ComunicaciĂČ (CAYC)24 di Buenos Aires in collaborazione con la Galleria Civica dâArte Moderna di Ferrara. Negli stessi mesi la galleria del Cavallino ospita una mostra dedicata alla propria produzione e a quella di art/tapes/22 curata da Ernesto Luciano Francalanci25.
Molte di «queste mostre â scrive Pierre Restany â [âŠ] han di caratteristico una grande confusione, pari solo alla noia che provocano nello spettatore medio. [âŠ] Le âvideo-mostreâ che si succedono oggi a un ritmo spaventoso sono dei âvideo-mostriâ, confusi e feticistici»26. La riflessione del critico Ăš molto simile a quella posta a Ferrara durante il Third International Open Encounter on Video e piĂč tardi in occasione del Primo incontro sul video (Video susret) a Zagabria (marzo 1976) che vedono partecipare il Centro Video Arte e i centri di produzione art/tapes/22 e Cavallino. Durante i dibattiti documentati in video si evidenzia chiaramente â ancora â la mancanza di una definizione unica delle specificitĂ del nuovo mezzo in campo artistico e sociale e, questo, nonostante la classificazione di Giaccari sia oramai data alle stampe da tempo27. Di pari passo allâidea di arte che, dalla seconda metĂ degli anni Settanta va progressivamente âistituzionalizzandosiâ, rientrando allâinterno dei confini âdisciplinariâ in forme sempre meno concettuali, si assiste allâabbandono dellâutopia che la parola âvideoâ potesse essere abbastanza forte per parlare di arte28. Questo Ăš evidente nelle scelte di mercato ma non ferma la produzione concettuale di molti artisti come appare chiaro, per rimanere in ambito italiano, quando si osservino le pratiche di, per citarne solo alcuni piĂč legati al video, Giuseppe Chiari, Vincenzo Agnetti, Michele Sambin, Fabrizio Plessi, Mario Sillani, Luigi Viola, Guido Sartorelli, Pier Paolo Fassetta, Claudio Ambrosini, Federica Marangoni e altri che in questo stesso periodo continuano e, anzi, intensificano la proposta di eventi performativi, effimeri, interdisciplinari. Parallelamente, comâĂš chiaro durante la XXXVII° Esposizione Internazionale dâArte de La Biennale di Venezia del 1976 intitolata Ambiente, partecipazione, strutture culturali (di cui si tratterĂ a breve), in Italia Ăš ancora forte a metĂ degli anni Settanta lâimpegno politico nellâarte e la convinzione secondo la quale il cambiamento della societĂ poteva avvenire solo attraverso un cambiamento nel linguaggio e nella comunicazione.
Alla confusione generata e alla poca consapevolezza dei sistemi produttivi video di cui parla Giaccari, cosĂŹ come alla tendenza contraria del mercato, a complicare ulteriormente la diffusione del nuovo mezzo si aggiunge il fatto che nonostante la maggiore compatibilitĂ del sistema EIAJ Sony per la registrazione e trasmissione â che consente una piĂč ampia diffusione in ambiti soprattutto artistici â anche questo ha vita breve e, come si Ăš anticipato, presto si arriva un nuovo scarto tecnologico che consiste nel passaggio dalla bobina aperta alla cassetta (U-Matic, Sony o VCR, Philips). Se negli Stati Uniti e in molta parte dellâEuropa questo avviene sin dalla prima metĂ degli anni Settanta, in Italia il processo Ăš piĂč lento e nonostante se ne parli presto, prenderĂ piede solo dopo la metĂ degli anni Settanta in ambito artistico e professionale, piĂč raramente in ambito collezionistico o consumer.
Questo nuovo cambiamento, come il primo, limita la possibile diffusione delle opere e delle documentazioni attraverso i canali collezionistico ed espositivo, dallâItalia per lâestero e dallâestero per lâItalia. I centri sono quindi spinti a dotarsi progressivamente di videoregistratori a cassetta che tuttavia, nella maggior parte dei casi, non sono portatili e non possono quindi essere facilmente trasferibili da un luogo allâaltro ai fini di produzione o di esposizione/trasmissione. Le modalitĂ di produzione âpovereâ e concettuali, basate soprattutto su immediatezza, trasparenza e istantaneitĂ , vengono quindi messe in discussione dalle nuove, piĂč ampie, ma anche piĂč tecnicamente complesse possibilitĂ âesteticheâ, mono/multicanale, in trasmissione e in video-proiezione. Cambiano le modalitĂ produttive, iniziano a diffondersi strumenti a costi piĂč accessibili che consentono un montaggio âpiĂč facileâ delle sequenze, cosĂŹ come lâinserimento di titoli, di sottotitoli e la possibilitĂ di disporre di doppio canale audio. Con lâU-Matic arriva infine il colore anche se, per un certo periodo, la registrazione continua a farsi in open-reel e quindi in bianco e nero â piĂč diffuso a livello nazionale e piĂč portatile â mentre la cassetta diventa il formato della distribuzione e dei master, ovvero del girato montato e pronto per essere copiato e âdistribuitoâ, soprattutto in ambito internazionale.
Un esempio dei diversi usi che si fanno del video in arte e delle due diverse posizioni, nazionale e internazionale, che si presentano in questa fase di transizione Ăš evidente durante la giĂ citata Biennale di Venezia del 1976. Qui, infatti, nella sezione internazionale dedicata al video durante lâevento AttualitĂ internazionali â72-â76 29 a cura di Olle Granath, Bicocchi dĂ le direttive per lâallestimento portando lâattenzione a che la struttura dei programmi video fosse rigorosa e cronologica e includesse lavori datati lo stesso anno da artisti di nazionalitĂ diverse. Alcuni video provengono dal proprio fondo art/tapes/22, altri dallo studio Oppenheim di Colonia, dallâElectronic Arts Intermix di New York e da Ursula Wever (Colonia); altri ancora sono richiesti direttamente agli artisti, tra i quali Reconstrukcije â76 (1976) di Sanja IvekoviÄ, una co-produzione con la galleria del Cavallino che collabora anche alla documentazione delle performance di Marina AbramoviÄ e Ulay e di Agnetti realizzate nellâambito della sezione Attivo a cura di Trini, sempre nel contesto di AttualitĂ internazionali â72-â7630. Nella stessa Biennale il Padiglione Italiano ospita invece video molto diversi, prevalentemente documentazioni di azioni di artisti nello spazio urbano o di attivitĂ socialmente impegnate. Si assiste quindi a due usi diversi del dispositivo videografico in due sezioni della mostra che rendono conto il primo, del contesto internazionale e, il secondo, di quello italiano. Nel primo si parla di arte e molto meno di politica; nel secondo si parla di politica e molto meno di arte.
Il 1976 coincide anche con lâanno di riapertura dellâASAC che si propone di svolgere una nuova funzione: non piĂč solo deposito, ma anche valorizzazione attiva dei propri fondi tra i quali ve nâĂš uno dedicato allâaudiovisivo. Per questo alle attivitĂ di riordino del corpus di opere e documenti cui collabora per la parte video Bicocchi, vengono affiancate alcune manifestazioni atte a promuovere lâarchivio de La Biennale di Venezia31. Ritroviamo infatti la direttrice di art/tapes/22 mentre organizza con il critico Fulvio Salvadori la rassegna dal titolo Gli Art/Tapes dellâASAC (1977) e lâevento Artisti e videotapes (1977)32. Nel primo caso sono mostrati video in forma mono-canale comâĂš caratteristico delle manifestazioni a metĂ del decennio, nel secondo, invece, viene portata lâattenzione sulle azioni video-performative con lâintento di âistruire il pubblicoâ sulle nuove possibilitĂ espressive impiegando il mezzo in una dimensione live e performativa.
Pochi mesi prima degli eventi organizzati allâASAC, il Centro Video Arte, lo Studio 970/2 di Giaccari e alcuni degli artisti piĂč vicini alla galleria del Cavallino erano stati coinvolti alla Prima Settimana Internazionale della Performance (Barilli, 1977, GAM, Bologna)33. Anche in questo caso al video usato nella sua forma monacale si aggiungono video performance multi-canale connesse anche ad altri linguaggi come quello musicale che hanno lo scopo di mettere nuovamente in luce le caratteristiche interdisciplinari e la possibilitĂ di usare in diretta il dispositivo.
Probabilmente nel tentativo di trovare la sua collocazione in una fase di âritorno allâordineâ il dispositivo videografico viene quindi progressivamente implicato in situazioni dedicate alla performance, dove si riporta nuovamente allâattenzione la dimensione piĂč diretta (live) giĂ sperimentata allâinizio degli anni Settanta. Sempre nel 1977, grazie allâapertura della Sala Polivalente di Palazzo Massari, il Centro Video Arte affianca alla produzione âmonocanaleâ lâorganizzazione di situazioni video-performative e poi, dagli anni Ottanta, video-installative e video-scultoree34.
Ripensare al video e allâarte. Verso gli anni Ottanta
Sul finire del decennio le posizioni nei confronti del dispositivo videografico possono essere rappresentate da un convegno come quello che si tiene nel settembre del 1978 a Milano dal titolo Le arti visive e il ruolo della televisione35. Alla tre giorni partecipano infatti una lunghissima lista di âaddetti ai lavoriâ dellâambito (video) artistico e televisivo. Il dibattito Ăš acceso e mostra ancora una volta lâeterogeneitĂ delle posizioni. Fagone nel suo intervento denuncia lâassenza dâinteresse da parte della RAI per la produzione di programmi televisivi sullâarte dopo il 193036. Dorfles, invece, distingue tra una «TV come trasmettitrice di notizie, di informazioni, di eventi, indagatrice di numerosi aspetti della societĂ e del costume, e anche tramite di opere visive giĂ esistenti (pittura scultura, architettura, danza, teatro)»; e una «TV considerata come vero e proprio mezzo espressivo autonomo e a sĂ© stante, mezzo non sostituibile in alcun modo con altri che, dalle sue intime caratteristiche tecniche e formative, trae le peculiaritĂ del suo linguaggio»37.
Dorfles confuta anche la tesi di RenĂ© Berger secondo cui sarebbe possibile definire la video arte come una micro-TV, ovvero una televisione individuale, o di gruppo, che si avvale del videoregistratore portatile e che permette quindi la realizzazione dei videonastri prodotti dallo stesso operatore-autore, senza bisogno di altri aiuti e apparecchiature. Secondo Dorfles, invece38, «parlare di TV come canale dâuna nuova espressivitĂ visuale significa considerare soltanto quelle realizzazioni che: 1) si possono effettuare attraverso e solo attraverso il videotape; 2) che hanno una finalitĂ , giĂ in partenza, prevalentemente estetica; 3) che possono, in una successiva fase, essere utilizzate anche da circuiti TV (macro TV) o persino cinematografici (confronta il ben noto caso del film Anna di Alberto Grifi [del 1975, nda]) ma a patto che le loro caratteristiche non siano alterate e adulterate attraverso successive manipolazioni o altri interventi filmici»39. La video arte, dunque Ăš quella pensata, ideata, realizzata esclusivamente facendo uso degli elementi tecnico-linguistici che il dispositivo videografico mette a disposizione. Come ancora sostiene Dorfles, «Ú il caso di ripetere ancora una volta che arte e tecnica spesso si identificano e che, quando un mezzo tecnico acquista una tipicitĂ linguistica, giĂ per questo fatto si puĂČ considerare degno del riconoscimento di unâautonomia estetica?»40.
Anche Paolo Cardazzo, sempre nel 1978, durante il secondo laboratorio ospitato dalla galleria del Cavallino tra gennaio e febbraio, coinvolge gli artisti in unâanalisi approfondita del mezzo. Come scrive lo stesso presentando le attivitĂ del video-laboratorio: «nel momento in cui questo ancora giovane mezzo espressivo sta uscendo dalla sua fase sperimentale si sente [âŠ] la necessitĂ [âŠ] di superare quel momento di incertezza teorica e insufficienza operativa che spesso lâhanno accompagnata, producendo risultati non sempre utili sul piano artistico»41. Vi Ăš quindi la progressiva convinzione secondo cui il dispositivo poteva essere considerato artistico solo nel momento in cui si adoperavano le sue specificitĂ tecnico-linguistiche. Scompare la necessitĂ di confrontare la (video)arte con la comunicazione televisiva. Non vi Ăš piĂč distinzione tra tecnologie professionali o home use. Vengono meno gli aspetti politici e sociali e la necessitĂ di un rapporto diretto con il dispositivo in virtĂč di uno mediato da tecnici o âaddetti ai lavoriâ. La video arte trae la propria artisticitĂ solo nel momento in cui si fa uso dellâintero dispositivo videografico e delle sue specificitĂ linguistiche. Il che significa sfruttare, nel video monocanale, la durata breve, i primi e mezzi piani, lâassenza di una narrazione classica come quella cinematografica in funzione di piccole pillole concettuali, in colore e in bianco e nero, e, piĂč in generale, le apparecchiature che consentono a queste date un montaggio piĂč preciso, la titolazione digitale ecc. Significa inoltre usare tutto il dispositivo di ripresa e registrazione senza nasconderlo ma, anzi, mettendolo in mostra durante le azioni performative o in una dimensione installativa.
Probabilmente in virtĂč delle nuove premesse teoriche e tecnologiche che sottendono ora la produzione video artistica verso la fine degli anni Settanta vi Ăš lâesigenza di tracciare un primo bilancio di quanto prodotto. Si pensi a Video â79, The First Decade. Dieci anni di Videotape42 curata da Alessandro de Silj cui collabora anche Bicocchi; e alla mostra Camere Incantate. Video, cinema, fotografia e arte negli anni â70 (1980), curata da Fagone a Milano, dove viene proposto il VideoForum â una sezione retrospettiva dedicata al video monocanale â e parallelamente sono presentate alcune video-installazioni realizzate ad hoc per lâoccasione.43
Nellâautunno dello stesso anno, alla Sala Polivalente si tiene il Video Show Ferrara promosso da Bonora e Paolo Cardazzo (9 – 11 novembre 1979)44. La manifestazione si sviluppa in tre giornate e si articola tra i videonastri di artisti internazionali â anche in questo caso proposti in rassegna â e una serie di video-performance di artisti italiani. Lâintroduzione dellâopuscolo sullâevento Ăš di Janus che, nellâaprile dellâanno successivo â con un ritardo di due anni dalla sua programmazione, come dimostrano le missive scambiate tra Lola Bonora e il curatore45 â organizzerĂ la retrospettiva Videoarte a Palazzo dei Diamanti. 1973-197946.
Il 1980 Ăš lâanno canone del ritorno alla pittura inaugurato da Bonito Oliva durante la XXXIX° Esposizione dâArte Internazionale de La Biennale di Venezia (1980). Ă infatti il critico a riassumere il decennio appena trascorso nellâintroduzione al catalogo della mostra, a partire dalla nuova attitudine dellâarte di «associare materiali piĂč disparati, secondo lâesigenza di appropriarsi, con felice cleptomania, della materia del reale, colto nei suoi aspetti energetici e mitici»; fino alla fine del decennio dei Settanta, quando «allâidea sperimentale [âŠ] Ăš subentrata una diversa mentalitĂ , piĂč legata alle emozioni intense dellâindividualitĂ e di una pittura che ritrova il suo valore allâinterno dei propri procedimenti»47. Se ci si chiedeva OĂč va lâart? negli anni Ottanta, Bonito Oliva, ma anche Barilli in Italia, quando parla dei Nuovi-nuovi, sostengono che lâarte torna alla pittura. E mentre il dispositivo videografico sembra progressivamente uscire dai contesti ufficiali si moltiplicano invece festival e rassegne dedicati come U-Tape (1982-1990, Ferrara), Immagine Elettronica (1983-86, Bologna), Festival Arte Elettronica (1983-1988), Install Video Side (1986, Ferrara), Festival di Locarno (1980-2000), La Rassegna internazionale del Video dâautore (1986-1995, Taormina), Ondavideo (1985-oggi, Pisa), Invideo (1990-oggi, Milano), Videoset (1985-1990, Ferrara), Poliset (1991-1993 Ferrara), Video e arti elettroniche (1989-1991, Roma) grazie ai quali questa forma dâespressione andrĂ consolidandosi e diffondendosi ulteriormente.
- Cfr. R. Barilli, M. Calvesi, T. Trini, A. Emiliani, 3. Biennale internazionale della giovane pittura, gennaio 70: comportamenti, progetti, mediazioni, EBMA, Alfa stampa, Bologna 1970; T. Trini, Mostre in Italia: il circuito Ăš ancora chiuso, in «DOMUS», n. 484, marzo 1970; U. Apollonio, L. Caramel e D. Mahlow, (a cura di), Catalogo della XXXV° Esposizione biennale internazionale dâarte, Venezia, La Biennale di Venezia, Venezia 24 giugno-25 ottobre 1970; L. Parolo, Le fonti, i metodi e le narrazioni della storia della videoarte in Italia negli anni Settanta. La Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura, Gennaio â70, «Sciami|Ricerche», www.sciami.com), n. 2, ott. 2017. ↩
- Sulle attivitĂ del Videobelisco A.V.R. si vedano: F. C. Crispolti, (a cura di), Videobelisco A.V.R.. Videobook n. 1, catalogo della mostra, galleria LâObelisco, Roma maggio 1971; S. Bordini, Memoria del video. Italia anni Settanta, in S. Bordini, (a cura di), Videoarte in Italia, «Ricerche di storia dellâarte», n. 88, Carocci, Roma 2006, pp. 5-24; S. Bordini, Videobelisco, in C. Zambianchi et al., (a cura di), Irene Brin, Gaspero del Corso e la galleria LâObelisco, Drago, Roma 2018, pp. 157-165. Cfr. anche saggio di Cosetta Saba, infra. ↩
- Il Videobook n. 1 viene presentato per la prima volta in occasione dellâ I° Marche International des Programmes et Equipments VidĂ©ocassettes et VidĂ©odisques Cannes (aprile 1971), un evento volto alla presentazione delle tecnologie piĂč recenti nellâambito della registrazione video, ma anche alla proposta di contenuti preregistrati. La seconda presentazione, invece, si tiene alla stessa galleria LâObelisco il 14 maggio 1971. In questo caso, diversamente dalla presentazione a Cannes, lâallestimento consiste in sei monitor (tre per fila sovrapposti). Alcuni di questi mandavano in diretta (e poi ritrasmettevano una seconda volta) le immagini provenienti da altrettante telecamere disposte nello spazio della galleria; altri, invece, mostravano il programma del Videobook n. 1. ↩
- Si tratta della ricostruzione elettronica del balletto astratto di sole luci senza danzatori, rappresentato a Roma nel 1917 al teatro Costanzi e commissionato nel 1915 da Sergej Diaghilev e Giacomo Balla sullâomonima musica di Igor Stravinsky. Cfr., F. C. Crispolti, (a cura di), Videobelisco A.V.R. Videobook n. 1, cit., s.p. ↩
- Cfr. Ibidem. ↩
- In Ibidem. ↩
- Cfr. saggio di Cosetta Saba, infra. La storiografia indica come uno dei primi eventi significativi il progetto Televisione come memoria. 24 ore di No-Stop Theatre (Varese, Studio 970/2 â 7-8 giugno 1968, h. 9.00) ma Ăš stato verificato che â nonostante lâidea fosse quella di usare effettivamente una serie di 24 televisori, tutti in riproduzione al termine dellâevento â lâintento di Giaccari Ăš rimasto fermo allo stadio progettuale. Cfr. L. Giaccari, M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video 1. La distanza della storia. Ventâanni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, Prearo, Milano 1987; V. Fagone (a cura di), Memoria del video. 2. Presente continuo. ventâanni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, PAC, Padiglione dâArte Contemporanea, Milano 4 ottobre – 31 dicembre 1988; A. M. Montaldo e L. Giaccari, (a cura di), Video: memoria elettronica dellâArte: 3. Verso unâipotesi di Museo elettronico: dagli archivi della Videoteca Giaccari, Galleria comunale dâ Arte, Nuova Prearo, Cagliari 1990. ↩
- Cfr. L. Giaccari, Tv Out, in Lâimmagine iconoscopica: uno strumento, in «Argomenti e immagini di design», n. 4, gennaio-febbraio 1972. Cfr. anche archivio Maud e Luciano Giaccari, Varese. ↩
- In Catalogo della mostra, 36° Esposizione biennale internazionale dâarte, La Biennale di Venezia, Venezia 11 giugno-1 ottobre 1972, p. 31. ↩
- Cfr. saggio di Cosetta Saba, infra. ↩
- Cfr. F. C. Crispolti e I. Mussa (a cura di), Circuito chiuso-aperto, catalogo della VI° Rassegna dâarte contemporanea Acireale Turistico-Termale, Acireale24 settembre-15 ottobre 1972 ↩
- Cfr. locandina dellâevento in www.rewind.ac.uk/rewind [visitato in data 14/10/2019] ↩
- Cfr. Catalogo della X° Quadriennale nazionale dâarte, Palazzo delle Esposizioni, Ente Autonomo Esposizione Nazionale Quadriennale dâArte di Roma, Roma, novembre 1972-maggio 1973; F. Gallo, I videogiornali della X Quadriennale, tra documentazione e autorialitĂ , in «Lâuomo nero», nn. 14-15, anno XV, marzo 2018, pp. 289 -302. ↩
- Cfr. AA. VV., Lâaltro video (incontro sul videotape), in «Quaderno informativo», n° 44, IX° Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Pesaro 1973. ↩
- G. Celant et al. (a cura di), Nuovi Media. Film e videotape, catalogo della rassegna, Centro Internazionale di Brera, Milano 1974. ↩
- Cfr. C. G. Saba, L. Parolo e C. Vorrasi (a cura di), Videoarte a Palazzo dei Diamanti. 1973-1979. Reenactment, catalogo della mostra, Gallerie dâArte Moderna e Contemporanea di Ferrara, Ferrara 2015. ↩
- Cfr. L. Parolo, Videoarte in Italia negli anni Settanta. Il centro di produzone della galleria del Cavallino di Venezia, Bulzoni, Roma 2019. ↩
- In L. Giaccari, M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video 1. La distanza della storia. Ventâanni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, cit., p. 49. ↩
- Cfr. T. Trini, Il quadro del mercato. Gli avvenimenti economici dellâarte italiana e internazionale nella stagione 1977/1978, in Catalogo Arte Fiera 77. Mostra mercato dâarte contemporanea, Quartiere Fieristico, Bologna, 1977, s.p. ↩
- Cfr. L. Giaccari, M. Meneguzzo (a cura di), Memoria del video 1. La distanza della storia. Ventâanni di eventi video in Italia raccolti da Luciano Giaccari, cit, p. 50. ↩
- In P. Restany, Le videomostre. Video 1975: lâimmense et fragile espoir dâun art populaire pour lâan 2000, in «DOUMS», n. 547, giugno 1975, p. 47. ↩
- La rassegna Artevideo e Multivision Ăš ospitata dal Comune di Milano alla Rotonda di Via Besana (5 – 19 marzo 1975) ed era stata promossa e finanziata dal Camel Award per lâarte. La progettazione e la realizzazione erano a cura di Tommaso Trini che, con Jole de Sanna, aveva selezionato un programma di oltre 60 videocassette per circa 20 ore di trasmissione mediante apparecchiature Sony (5 registratori, 12 televisori, 1 telecamera, 20 cuffie dâascolto) in bianco e nero e a colori. In T. Trini, Artevideo e Multivision, in «DâArs», n. 75, luglio 1975. ↩
- La mostra Fotomedia Ăš organizzata alla Rotonda di via Besana (24 marzo – 13 aprile 1975), Ăš curata da Daniela Palazzoli e presenta 12 artisti che operano con la fotografia e il videotape e 18 artisti che operano con il videotape. Nel testo di Daniela Palazzoli sâintuisce che la mostra Ăš itinerante ed Ăš stata presentata nel 1973 al Meseum am Ostwall di Dormun. Nel catalogo Ăš inoltre riportato che il sistema di riproduzione consiste in sette riproduttori a bobina (AV 3620CE) con altrettanti monitor in bianco e nero (PVM 200CE) e due riproduttori a cassetta con monitor a colori (CKV 181E). In D. Palazzoli (a cura di), Fotomedia, catalogo della mostra Rotonda di Via Besana, Grafiche Vera, Milano 24 marzo – 13 aprile 1975. ↩
- Una parte della rassegna sudamericana, prodotta dalla Cooperativa Ediciones del Tercer Mundo, era giĂ stata presentata al Museum Of Modern Art di New York (23 – 26 gennaio 1974) durante la conferenza internazionale Open Circuits â The Future of Television. In J. de Sanna, Artvideotape funziona?, in «DOUMS», n. 534, maggio 1974. ↩
- Cfr. Videotapes, catalogo della 809° mostra del Cavallino, Edizioni del Cavallino, Venezia 22 febbraio – 21 marzo 1975. ↩
- In P. Restany, Le videomostre. Video 1975: lâimmense et fragile espoir dâun art populaire pour lâan 2000, in «DOUMS», n. 547, giugno 1975, p. 47. ↩
- Cfr. Schede delle Opere in C. G. Saba, L. Parolo e C. Vorrasi (a cura di), Videoarte a Palazzo dei Diamanti. 1973-1979. Reenactment, cit. ↩
- Cfr. C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape. Art/tapes/22, collezione ASAC. La Biennale di Venezia. Conservazione, restauro, valorizzazione, Silvana Editoriale, Milano, 2007. ↩
- Cfr. Catalogo della 37° Esposizione biennale internazionale dâarte, Venezia, La Biennale di Venezia, 1976, Vol. 1 e 2 1976. ↩
- Cfr. Faldone AttualitĂ Internazionali, Archivio Storico delle Arti Contemporanee di Venezia, VEGA, Marghera, Venezia. ↩
- La Biennale, annuario 1976/1977, A.S.A.C., Venezia, 1979, p. 494. ↩
- Cfr. L. Durante, Quarantâanni di arte elettronica alla Biennale. 1968-2007: dal videotape ad Internet, in C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape, cit. ↩
- Cfr. R. Barilli et. al. (a cura di), La performance, catalogo della rassegna alla Galleria dâArte Moderna di Bologna, La nuova foglio, Bologna 1-6 giugno 1977. ↩
- Cfr. L. Magri (a cura di), Centro Video Arte 1974-1994: Videoarte, performance, partecipazioni, Gabriele Corbo, Ferrara 1995. ↩
- Il Convegno Le Arti Visive e il ruolo della televisione Ăš organizzato dal Prix Italia a Milano (12 – 13 settembre 1978) e si articola in tre sezioni: âla TV come mezzo di divulgazione storica e di attualitĂ della conoscenza dei fenomeni artistici e di educazione alla sensibilitĂ artisticaâ, âla TV come strumento di studio e di osservazione delle arti visiveâ, âla TV come canale di una nuova espressivitĂ visivaâ. Cfr., Faldone Corrispondenza Videoarte 1978, fondo Gallerie Civiche dâArte Moderna e Contemporanea di Palazzo dei Diamanti, Ferrara e Atti del convegno Le arti visuali e il ruolo della televisione, XXX Prix Italia, 12-13 settembre 1978, ERI, Torino 1979. ↩
- In Atti del convegno Le arti visuali e il ruolo della televisione, cit. p. 45. ↩
- In Ivi, p. 115. ↩
- In Ivi, p. 119. ↩
- In Ivi, p. 120. ↩
- In Ibidem. ↩
- Cfr. Videolaboratorio 2, catalogo della 850° mostra della Galleria del Cavallino, Edizioni del Cavallino, 16-29 gennaio 1978. ↩
- La rassegna Video â79, The First Decade. Dieci anni di Videotape si tiene al Museo del Folklore Romano (Trastevere, 8 – 24 maggio 1979) con il patrocinio dellâAssessorato alla Cultura del Comune di Roma e in collaborazione con la RAI, che ha messo a disposizione lâequipaggiamento tecnico. Cfr. A. Silj [e altri], Video â79. Video-the first decade. Dieci anni di videotape, KANE, Roma 8 – 24 maggio 1979. ↩
- La mostra Camere Incantate. Video, cinema, fotografia e arte negli anni â70 si tiene a Palazzo Reale (Milano) dal 16 maggio al 15 giugno 1980 ed Ăš curata da Vittorio Fagone. Cfr. V. Fagone (a cura di), Camere incantate. Video, cinema, fotografia e arte negli anni â70, catalogo della mostra, Palazzo Reale, Milano 15 maggio-15 giugno 1980. ↩
- Il Video Show Ferrara si tiene alla Sala Polivalente di Palazzo Massari, a Ferrara. Lâevento Ăš organizzato in collaborazione con Paolo Cardazzo (9 – 11 novembre 1979). ↩
- I carteggi tra Lola Bonora e Janus si trovano nella corrispondenza 1979, busta 39, fasc. 663 nel fondo Centro Video Arte delle Gallerie dâArte Moderna e Contemporanea di Ferrara. ↩
- Cfr. C. Saba, Videoarte a Palazzo dei Diamanti, Ferrara 1973-1979/2015, in C. G. Saba, L. Parolo, C. Vorrasi, Videoarte a Palazzo dei Diamanti. Reenactment, cit. p. 35. La rassegna di video prevedeva probabilmente quattro postazioni ed era completata da unâesposizione di 50/100 fotografie che documentavano lâattivitĂ e la storia del Centro Video Arte. Cfr., Busta 38 (Corrispondenza 1979), fasc. 663. nel fondo Centro Video Arte delle Gallerie dâArte Moderna e Contemporanea di Ferrara. ↩
- In A. B. Oliva, Lâarte degli anni Settanta in Catalogo della 39° Esposizione Biennale Internazionale dâArte, Venezia, La Biennale di Venezia, 1980 p. 10. ↩