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n. 2 – ottobre 17, Video

Le fonti, i metodi e le narrazioni della storia della videoarte in Italia negli anni Settanta

La Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura, Gennaio ’70.

per citare questo articolo usa

https://doi.org/10.47109/0102220105

The Third International Biennial of Young Painting, January 70. Behavior, projects, mediations , Museo Civico Archeologico, Bologna, January 1970. Photographic Archive of the Civic Museums of Ancient Art, Bologna Museums Institution

ABSTRACT

Questo saggio deriva dall’esigenza primaria di fare ordine tra le fonti dirette e indirette a disposizione dello storico per la ricostruzione della storia della videoarte in Italia negli anni Settanta. Infatti, nel corso delle ricerche per la tesi di dottorato si è notato che nella maggior parte dei casi è difficilmente definibile, sul piano dei fatti, quale delle diverse storiografie debba essere tenuta in considerazione per approfondire lo studio della videoarte in Italia, perché all’interno di legittime differenze di prospettive e metodi di ricerca le diverse narrazioni storiografiche condividono una serie di problematiche e una struttura narrativa molto simile, che a partire dagli anni Cinquanta si protrae fino ai festival degli anni Ottanta e Novanta. Il primo intento del saggio è quindi quello di mettere a confronto le diverse narrazioni storiografiche sulla videoarte italiana degli anni Settanta, verificando la loro genealogia, le fonti utilizzate e l’esattezza dei fatti narrati. Per la selezione del corpus si è scelto di analizzare in particolare i volumi monografici che trattano della storia della videoarte in Italia a partire dalle origini. L’obiettivo era, infatti, quello di disporre a campione di un ampia casistica di tipologie di ‘narrazioni’, come nel caso delle riviste d’arte e d’architettura contemporanea che saranno esaminate nella seconda parte del saggio. Dopo la selezione¸ per uno studio analitico e comparativo delle varie storiografie, si è poi scelto di focalizzare l’attenzione solo sulla Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura. Gennaio ’70. Comportamenti, oggetti e mediazioni (1970, Bologna), la mostra alla quale - dopo i pioneristici esperimenti di Lucio Fontana - si fa quasi sempre risalire l’arrivo del videotape in Italia (all’epoca videorecording), a cura di Renato Barilli, Tommaso Trini, Andrea Emiliani e Maurizio Calvesi. La scelta è dovuta al fatto che la narrazione data finora di questa mostra appare più mitologica che storica e può essere paragonata strutturalmente a quella dei tanti numerosi inizi che la storiografia sulla videoarte (anche italiana) individua come primi e generativi. Nella prima parte dello studio saranno messi a confronto i ‘fatti’ relativi a Gennaio ’70, così come narrati dalla storiografia sulla videoarte; in una seconda fase l’indagine sarà invece svolta attraverso alcune delle fonti dirette individuate durante la ricerca, con l’obiettivo di rispondere a molte delle domande sorte dal confronto tra le storiografie. Si premette infine che i nastri contenenti i video trasmessi non sono stati rinvenuti; dunque, l’approfondimento delle opere e documentazioni trasmesse durante la mostra è possibile solo mediante altri tipi di fonti, grazie alle quali si possono dedurre molte e preziose informazioni in merito alle tecniche e pratiche video all’inizio del 1970.

Le storie sulla viadeoarte italiana negli anni Settanta (1995-2016)1

Una delle prime se non la prima monografia che in Italia ambisce a ricostruire la storia della videoarte è Videoarte & Arte. Tracce per una storia (1995) di Silvia Bordini, nata dal corso universitario svolto all’Università La Sapienza di Roma nell’ambito dell’insegnamento dell’arte contemporanea, nel quale venivano coinvolti Carlo Ansaloni, Carolina Brook, Rossella Caruso, Bruno Di Marino, Marco Maria Gazzano, Anna Ludovico, Attilio Pierelli e Mario Sasso.
Il volume si articola in un primo capitolo, nel quale è ricostruito il rapporto tra arte e tecnologia e in un secondo, rivolto nello specifico alla ricostruzione degli inizi della videoarte, a partire dal «primo artista che ha elaborato l’esigenza di una utilizzazione creativa del mezzo televisivo»2 e che Bordini individua in Fontana3. La monografia non è dedicata esclusivamente al contesto italiano e, dopo aver introdotto il lavoro dell’artista spazialista, Bordini traccia un quadro più generale, passando dall’arte cinetica, al movimento Fluxus e ai casi singoli di Wolf Vostell, Nam June Paik, Joseph Beuys e Gerry Schum. Solo a questo punto l’attenzione è portata alla videoarte in Italia, cui è dedicato un paragrafo intero che inizia proprio dalla mostra Gennaio ’70. La ricostruzione dell’evento bolognese è affidata ad un’unica fonte diretta, il catalogo, e non vengono presi in considerazione altri documenti d’archivio. Anche per questo, l’affermazione secondo la quale la mostra bolognese è la prima esperienza dove appare ufficialmente la videoarte sembra derivare non da un’analisi approfondita della documentazione diretta ma da quanto già sostenuto nei precoci tentativi di ricostruzione storica, ovvero la monografia di Germano Celant (1977) e il volume di Sirio Luginbühl e Paolo Cardazzo (1980)4.
Nel 1998, nel catalogo della mostra La coscienza luccicante. Dalla videoarte all’arte interattiva, e più esattamente nel saggio Le molte dimore. La videoarte in Italia negli anni Settanta, Bordini approfondisce le molteplici modalità di intendere la nuova forma artistica alle sue origini, elemento che porta, secondo la studiosa, alla necessità di una ‘stabile e precisa’ definizione di cosa s’intende per videoarte. Si denota quindi una nuova presa di coscienza nei confronti di una forma artistica polimorfa e in continuo sviluppo anche se, nonostante questa nuova impostazione, la struttura narrativa del saggio rimane sostanzialmente invariata e di nuovo, dopo aver citato Fontana e tracciato le linee del contesto artistico/culturale tra gli anni ’60 e ’70, la studiosa ribadisce che «solo nel 1970 la videoarte approda in Italia, a Gennaio ’70».5.
Un anno dopo la mostra romana Simonetta Fadda dà alle stampe la monografia Definizione Zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione (1999). Il primo capitolo è dedicato al 1965, anno d’inizio della videoarte “vera e propria”, perché viene presentato sul mercato il Portapak (semi- e non-professionale) e contemporaneamente vengono realizzati i video di Paik (Cafè Gogo in Greenwich Village, 152 Bleeker Street) e Les Levine (Bum, girato a Manatthan). Se Bordini sosteneva che nella prima fase si era di fronte ad un’idea caleidoscopica, Fadda ha ben chiaro invece che videoarte è solo quella realizzata mediante il Portapak e, dunque, attraverso l’uso di un dispositivo portatile che permette la ripresa (facile e) diretta della realtà, non solo l’intervento sull’immagine televisiva in trasmissione o l’uso scultoreo dei monitor. Secondo la studiosa è poi quasi di conseguenza all’aprirsi dei musei statunitensi al video se in Italia – e temporaneamente – il Museo Civico di Bologna ospita il nuovo dispositivo. Ma di Gennaio ’70 vengono date pochissime informazioni aggiuntive, rispetto a quelle già presenti sui testi di Bordini.6
Nel 2001 Bruno Di Marino e Lara Nicoli curano la mostra/rassegna dal titolo Elettroshock. – 30 anni di video in Italia; e nel saggio in catalogo A circuito chiuso. Appunti sul video italiano Di Marino – in un contesto certo più divulgativo che scientifico – ribadisce nuovamente il primato della mostra Gennaio ’70. L’autore, anche se quasi involontariamente, rende inoltre conto del fatto che alcuni video di De Dominicis realizzati precedentemente alla mostra e presenti a Gennaio ’70 sono prodotti in collaborazione con il videogallerista Schum (che fino a quel momento risultava il padre putativo ma non effettivo dei video), girati in pellicola e poi trasferiti su nastro magnetico.7
Si avrà modo nella seconda parte di questo saggio di verificare la veridicità di questa affermazione, che per la prima volta (sebbene in modo molto implicito e non risolto) pone il problema della tecnica con la quale vengono realizzati i video trasmessi durante Gennaio ’70. Qui basti riflettere sul fatto che se alcune delle opere presentate alla mostra fossero state realizzate su pellicola e poi trasmesse grazie al trasferimento su nastro magnetico, si dovrebbero allora mettere in discussione (come fonti storiografiche attendibili) le numerose testimonianze dirette e indirette che dichiarano l’uso esclusivo del videoregistratore da parte degli artisti per la produzione e presentazione dei video a Gennaio ’70. Sarebbe inoltre necessario rivedere il concetto di videoarte, rispetto alla definizione appena data da Fadda.
Un anno dopo, nel paragrafo intitolato Video all’interno del capitolo Gli anni sessanta e settanta: la grande euforia della sua monografia Le icone fluttuanti. Storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia (2002), Angela Madesani rompe con la narrazione tradizionale, spostando l’attenzione da Gennaio ‘70 ai centri di produzione che prima della mostra avevano iniziato ad operare in Italia. Infatti, solo dopo aver iniziato il capitolo (individuando in Luciano Giaccari (fondatore dello Studio 970/2) uno dei primi promotori della nuova forma artistica in Italia, Madesani menziona Gennaio ’708non però come la mostra in cui appare la videoarte per la prima volta in Italia, ma come il primo momento di riconoscimento e, quindi, di accettazione dell’uso del dispositivo videografico in un contesto artistico istituzionale. Tuttavia, neppure in questo caso si spiega chi, esattamente, abbia commissionato e prodotto i video presentati.
Nello stesso 2002 viene pubblicato il libro della curatrice indipendente Maria Rosa Sossai, dal titolo Artevideo, storie e culture del video d’artista in Italia, (2002).9 Come in precedenza Bordini, Sossai parte dagli artisti appartenenti alla consolidata mitologia e, come Madesani, cita la mostra bolognese solo dopo aver introdotto i centri di produzione e le gallerie che prendono parte alla sperimentazione.10 L’attenzione è rivolta in primo luogo al nuovo ruolo delle gallerie, come spazi per la promozione degli artisti della ‘neo-avanguardia’ e per la circolazione dei videotape e film, dov’è possibile assistere a eventi in cui confluiscono cinema, performance, musica, teatro, danza.11 Anche il testo di Sossai insinua quindi il dubbio che vi sia stato qualche movimento attorno al video, precedentemente al 1970. Tuttavia, neppure in questo caso vengono chiariti i contesti particolari a partire dai quali è generato l’uso del dispositivo videografico. Sembrerebbe che a influenzare il contesto – in particolar modo quello romano – sia stato il lavoro di Giaccari, che tuttavia Sossai situa fattivamente a Roma solo nel 1972, per la documentazione video del Festival di Musica e Danza in Usa (1972), realizzato alla galleria l’Attico di Roma.
Si è già detto che a partire dalla metà degli anni Novanta le monografie e i saggi con un’impronta storiografica – al di là degli approcci diversi – condividono una serie di problematiche in comune: una non sempre corretta interpretazione delle fonti dirette e indirette; l’assenza di una verifica dei fatti emersi dalle testimonianze scritte a posteriori; la mancata analisi delle fonti critiche e storiografiche; la parzialità nella raccolta delle informazioni. Quest’ultimo aspetto è determinato anche dal fatto che quasi mai gli autori delle monografie e dei saggi fanno riferimento alle fonti dirette. Inoltre, anche quando alcuni dei testi elencati suggeriscono un diverso termine post-quem per l’arrivo della videoarte in Italia, non sono supportati da dati oggettivi e, anche quando lo sguardo è stato spostato ai centri di produzione, non si è posto il problema di chi e in che contesto, esattamente, abbia prodotto le opere e/o documentazioni in video per Gennaio ‘70. Quasi mai, infine, è stata messa in discussione l’opinione che a Gennaio ’70 le opere – e/o documentazioni – fossero state prodotte e/o presentate tutte in video, così com’è risultato impossibile avere notizie certe sulla piattaforma tecnologica utilizzata.
Forse anche per questo Bordini, nell’introduzione del numero monografico della rivista Quaderni d’arte, Memoria del video: Italia anni Settanta (2006) da lei curato, denuncia l’appiattimento che ha subito la storia della videoarte.12 Costituito dai saggi dedicati all’approfondimento della storia dei maggiori centri di produzione videoartistica italiani – tra cui art/tapes/22, Studio 970/2 e il Centro Video Arte di Ferrara (a cura, rispettivamente, di Veronica Collavini, Francesca Gallo, Rossana Buono) – il numero della rivista dimostra lo spostamento dello sguardo, dagli anni Sessanta (come nella prima monografia di Bordini) verso gli anni Settanta. Nonostante questo, la narrazione della mostra rimane la stessa e non vengono risolte molte delle questioni aperte dai vari studi precedenti.13
Un altro aspetto da evidenziare di Quaderni d’arte riguarda il saggio di Collavini Amnesie italiane. Lo strano caso di art/tapes/22, nel quale si denuncia l’assenza di un’attenzione alla conservazione e preservazione delle opere del fondo art/tapes/22Si tratta di una delle prime manifestazioni di forte interesse in questo senso, dopo le pioneristiche ricerche svolte in occasione della III Rassegna Internazionale del Video d’Autore, intitolata Cominciamenti e curata da Valentina Valentini per il Festival Taormina Arte (1988).14
Tuttavia, l’intervento di Collavini arriva contestualmente all’avvio del progetto di video-preservazione, i cui risultati confluiscono nel volume Arte in videotape. art/tapes/22, collezione A.S.A.C. – La Biennale di Venezia. Conservazione restauro valorizzazione (2007) a cura di Cosetta Saba.15 Questo attesta l’evidente scollamento tra le varie istituzioni che negli anni si impegnano nello studio della videoarte, nonché il diverso approccio: da un lato, si procede senza far riferimento alla fonte più diretta, l’opera; dall’altro, prima di ricostruirne la storia, si sente la necessità di rendere nuovamente accessibili e filologicamente attendibili le componenti audiovisive16.
A partire dalla metà degli anni Duemila è quindi attestabile in Italia un interesse crescente nei confronti di opere che si vogliono riportare al centro della ricostruzione storica. Contestualmente (e sempre più frequentemente fino ad oggi) sono date alle stampe monografie e/o volumi a più mani, che dichiarano di voler rivedere la storiografia, ma che purtroppo falliscono nel tentativo.17.

Per un riesame delle fonti critiche e storiografiche

Dopo aver analizzato quanto riportato dalla storiografia, si tenterà di usare qui di seguito un diverso approccio per la ricostruzione storica di questo evento di nascita, prendendo in considerazione prevalentemente le fonti critiche dirette (riviste), ma tralasciando necessariamente (per ragioni di spazio) la documentazione dispersa tra i vari archivi che ospitano oggi i fondi dell’Ente Bolognese Manifestazioni Artistiche, organizzatore della mostra Gennaio ’70.18 Non si ambisce a risolvere tutte le problematiche poste, ma si vuole soprattutto far venire alla luce la potenzialità di un’analisi più attenta delle fonti dirette e indirette, che sono sempre state a disposizione. Si vedrà così che il mancato approfondimento non è solo determinato dall’impossibilità di reperire alcune fonti essenziali tutt’ora difficilmente consultabili (quali la documentazione d’archivio o i nastri trasmessi); ma è stato determinato soprattutto dai quesiti che gli storici si sono (o non si sono) posti e dal metodo applicato. Se interrogati in maniera corretta, già solo i cataloghi e le riviste d’arte e d’architettura del periodo possono risolvere molte delle questioni e ridare spessore alla mostra Gennaio ’70.19

Contesti

Il primo aspetto fondamentale da chiarire è in che contesto artistico, culturale, sociale e politico, locale e nazionale, s’inserisce la mostra. Perché nasce l’idea di organizzare, a Bologna, un’esposizione che ospiti anche delle trasmissioni in video? Qual è l’impatto che quest’ultima ha sul pubblico e sugli ‘addetti ai lavori’, come critici, artisti e giornalisti specializzati?
La Biennale Internazionale della Giovane Pittura dal titolo Gennaio ’70. Comportamenti, oggetti e mediazioni20 è la terza, dopo quelle tenutesi nel 1965 e nel 1967 all’allora Museo Civico di Bologna (dai titoli, rispettivamente, di :Il presente contestato: interventi della terza generazione 21Il tempo dell’immagine, dedicate entrambe alla neo-figurazione).

La mostra Gennaio ’70 fa parte dunque di Biennali dedicate, fino a quel momento, ai giovani pittori internazionali;22; ma rispetto alle precedenti, l’edizione del 1970 viene descritta da Luciano Caramel come la più «coraggiosa».23 Ciò che infatti sembra innovativo è lo spostamento da una concezione ancora tradizionale del fare pittorico (prevalentemente neo-figurativo) verso un altro e nuovo paradigma artistico, più conforme alle idee portate anche avanti dalle contestazioni politiche degli ultimi anni Sessanta (le quali, tra le altre cose, avevano contribuito a ritardare Gennaio ’70, prevista in realtà nel 1969).24 Di fronte alla crisi in atto, come racconta  Tommaso Trini, l’EBMA è incline ad affidare la terza edizione a Renato Barilli, il quale a sua volta coinvolge i critici Trini, Emiliani e Calvesi,25 nell’organizzazione di una mostra che appariva innovativa non soltanto per la scelta di propendere verso l’arte concettuale, ma anche per gli strumenti attraverso i quali l’artista poteva ora esprimersi, ovvero il catalogo, il video-recording e il film.
L’operazione, se si esclude l’uso del dispositivo videografico, non è nuova, quando si guardi al panorama europeo e in particolare a Live in Your Head. When Attitudes Become Forms. (Works – Concepts – Processes – Situations – Information) (1969)26 di Harald Szeemann (una mostra inaugurata alla Kusthalle di Berna e poi ospitata all’Institute of Contemporary Arts di Londra, che dà il via alla stagione concettuale). Già in quel caso il tradizionale catalogo d’esposizione era sostituito da molte pagine nelle quali, più che le opere, venivano riprodotti documenti riguardanti i singoli artisti (la corrispondenza, i progetti, le fotografie). Nello stesso contesto, si assiste alla proiezione di documentazioni su pellicola e, in particolare, del film per televisione Land Art.27
A partire dal titolo, le due mostre si articolano in una struttura molto simile; e non sembra casuale la scelta di proporre il film Land Art28 anche a Gennaio ’70, assieme ad Eurasienstab (1967) di Joseph Beuys29 e al film documentario Festival Danza Volo Musica Dinamite, realizzato da Degli Espinosa (1969)30 alla galleria l’Attico di Fabio Sargentini.31 Si può ipotizzare inoltre che la risonanza che ebbe la mostra di Szeemann (che ospitava le opere degli artisti italiani ‘consacrati’ nello stesso anno  da Germano Celant, nella monografia Arte povera – Mazzotta, 1969 – come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Jannis Kounellis, Mario Merz e Gilberto Zorio) abbia agito come elemento propulsore delle nuove proposte bolognesi. Inoltre, come testimonia lo stesso Barilli nel catalogo di Gennaio ’70, anche Trini32 in quel momento seguiva assiduamente gli artisti della nuova corrente e, con Celant, «formava un episodio di pronta partecipazione dell’arte italiana all’avanguardia e internazionale».33
Se, dunque, la storiografia legata alla videoarte ne ha messo in rilievo l’importanza in qualità di momento istituzionalizzante per la nuova forma videoartistica, ha omesso di evidenziare la novità che la terza Biennale rappresentava per il panorama locale e non solo, al di là della trasmissione dei video. Le opere degli artisti ‘concettuali’ sono esposte in questo periodo nei contesti privati delle gallerie quali la Bertesca (1967) e La Carabaga club d’arte (1967) di Genova, il Punto, la Christian Stein e la Gian Enzo Sperone (1968) a Torino, la De Foscherari a Bologna (1968), il Centro Arte Viva Feltrinelli (1968) a Trieste o in rassegne come quella ad Amalfi dal titolo Arte povera più azioni povere (1968). Alcuni degli artisti ricevono anche la consacrazione internazionale di una galleria di prestigio come la Castelli Warehouse di New York e, come si è visto, sono esposte a Berna e a Londra. Ma, in Italia, sembra essere la ottava Biennale d’arte contemporanea (intitolata Esperienze al di là della pittura, 5 luglio – 28 agosto 1969, Palazzo Scolastico Gabrielli di Torino, curata da Gillo Dorfles, Luciano Marucci e Filiberto Menna) l’unica mostra organizzata da un ente pubblico che ospita – prima di Bologna – la corrente più concettuale. Dopo questa occorrenza, è l’EBMA a dar spazio a una nuova concezione della pratica artistica, votata a farsi processo e comportamento. Gennaio ’70 dunque, in un momento di profonda crisi, proiettava in un panorama nazionale e internazionale una Biennale tacciata di essere ancora legata al gusto locale.
Si può quindi dire che Gennaio ‘70 è effettivamente innovativa e probabilmente anche per questo suscita molta attenzione; ma non vi sono fin qui indizi che portino a dedurre da dove derivi la scelta di trasmettere delle opere e/o documentazioni in video. Quando si guardi al panorama delle mostre europee, anche a quelle più sperimentali (quali, appunto, quella di Szeemann), prima del 1970 la storiografia non riporta tracce dell’uso della trasmissione televisiva all’interno di uno spazio espositivo pubblico, né con fini estetici, né con fini documentativi. Questo non è secondario, e anzi dimostra una precoce attenzione in Italia verso il nuovo dispositivo d’espressione artistica.34

Pratiche espositive

Se, fino a questo momento, si è tentato di contestualizzare la mostra e di individuare le diverse novità messe in campo, ora l’attenzione deve essere rivolta alle pratiche (video) espositive. L’impianto a circuito chiuso viene installato in collaborazione con la Philips, che mette a disposizione non solo l’attrezzatura ma anche – secondo la dichiarazione di Barilli e quanto riportato sul catalogo – alcuni tecnici. Dal catalogo è possibile poi dedurre che durante l’allestimento si riscontrano problemi di trasmissione e questo aspetto è importante, quando si voglia indagare il grado di professionalità e la qualità con cui vengono realizzati i video e le successive trasmissioni.
I problemi tecnici incontrati furono tali, ad esempio, che uno dei video, quello di Gian Emilio Simonetti, fu realizzato ma non trasmesso e non compare nella lista delle registrazioni presenti alla fine dell’articolo di Barilli, su Marcatrè (luglio 1970). La criticità del video di Simonetti era dovuta al fatto che l’artista, per la realizzazione del video, aveva usato il montaggio, considerato da Barilli «un tour de force tecnico» estraneo alla pratica del video-recording.35 La difficoltà del montaggio in una fase così precoce è attribuibile quasi esclusivamente all’uso di una tecnologia non professionale (non televisiva) come quella portatile e non, che proprio alla fine degli anni Sessanta stava comparendo in Italia sul mercato. Ma, se per la produzione del suo video è probabile che Simonetti abbia utilizzato un videoregistratore portatile, in altri casi non sembra essere stato così.
Qual è invece la piattaforma tecnologica utilizzata per la trasmissione dei video alla mostra? Quanti erano i player in funzione? La trasmissione era in loop o vi era un tecnico predisposto a far ripartire il/i nastro/i? Se i video fossero stati mostrati in loop sarebbe stato necessario un supporto a cassetta, che già in quella fase precoce avrebbe consentito il riavvolgimento automatico. È più realistico però ipotizzare che i video siano stati trasmessi a partire da nastri open-reel. Questo sarebbe in linea con quanto suggerito dal testo di Bonito Oliva, ovvero che le «registrazioni erano trasmesse […] periodicamente nel corso della mostra»;36 e, dunque, che era necessario un tempo tra l’una e l’altra trasmissione. Dall’elenco dei video presenti nell’articolo di Barilli su Marcatrè si può infine ipotizzare che i video siano stati mostrati su nastri magnetici da 1 pollice’’- e non da 1/2 pollice’’- e che quindi, almeno per la trasmissione, sia stato usato un videoregistratore non portatile a bobina aperta (individuabile nel modello EL3402, uscito da poco sul mercato semi-professionale, o nei modelli precedenti).37
Continuando nell’analisi dell’allestimento del circuito chiuso, grazie alle fotografie pubblicate negli articoli delle varie riviste si può intuire che i monitor (due o più) erano posti su alcuni piedistalli bianchi, di modo che risultassero alla stessa altezza dello sguardo di una persona in piedi.

Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura, Gennaio 70. Comportamenti, progetti, mediazioni, Museo Civico Archeologico, Bologna, gennaio 1970. Archivio fotografico Musei Civici d’Arte Antica, Istituzione Bologna Musei
Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura, Gennaio 70. Comportamenti, progetti, mediazioni, Museo Civico Archeologico, Bologna, gennaio 1970. Archivio fotografico Musei Civici d’Arte Antica, Istituzione Bologna Musei

Inoltre, dalla testimonianza di Maurizio Calvesi (sulla rivista settimanale di cultura l’Espresso del marzo 1970) si deduce che «la trasmissione su più canali avrebbe dovuto […] far sì che girando l’occhio […] il visitatore potesse soffermarsi su azioni diverse, come si sofferma sui quadri che più avvincono. Ragioni economiche hanno reso più statico il programma».38 Si può infine osservare che gli schermi non erano disposti assieme, ma uno per stanza, a fianco alle altre opere non video; e che il programma dei video trasmessi era molto probabilmente quello pubblicato alla fine dell’articolo di Barilli su Marcatrè (anche se non c’è conferma dell’ordine nel quale sono stati mostrati i video).

Pratiche tecnico-produttive

Dopo aver approfondito le strategie espositive, è necessario ora spostare l’attenzione alle tecniche produttive usate dagli artisti. Cos’è possibile dire dei video trasmessi attraverso le fonti dell’epoca a disposizione, ovvero in cosa consistevano i video? Che uso facevano gli artisti del nuovo dispositivo? È possibile ricostruire, a partire dalle sole fonti scritte (abbiamo ricordato infatti che i nastri trasmessi non sono stati rinvenuti) le tecniche adoperate e/o distinguere tra opere e documentazioni?
Attraverso l’analisi degli articoli39 si può dedurre, ad esempio, che l’opera Fiori di fuoco di Kounellis consisteva nella ripresa a camera fissa e senza montaggio «delle mattonelle di un pavimento disposte come tanti petali di fiori, altrettante formelle […] che poi [l’artista, nda] incendia»,40 come lo stesso artista aveva già fatto in maniera simile nell’opera Margherita di fuoco, presentata alla mostra Fuoco, Immagine, Acqua, Terra (L’Attico, Roma 1967,).41 Tuttavia, secondo quanto riportato da Bonito Oliva – e confermato da Barilli nell’intervista con Laura Leuzzi per il progetto Rewind Italia42 – anche altri video consistevano in una registrazione a camera fissa (Anselmo, De Dominicis, Mattiacci, Prini, Zorio Boetti, Mario e Marisa Merz Calzolai e Ceroli). Questo però non significa che si trattasse di documentazione. Quando, ad esempio, si guardi la descrizione di Barilli del video di Prini Magnete/Proiezioni TV Programmazione di elementi a proiezione miniaturizzata con cancellazione alterna nel quadro, è chiaro che si deve parlare di uno studio approfondito del dispositivo videografico.
Vi sono poi i casi in cui la camera è mobile come per Pistoletto (Riflessioni), che la fa girare su se stessa riprendendo a 360° lo studio (e i tecnici televisivi) e la pone poi di fronte al monitor, fornendo così lo spunto per una sorta di mise-en abȋme dell’immagine che Barilli definisce tête-à-tête. In altri casi, invece, la telecamera è a mano, come durante la registrazione del video di Penone Lettere d’alfabeto. Si tratta, per alcuni artisti, di una reale presa di coscienza delle potenzialità del nuovo dispositivo videografico e dei primi tentativi di scrittura con il nuovo mezzo. Da parte di altri, invece, sembra che si propenda per un uso freddo e documentale.
Dalle descrizioni riportate – e dallo studio della documentazione fotografica e grafica presente nel catalogo – è possibile poi fare un’altra serie di considerazioni: in molti casi, per esempio, le registrazioni avvenivano in interni; tuttavia Anselmo, De Dominicis e Zorio ambientano le loro opere in paesaggi naturali (Anselmo, De Dominicis) o industriali (Zorio) e si può ipotizzare che, almeno in questi tre casi, sia stato usato un dispositivo portatile (che veniva però raramente utilizzato in interni, sostituito da quello fisso di qualità migliore). Andando avanti con l’analisi, si può dire che alcune volte del dispositivo videografico gli artisti sperimentano la possibilità specifiche di registrazione e trasmissione dell’audio, come nel caso dei video di Boetti, di Mario Merz, di Zorio e di Prini. È possibile poi supporre che nella maggior parte dei casi non siano stati eseguiti dei tagli, quindi tentativi di montaggio anche se – come attesta lo stesso Barilli – Fabro, Patella e Simonetti si mettono alla prova in questo senso, sfociando in una tecnica che il critico definisce cinematografica.
Se queste prime analisi possono in parte rispondere alle questioni poste all’inizio – individuando un’ampia casistica di usi del nuovo dispositivo, più o meno rivolti ad analizzarne le potenzialità comunicative specifiche – non si può non supporre, come già accennato nel paragrafo precedente, che la varietà di tecniche e ‘stili’ corrisponda anche a una differenza nella piattaforma tecnologica utilizzata. Tra le tante e diversificate varianti stilistiche messe in campo – chi privilegiando una dimensione di fissa e statica registrazione di azioni, installazioni o ambienti, chi una dimensione più sperimentale e libera – ve n’è una che Barilli chiama Elettronica e che più delle altre è rappresentativa della pluralità espressiva: si tratta dell’opera Vobulizzazione, realizzata da Colombo.43 Dal punto di vista visivo il risultato rimanda – come rilevavano subito Barilli e Bordini – alle opere cinetiche tradizionalmente conosciute dell’artista. Chi si fosse posto di fronte allo schermo durante la trasmissione avrebbe visto, infatti, un reticolo di linee verticali e orizzontali intersecate ortogonalmente – una sorta di rete bianca su sfondo nero – che via via si animava ondulando a ritmi alterni. Nonostante possa sembrare scontato l’uso del video per un lavoro così complesso, si deve tenere conto che in molte delle fonti dell’epoca il video di Colombo è considerato un video-film.44 Si tratta quindi di una pellicola poi migrata su video o di un’opera realizzata solo ed esclusivamente attraverso il dispositivo videografico? Allo stato attuale delle ricerche non è ancora dato saperlo.

I contesti produttivi

Detto questo e riprendendo la serie di problematiche poste – ovvero in quale/i contesto/i sono stati prodotti i video mostrati a Bologna e se vi sia stata una diretta commissione da parte dei curatori – è possibile notare che già in due occasioni è stata citata la galleria l’Attico di Sargentini. Si potrebbe dunque ipotizzare che il direttore sia stato più di un semplice collaboratore della mostra e che abbia anche contribuito fattivamente all’ideazione di alcuni dei video. Se da un lato non è ancora stato possibile corroborare questa ipotesi, dall’altro è quasi certo che Roma sia stata una delle città dove ha avuto luogo la produzione video e questo sembra confermato anche dalle testimonianze più recenti dello stesso Sargentini a Di Marino,45 di Barilli46 e Calvesi.47
Ma se alcune delle opere furono prodotte a Roma chi, esattamente, le ha commissionate? Nella lista presente nell’articolo di Barilli su Marcatrè si riporta che i video di De Dominicis alla mostra Gennaio ’70 sono Prestidigitazione, Tentativo di volo, Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua e, infine, La morra cinese.

Still dal video Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua, Gino De Dominicis, b/n, sonoro, 1970. L’opera è stata prodotta da Gerry Schum in pellicola e poi traferita su nastro magnetico ai fini della trasmissione durante la mostra Gennaio ’70.
Still dal video Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua, Gino De Dominicis, b/n, sonoro, 1970. L’opera è stata prodotta da Gerry Schum in pellicola e poi traferita su nastro magnetico ai fini della trasmissione durante la mostra Gennaio ’70.
Still dal video Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua, Gino De Dominicis, b/n, sonoro, 1970. L’opera è stata prodotta da Gerry Schum in pellicola e poi traferita su nastro magnetico ai fini della trasmissione durante la mostra Gennaio ’70.
Still dal video Tentativo di volo, Gino De Dominicis, b/n, sonoro, 1970. L’opera è stata prodotta da Gerry Schum in pellicola e poi trasferita su nastro magnetico ai fini della trasmissione all’interno della serie Identifications andata in onda il 30 novembre 1970 grazie alla rete televisiva tedesca Südwestfunk Baden-Baden.

Se ora si guarda alla lista dei video prodotti da Schum nel catalogo della mostra itinerante a lui dedicata nel 1979, non solo si noterà che Tentativo di volo è presente all’interno della serie Identifications (1970)ma anche che lo stesso Schum ha prodotto Quadrati cerchi (ovvero Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua), il quale è stato realizzato su film e trasferito in videotape per la copia di edizione.48
Un altro caso interessante è quello dei video di Merz e Zorio, che fanno parte della serie Identifications e che, nonostante nel catalogo della produzione Schum non siano intitolati, sono in strettissima relazione con quelli presenti alla mostra bolognese. Merz fa riferimento in entrambi i casi alla serie di Fibonacci, producendo tuttavia due opere diverse. La prima, secondo Trini, viene realizzata in collaborazione con una violinista della Rai che riproduce acusticamente la serie (secondo Bonito Oliva, il violinista è un uomo e un amico dell’artista); la seconda è a volte citata come Lumaca e fa parte della serie Identifications. Zorio propone a Gennaio ’70 l’opera dal titolo Fluidità Radicale e in Identifications si mostra con un bastone in mano, dove sono scritte le due parole. Le stesse immagini, questa volta a colori e su stampa fotografica, si ritrovano in una composizione dal titolo Fluidità Radicale (1969-1972).
Dalla testimonianza di Barilli sembrerebbe che il motivo per cui in molti casi i titoli dei video bolognesi e quelli di Schum sono coincidenti è che gli artisti hanno rifatto le registrazioni a causa della poca attenzione rivolta ai nastri da parte dell’EBMA.49 Barilli suggerisce anche che essendo subito stati perduti i primi video, gli artisti decisero in seguito di rifarli con l’aiuto di Schum. Se nel caso di Merz e di Zorio questo può essere stato vero (e al momento non vi sono documenti che lo attestino o che lo neghino), per quanto riguarda De Dominicis la dichiarazione di Barilli non è attendibile. Infatti, nell’elenco apparso sulla rivista Marcatrè nel luglio 1970 i titoli sono gli stessi che compaiono in qualità di registrazioni programmate in gennaio, durante la Terza Biennale. Si potrebbe pensare che quest’ultimi siano stati aggiunti dopo la mostra (insieme a Prestidigitazione Morra cinese, che non compaiono nel catalogo di Schum), se non fosse per la testimonianza di Bonito Oliva, che ne attesta la presenza già nell’articolo pubblicato in marzo.50 È quindi probabile che i video siano stati realizzati in collaborazione con Schum e trasmessi a Gennaio ’70.
Se così fosse, come si era già ipotizzato nella prima parte del saggio, si dovrebbe affermare che la Terza Biennale non presentava solo «le registrazioni dei vari artisti concepite espressamente per essere riprese su nastro magnetico e trasmesse sul monitor» – come scrive Barilli sul catalogo – ma che in alcuni casi quanto mostrato era molto probabilmente stato girato in pellicola e poi registrato su nastro, per essere mostrato su monitor. Si trattava di una pratica diffusa soprattutto per la registrazione in esterni, usata dai tecnici professionisti che, non potendo trasportare i pesanti macchinari televisivi fuori dagli studi, usavano ancora la cinepresa per poi trasferire tutto su nastri open-reel da 1 e/o 2 pollici.
Sembra quindi che Schum abbia collaborato più fattivamente di quanto la storiografia non attesti. Ma non solo in nessuna delle storie della videoarte si fa cenno a questo; non viene neppure quasi mai spiegato cosa porti Schum e il suo filmato Land art alla mostra. È lecito da un lato supporre che all’epoca il gallerista e la sua impresa fossero già abbastanza noti in un certo ambiente artistico; e le varie manifestazioni cui partecipa nel 1969 con Land art contribuiscono sicuramente a diffonderne la notorietà. Ma chi lo ha coinvolto? È un’idea di Barilli, come sembrerebbe e come quest’ultimo afferma? O Schum è invitato per volontà di Trini che, partecipando alla redazione del catalogo per la mostra di Szeemann, ha poi suggerito di proporre Land art anche a Bologna? Vi è anche la possibilità che sia stato Calvesi ad avvicinare Schum, come lui stesso sostiene nel catalogo de La coscienza luccicante. Dalla videoarte all’arte interattiva (1998)ricordando di aver invitato il gallerista tedesco dopo averlo incontrato tra settembre e ottobre del 1969 a Düsseldorf, alla mostra Prospect ’69.51
Come attesta il già citato catalogo dedicato a Schum nel 1979, il videogallerista in realtà era entrato in contatto con il contesto italiano due anni prima della mostra di Szeemann, durante la Biennale di S. Marino del 1967, alla quale aveva partecipato per realizzare un film sull’arte per la televisione. Successivamente, aveva preso parte alla mostra ad Amalfi dal titolo Arte povera + Azioni povere (4-6 ottobre 1968) organizzata da Celant.52 Dalla testimonianza di quest’ultimo critico si deduce che Schum era arrivato all’evento grazie a Dibbets, Long e Van Elk, con i quali proprio in questi anni Schum sta collaborando. Sembra anche importante sottolineare che la rassegna amalfitana è descritta nella biografia di Schum come un momento significativo, nel quale il gallerista sposta la sua attenzione dai programmi sull’arte (come a S. Marino nel 1967) alla produzione di opere d’arte specificamente realizzate per essere trasmesse sul monitor televisivo. Con quest’evento, gli altri momenti significativi per Schum sono la mostra dal titolo Nine at Castelli (New York, 1968) e l’incontro nello stesso anno di una serie di artisti (tra i quali Pistoletto, Paolini, Zorio e Merz) del Deposito d’Arte Presente di Torino, uno spazio autogestito nato grazie alla volontà di Marcello Levi e utilizzato spesso da Gian Enzo Sperone (che gestiva all’epoca una piccola galleria in Piazza Carlo Alberto, poco adatta alle opere di grandi dimensioni). Se Schum era in effetti già conosciuto da alcuni degli artisti poveri e/o concettuali e da Sperone, si può supporre che già precedentemente a Gennaio ’70 fosse attiva una collaborazione o quanto meno uno scambio tra il videogallerista e alcuni degli artisti coinvolti.
Tornando ora al discorso principale e all’indagine, come attestano molte riviste dell’epoca oltre al polo romano vi sarebbero stati altri due poli produttivi: il primo a Torino e il secondo a Milano. Se per Torino poche sono le notizie attualmente attestate (e quanto detto sul rapporto precoce instauratosi tra gli artisti della galleria Sperone e Schum potrebbe far pensare che proprio grazie ai due, o ad uno di loro, alcuni video – o pellicole poi su nastro magnetico – furono realizzati), per quanto riguarda Milano è utile riprendere il video Vobulizzazione di  Gianni Colombo.
Secondo quanto afferma Trini sulla rivista Domus nel marzo 1970, la registrazione sarebbe avvenuta «in un laboratorio Philips». Quattro mesi più tardi, sempre su Domus, Trini in qualità di curatore presenta quella che viene a volte indicata come il proseguimento dell’esperienza Bolognese, ovvero Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970).

Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970).
Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970).
Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970).
Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970).

In questo caso, oltre a cinque dei video proposti a Gennaio ’70,53 viene mostrato un altro programma che Trini indica come frutto della collaborazione tra la galleria Toselli di Milano, i tecnici della Philips, alcuni artisti e alcuni critici coinvolti appositamente per l’occasione. Tra di essi il video dal titolo Vobulazione e bieloquenza neg (1970)

Stills dal video Vobulizzazione e bieloquenza NEG, Giorgio Colombo e Vincenzo Agnetti, b/n, sonoro, 1970. Il video è stato mostrato durante Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970). Il procedimento tecnico impiegato nell’opera è molto simile a Vobulizzazione (b/n) di Colombo mostrata in occasione di Gennaio ’70.
Stills dal video Vobulizzazione e bieloquenza NEG, Giorgio Colombo e Vincenzo Agnetti, b/n, sonoro, 1970. Il video è stato mostrato durante Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo, in occasione di Eurodomus 3 (Triennale di Milano, 14-24 maggio 1970). Il procedimento tecnico impiegato nell’opera è molto simile a Vobulizzazione (b/n) di Colombo mostrata in occasione di Gennaio ’70.
Serie di fotografie che documentano l’evento Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo e back-stage della produzione di alcuni video. Da sinistra in alto: la trasmissione del video Inviato speciale di Gino Marotta e il ‘back-stage’ del video Corto circuito di Pistoletto. Da sinistra al centro: visione, in proiezione e in trasmissione (molto raro per l’epoca) del video di Marotta con Pierre Restany. Da sinistra in basso: 'making-off' del video Dibattito di Fabio Mauri e di Corto circuito di Henry Martin.
Serie di fotografie che documentano l’evento Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo e back-stage della produzione di alcuni video. Da sinistra in alto: la trasmissione del video Inviato speciale di Gino Marotta e il ‘back-stage’ del video Corto circuito di Pistoletto. Da sinistra al centro: visione, in proiezione e in trasmissione (molto raro per l’epoca) del video di Marotta con Pierre Restany. Da sinistra in basso: ‘making-off’ del video Dibattito di Fabio Mauri e di Corto circuito di Henry Martin.

di Colombo e Agnetti viene realizzato con una tecnica simile a quello precedente di Colombo e con l’aggiunta di una particolare attenzione al suono da parte di Agnetti, che crea lo strumento chiamato appunto NEG.54

Gennaio ’70, un caso isolato?

Un ultimo aspetto che risulta evidentemente assente nelle storiografie è un’analisi che indaghi a fondo le relazioni tra la Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura e gli eventi che pochi mesi dopo prendono luogo a Milano e a Venezia, come il già citato Telemuseo. Una mostra + un dibattito in circuito chiuso televisivo o la XXXV Biennale di Venezia.55 Approfondire questi rapporti, invece, non è solo importante per ridare tridimensionalità a una narrazione appiatta, ma anche per cercare di definire il reale grado di diffusione che ebbe l’uso del dispositivo videoartistico nel 1970.
Per ciò che concerne l’iniziativa milanese, già il fatto che quest’ultima fosse curata dallo stesso Trini indica una stretta connessione tra i due eventi organizzati a distanza di pochi mesi. Inoltre, come si è già detto, a Milano vengono mostrati alcuni dei video prodotti a Gennaio ’70. Ma Telemuseo è anche importante perché rende conto, più di Gennaio ’70, di quelle origini multiple tra estetica, politica, design e contro-comunicazione che giustamente gli storici pongono alle radici dell’evoluzione della nuova forma artistica. Nell’articolo di Trini su Domus,56infatti, viene dato molto risalto al contesto architettonico/scenografico in cui viene installato l’impianto a circuito chiuso; si desume così che la ‘mostra-spettacolo’ aveva l’intento di proporre agli addetti ai lavori in campo artistico lo studio del nuovo mezzo di comunicazione, sfruttandone le potenzialità. Sul piano tecnico-espressivo (primi o mezzi piani, montaggio alternato in studio ecc.), come afferma lo stesso Triniil linguaggio rispetto a Gennaio ’70 è però più chiaramente televisivo e lo dimostrano le fotografie sulla rivista Domus.57
Volgendo invece lo sguardo alla XXXV Biennale di Venezia e, in particolare, alla mostra Proposte per una esposizione sperimentale, è necessario tenere conto che nella sala VIII del Padiglione Centrale era stata predisposta un’area dedicata al “Relax e Gioco”, con un «impianto TV a circuito chiuso, quattro monitor professionali di piccole dimensioni Philips, quattordici televisori a grande schermo Brionvega e la scelta delle quattro telecamere (collegate ai quattro) monitor mediante quattro posti di comando a disposizione dei visitatori».58 In questo caso, l’uso dell’impianto tv a circuito chiuso sembra avere più a che fare con il rinnovato ruolo dello spettatore. La mostra si presenta, infatti, in forma sperimentale ed è costituita anche da una serie di laboratori, coordinati dall’artista Gianfranco Tramontin e tenuti da ventisei artisti di nazionalità diverse, con la funzione di mostrare al pubblico alcune tecniche artistiche dell’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica.59 Alla mostra Proposte per una esposizione sperimentale il monitor passa quindi dall’essere un nuovo oggetto di design per il comodo salotto di casa (com’era stato a Milano) ad attrattiva giocosa per una pausa da una sala all’altra, in un’esposizione presentata come un grande laboratorio sperimentale.
Il progetto di Umbro Apollonio, Dietrich Malhow e Luciano Caramel è avvicinabile a quelli delle mostre The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age (MOMA, 1968), sviluppata anch’essa a partire in molti casi da ricostruzioni e documentazioni di opere non più esistenti, e Information, inaugurata il 2 luglio 1970 al MoMA di New York e allestita con un impianto di più di quaranta schermi.60 Come avviene a New York, anche a Venezia i mezzi sono spesso secondari alle idee; e lo dimostra tra le altre cose quanto sostengono gli artisti Davide Boriani e Livio Castiglioni (attribuendone la scelta totalmente ai curatori): spiegando l’allestimento della XXXV Biennale, essi sottolineano infatti che l’uso dei mezzi è puramente strumentale alla comunicazione delle idee.
Se ora si volge l’attenzione alla piattaforma tecnologica utilizzata, si noterà che anche nel caso di Venezia tutta la strumentazione tecnica è fornita dalla Philips (ad eccezione dei monitor, messi a disposizione dalla Brionvega). Curioso inoltre che alla fine del catalogo della XXXV Biennale alcune pagine sponsorizzino gli stessi fornitori, con pubblicità costruite ad hoc per il contesto artistico: la televisione 17″ Brionvega con la frase che cita «a proposito di Brionvega, Freud parlerebbe di complesso di Narciso» (sei anni prima della pubblicazione dell’articolo di Rosalind Krauss Video: The Aesthetics of Narcissism, sulla rivista October61); e gli «impianti di televisione a circuito chiuso» costituiti da «telecamera mini-compact LDH 0050 e registratore video EL 3402»62 della Philips non portatile.63

Per una nuova narrazione della storia

Concludendo questa indagine, si deve riconoscere che i primi momenti di promozione dell’uso del dispositivo videografico in ambito artistico non sono necessariamente circoscritti alla Terza Biennale Internazionale della Giovane Pittura – sebbene quest’ultima possa essere indicata allo stato attuale delle ricerche come il primo evento pubblico in Italia e non solo a predisporre gli spazi con dei monitor televisivi. Tuttavia, quanto meno per quanto riguarda la produzione, la ricerca dovrebbe essere allargata alle città di Torino, Milano, Roma e Venezia. Si deve anche dire che gli eventi succedutisi tra il gennaio e il luglio del 1970 presentano numerosi aspetti in comune, a partire dal fatto che in tutti i casi si fa uso della strumentazione e dei tecnici della Philips, che aveva le sue sedi al nord, tra le città di Padova e Milano. Infine, se del nuovo dispositivo tutti i critici mettono in rilievo la facilità di utilizzo, la simultaneità della registrazione e l’immediatezza della visione (quasi a voler sottolinearne le potenzialità per un uso domestico, più che artistico), molti dei video non sono costruiti a partire da tecniche caratteristiche del dispositivo Portapak, ma necessitano della collaborazione con tecnici e attrezzature specifiche semi-professionali.
Per individuare il motivo per cui i critici insistono sulla loro posizione, si dovrebbe ricordare che proprio alla fine degli anni Sessanta la Philips lanciava sul mercato europeo il dispositivo di registrazione LDL 1000 per uso domestico; è quindi molto probabile che avesse un interesse nel contribuire alla sua promozione in ambito artistico, come avveniva già da tempo negli Stati Uniti. Se la storiografia sulla videoarte – quando lo abbia esplicitato – indica nel Sony Portapak (portatile e semi-professionale) il dispositivo attraverso il quale si dà il via alla sperimentazione videoartistica, molti di questi primi video, almeno in Italia, sono stati prodotti con apparecchiature Philips, non necessariamente portatili. Inoltre, come dimostravano bene anche le prime fonti critiche (come quelle di Francesco Carlo Crispolti e di Luciano Giaccari),64 più che il sistema di registrazione utilizzato, in questa fase l’aspetto fondamentale per cui gli artisti fanno uso del nuovo mezzo è la possibilità di trasmettere le informazioni, le idee, i comportamenti equindi, di sfruttare questo tipo di specificità del mezzo. Quest’ultimo, per ognuno di loro, ha però avuto un significato diverso nella pratica e a dimostrazione di questo vi è l’eterogeneità delle tecniche/forme espressive che connotano la videoarte sin dalle origini.
Si è visto che un’indagine approfondita delle fonti critiche e storiografiche consente di far luce su molti aspetti della storia. Tuttavia, non tutte le questioni sono state risolte e rimangono ancora numerosi quesiti, sia per quanto riguarda le fasi organizzative della mostra, sia per ciò che concerne i contesti produttivi, sia, da ultimo, in riferimento ai nastri trasmessi (anche se, in questo ultimo caso, si può supporre che – data l’eterogeneità delle tecniche utilizzate, i probabili rapporti già avviati tra Schum e alcuni degli artisti e la relazione con le pratiche performative e concettuali ‘’extra-video’’ –  si sia trattato di registrazioni sia su pellicola che su nastro magnetico e che poi i contenuti siano stati fatti migrare su nastri 1 pollice per consentire la trasmissione).
Le questioni ancora aperte potranno essere risolte probabilmente solo ove si porti avanti un’indagine approfondita degli archivi, sia di quelli nei quali è confluito il fondo dell’EBMA, sia di quelli privati delle gallerie, degli artisti e dei curatori che parteciparono a questo e agli eventi successivi.65

  1. Questo saggio è un estratto della tesi di dottorato dell’autrice intitolata Per una storia della videoarte in Italia negli anni Settanta: il fondo archivistico della galleria del Cavallino di Venezia (1970-1984). Riesame storico-critico delle fonti e individuazione di nuovi metodi di catalogazione digitale (A.A. 2016-2017)Relatore: Cosetta Saba (Università degli Studi di Udine); Co-relatore: Barbara Cinelli (Università degli Studi Roma Tre). Le storiografie che sono state prese in considerazione sono le seguenti: Cfr., S. Bordini, Videoarte e arte. Tracce per una storia, Lithos, Roma, 1995; M. G. Tolomeo e P. Sega Serra (a cura di) La coscienza luccicante: dalla videoarte all’arte interattiva, Gangemi, Roma, 1998; S. Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte tra politica e comunicazione, Costa & Noland, Genova, 1999; B. Di Marino e L. Nicoli, Elettroshock – 30 anni di video in Italia – 1971-2001, Castelvecchi, Roma, 2001; A. Madesani, Le icone fluttuanti: storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia, MondadoriMilano, 2002; M. S. Sossai, Artevideo: storie e culture del video d’artista in Italia, Silvana editore, Milano, 2002; S. Bordini (a cura di), Videoarte in ItaliaRicerche di Storia dell’arte, Carocci, Roma, 2006, n. 88; L. Leuzzi and S. Partridge, Rewind Italia, Early Video Art in Italy, John Libbey & Co Ltd, Barnet, 2015; C. Casero e E. Di Raddo, (a cura di), Anni Settanta. La rivoluzione nei linguaggi dell’arte, Postmedia books, Milano, 2015; M. M. Tozzi, La videoarte italiana dagli anni ’70 ad oggi, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 2016. Durante la redazione di questo saggio è stata data alle stampe la monografia di A. Troncone, La smaterializzazione dell’arte in Italia 1967-1973, Postmedia Books, Milano, 2014 che comprende un importante contributo relativo alla mostra Gennaio ’70 e all’interno della quale vengono pubblicate le fotografie presenti nella rassegna stampa dell’epoca, che rendono conto di parte dell’allestimentoMa il volume, non essendo dedicato nello specifico alla videoarte non approfondisce molti degli aspetti che saranno trattati qui.
  2. S. Bordini, Videoarte e arte. Tracce per una storia, Lithos, Roma, 1995
  3. Tutti gli storici ricordano l’esperimento televisivo negli studi milanesi della RAI ad opera di Lucio Fontana, in collaborazione con alcuni membri dello Spazialismo, firmatari del Manifesto spaziale per la televisione, 1952. Il manifesto, una riproduzione fedele del quale è disponibile on-line, è datato il 14 maggio 1952 e viene firmato a Milano; la sede del movimento è la galleria del Naviglio; gli artisti sono Anton Giulio Ambrosini, Alberto Burri, Roberto Crippa, Mario Deluigi, Bruno De Toffoli, Gianni Dova, Enrico Donati, Lucio Fontana, Gian Carozzi, Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Guido La Regina, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, Tancredi Parmeggiani, Vinicio Vianello.
  4. Cfr. G. Celant, OffMedia: nuove tecniche artistiche: video, disco, libro, Dedalo Libri, Bari, 1977; P. Cardazzo e S. Luginbühl, Videotapes. Arte, tecnica e storia, Matrogiacomo, Padova, 1980.
  5. S. Bordini, Le molte dimore. La videoarte in Italia negli anni Settanta, in M. G. Tolomeo e P. Sega Serra (a cura di) La coscienza luccicante: dalla videoarte all’arte interattiva, Gangemi, Roma, 1998, p. 34. Quando si scorra la lista delle fonti attraverso le quali Bordini scrive, si noterà che come in precedenza (a parte l’articolo di Barilli) quasi tutte le informazioni provengono da fonti secondarie e indirette, prevalentemente dalle interviste e testimonianze pubblicate nei cataloghi dei festival e rassegne degli anni Ottanta.
  6. S. Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte tra politica e comunicazione, Costa & Noland, Genova, 1999, p. 69
  7. «In occasione della Terza Biennale Internazionale della giovane pittura: Gennaio 1970. Comportamenti, progetti, mediazioni, organizzata a Bologna da BarilliCalvesi e Trini, vennero registrate in video una serie di performance tra cui una di De Dominicis, intento a copulare con la terra sulle rive del Tevere. Subito prima, Gerry Schum per il suo film Identifications aveva ripreso le azioni di De Dominicis Tentativo di volo Tentativo di fare cerchi quadrati…, anche se il celebre videogallerista tedesco girava ancora in 16 mm, trasferendo i film su nastro magnetico e mostrandoli su monitor». In B. Di Marino, A circuito chiusoAppunti sparsi sul video italiano, in B. Di Marino e L. Nicoli, Elettroshock – 30 anni di video in Italia – 1971-2001, Castelvecchi, Roma, 2001 p. 12 Analizzando la monografia di Di Marino Sguardo inconscio azione. Cinema sperimentale e underground a Roma (1965-1975) (1999), è possibile poi verificare che la fonte è l’intervista da lui fatta al gallerista Fabio Sargentini, il quale avrebbe preso parte all’iniziativa. Cfr., B. Di Marino, Sguardo inconscio azione: cinema sperimentale e underground a Roma1965-1975, Lithos, Roma, 1999.
  8. Cfr. A. Madesani, Le icone fluttuanti: storia del cinema d’artista e della videoarte in Italia, MondadoriMilano, 2002, p. 93.
  9. M. S. Sossai, Artevideo: storie e culture del video d’artista in Italia, Silvana editore, Milano, 2002.
  10. Cfr. Ivi, p. 24.
  11. Cfr. Ivi, p. 19.
  12. S. Bordini (a cura di), Videoarte in Italia, Ricerche di Storia dell’arte, Carocci, Roma, 2006, n. 88.
  13. Ivi, p. 7.
  14. V. Valentini (a cura di), Cominciamenti, catalogo della III Rassegna Internazionale del Video d’Autore, Taormina Arte, De Luca, Roma, 1988.
  15. Cfr. C. G. Saba (a cura di), Arte in videotape, Silvana Editoriale Spa, Milano, 2007.
  16. La nuova impostazione proviene dal D.A.M.S. (Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo), attuale DIUM (Dipartimento del Patrimonio artistico e culturale) dell’Università degli Studi di Udine, un dipartimento interdisciplinare già specializzato nella conservazione e nel restauro del film; e, dunque, in un ambito affine a quello (video) storico-artistico e metodologicamente già preparato allo studio di una forma artistica time-based e audiovisiva. Per approfondimenti si veda: A. Bordina, La conservazione dell’arte video: teorie, strategie e tecniche, tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Udine 2007-2008 (relatrice: C. G. Saba); A. Bordina Il restauro digitale tra cinema e video: i casi di Policlinico in lotta e Carcere in Italia, in C. G. Saba (a cura di), Nostalgia delle falene. ‘Follia’, ‘Cinema’, ‘Archivio’, erratacorrige, Trieste, 2009; A. Bordina, The History and Technological Characteristics of Video Production and Reception Devices e A. Bordina, S. Venturini, Operational Practices for a Film and Video Preservation and Restoration Protocol, in J. Noordegraaf, C. G. Saba, B. Le Maitre e V. Hediger, Preserving and Exhibiting Media Art. Challenges and Perspectives, Amsterdam University Press, Amsterdam, 2013; L. Parolo, www.michelesambin.com. L’archivio Sambin. Metodologie per la Media Art, in S. Lischi, L. Parolo (a cura di), Michele Sambin. Performance tra musica, pittura e video, CLEUP, Padova, 2014; L. Parolo e G. Sasso, Il protocollo di video-preservazione del fondo Centro Video Arte di Ferrara e il restauro digitale dei video Viaggio di La Rose ed Essence di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, in C. G. Saba, L. Parolo, C. Vorrasi, Videoarte a Palazzo dei Diamanti 1973-1979. Reenactment, GAM, Ferrara, 2015.
  17. Tra questi, ad esempio, c’è Rewind Italia. Early Video Art in Italy/I primi anni della videoarte in Italia (2015), l’ultimo prodotto del progetto di ricerca REWINDitalia, coordinato da Steven Partridge e attivato con l’obiettivo di riprendere in mano la storia della videoarte in Italia. Si veda anche il sito www.rewind.ac.uk (visitato in data 21/09/2016). Il frutto del lavoro, impostato già da Partridge e Deirdre Mackeena a partire dal 2007 e portato avanti da Laura Leuzzi, è consistito in un primo tempo nella collezione dei documenti per la costruzione di un database on-line. Il volume si compone invece di una serie di saggi, alcuni già editi, nei quali tuttavia non si risponde a molte delle problematiche evidenziate sin qui. La cronologia a fine volume curata da Leuzzi e Catricalà è un buon tentativo di porre le basi per una nuova narrazione storiografica, ma purtroppo i dati sono spesso imprecisi, forse perché i due giovani studiosi si sono basati anche (e in alcuni casi in maniera preponderante) su fonti secondarie (orali o scritte), di testimoni del periodo e/o di storici e di critici. Anche altri due volumi pubblicati recentemente dichiarano di voler ricostruire la storia della videoarte italiana negli anni Settanta: La videoarte italiana. Dagli anni ’70 ad oggi (Tozzi, 2016) e Anni Settanta. La rivoluzione nei linguaggi dell’arte (Casero e di Raddo, 2015). Il primo è costruito sulla trascrizione da parte dell’autore – in alcuni casi fin troppo letterale – delle interviste a molti dei testimoni e/o studiosi del periodo artistico esaminato. Il secondo è un volume di stampo accademico cui partecipano storici dell’arte con diversi contributi, uno dei quali, intitolato Nè ‘opera’ né ‘comportamento’: la natura del linguaggio video alle origini di Di Raddo, è espressamente indirizzato ad indagare la videoarte nel periodo considerato. Ad una loro analisi si è concluso che quest’ultimi due volumi non aggiungono nulla se non molta confusione, proveniente dal già menzionato regno dell’immaginazione, sia sul piano dei fatti che sul piano della struttura narrativa. Non è citata tra questi la monografia di Valentino Catricalà, Media Art prospettive delle arti verso il XXI secolo. Storie, teorie, preservazione, Mimesis, Milano-Udine, 2016. L’autore non si pone infatti l’obiettivo di ricostruire la storia della videoarte in Italia, ma ricostruisce la storia delle idee che si sviluppano attorno al concetto di arte e nuove tecnologie a partire dall’Ottocento. Non si fa nessun riferimento al contesto videoartistico italiano negli anni Sessanta e Settanta, se non indirettamente, citando l’esperienza dell’Arte programmata e Cinetica tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta (Gruppo N e Gruppo T). Un ultimo riferimento deve essere fatto ai cataloghi della Rassegna dei video d’autore curata da Valentina Valentini dal 1986 al 1995. La sezione stabile della Rassegna era infatti dedicata alle gallerie e ai musei che in Italia e all’estero avevano promosso e stavano promuovendo la videoarte; e per l’organizzazione del Festival non solo erano stati reperiti e spesso “restaurati” i nastri, ma si è svolto un lavoro di ricerca e documentazione. In nessun caso, tuttavia, si è tentato in questi cataloghi di ricostruire più in generale la storia della videoarte in Italia negli anni Settanta ma solo alcune delle esperienze avviate in quegli anni. Cfr. V. Valentini (a cura di), Video d’autore. 1986-1995, catalogo della IX edizione della Rassegna Internazionale del Video d’Autore, Taormina Arte, 1995.
  18. Istituito nel 1964 per «promuovere e attuare manifestazioni di carattere culturale, idonee a incrementare e diffondere i valori della cultura artistica» e sciolto nel 1993, l’archivio dell’ente viene spartito lo stesso anno e nei successivi tra una serie di istituzioni.
    Tra questi, ad oggi, sono state individuati a Bologna il MAMbo (Museo d’Arte Moderna di Bologna); i Musei Civici d’Arte Antica; l’archivio fotografico della Soprintendenza BSAE; la Cineteca e l’Archiginnasio (in quest’ultimo vi è prevalentemente materiale bibliografico). In G. M. Restuccia, L’ente Bolognese Manifestazioni Artistiche. Un fondo riscoperto al Museo d’Arte Moderna di Bologna, in Figure, Rivista della Scuola di specializzazione in beni storico-artistici dell’università di Bologna, n. 1, 2013, pp. 157-167. Disponibile al sito www.figure.unibo.it (visitato in data 21/04/2016).
    Già è possibile quindi ipotizzare che sia stato proprio questo momento di dispersione a portare alla perdita di molte delle tracce relative a Gennaio ’70; tra le quali i video trasmessi, se si presuppone che i nastri contenenti le registrazioni presentate alla mostra siano stati prodotti e quindi conservati soltanto dall’ente.
  19. Le riviste esaminate sono: Bolaffi Arte (1970-1993), Data (1971-1978), Notiziario Arte Contemporanea (NAC, 1968-1974), Domus (1928-), D’Ars (1960-), Marcatre (1963-1970), La Biennale di Venezia (1950-1972) e Flash Art (1967-).
  20. Cfr. Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Tommaso Trini, Andrea Emiliani, Catalogo della mostra 3. Biennale internazionale della giovane pittura, gennaio 70: comportamenti, progetti, mediazioni, EBMA, Alfa stampa, Bologna, 1970.
  21. Cfr. G. M. Restuccia, L’ente Bolognese Manifestazioni Artistiche. Un fondo riscoperto al Museo d’Arte Moderna di Bologna, in Figure, Rivista della Scuola di specializzazione in beni storico-artistici dell’università di Bologna, n. 1, 2013, pp. 157-167. Disponibile al sito www.figure.unibo.it (visitato in data 21/04/2016).
  22. Ivi, p. 160.
  23. «Questa terza Biennale bolognese […] è indubbiamente una mostra coraggiosa. I suoi organizzatori hanno saputo opporsi al qualunquismo […] delle precedenti edizioni […]. In un momento ovunque non facile per iniziative di questo tipo si sono posti in modo aperto e non convenzionale di fronte al grosso problema del significato e del ruolo delle esposizioni collettive […]». L. Caramel, Due vie (Biennale dei giovani a Bologna), in NAC, marzo, 1970, n. 32, p. 4.
  24. Anche La Biennale di Venezia e la Fondazione dell’Opera Bevilacqua la Masa a Venezia subiscono nello stesso periodo un forte attacco; ed è significativo, a dimostrazione della lentezza e della profonda crisi che stava colpendo in quel periodo le più tradizionali istituzioni artistiche e della difficoltà di quest’ultime di rinnovare le strutture e le proposte, che in tutti questi casi le istituzioni ebbero una battuta di arresto.
  25. Cfr. T. Trini, Mostre in Italia: il circuito è ancora chiuso, in DOMUS, n. 484, marzo 1970.
  26. Live in Your Head—When Attitudes Become Form, Kunsthalle Berna, 22 marzo- 27 aprile, 1969; poi esposta al Museum Haus Lange, Krefeld, Germania, 10 maggio-15 giugno, 1969; Institute of Contemporary Art, Londra, 28 settembre – 27 ottobre, 1969. Come vedremo, la partecipazione della trasmissione Land Art alla mostra itinerante e, in particolare modo, all’esposizione di Londra, sarà di fondamentale importanza per i video artisti inglesi.
  27. Cfr. H. Szeemann (a cura di), Live in Your Head: When Attitudes Become Form (Works – Concepts – Processes – Situations – Information), Kunsthalle, Berna, disponibile all’indirizzo www.radicalmatters.com (visitato in data 9/12/2016).
  28. Film in 16 mm, 1969, b/n, 38’, prod. Gerry Schum
  29. Film in 16 mm, 1967, 30’, prod. Joseph Beuys
  30. Film in 16 mm, 1969, b/n, 60’, prod. Port Royal
  31. Bonito Oliva nel suo articolo su Marcatre descrive così il film: «le sequenze del film restituiscono l’atmosfera collettiva, di cui era intriso lo spazio galleria-garage, dove si era realizzato un collegamento spontaneo tra coloro che agivano nello spazio privilegiato del gesto estetico e coloro che assistevano, liberamente distesi in una posizione (psico-fisica) orizzontale su stuoie poste circolarmente per terra». Cfr. A. Bonito Oliva, Lavoro estetico e comunità concentrata, in Marcatre, n. 56, febbraio, 1970.
  32. Trini scrive sul catalogo della mostra di Szeemann in rappresentanza degli artisti italiani che sono lì presenti grazie a galleria Sonnabend (Parigi), galleria Sperone (Torino), galleria L’Attico (Roma). Cfr. H. Szeemann (a cura di), Live in Your Head, disponibile all’indirizzo www.radicalmatters.com (visitato in data 9/12/2016).
  33. Cfr. Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Tommaso Trini, Andrea Emiliani, Catalogo della mostra 3. Biennale internazionale della giovane pittura, gennaio 70: comportamenti, progetti, mediazioni, EBMA, Alfa stampa, Bologna, 1970 p. 10.
  34. Quando si sposti però lo sguardo agli Stati Uniti e alla mostra al MoMA The Machine as Seen at The End of the Meccanical Age (1968)qui sì invece incontriamo numerose installazioni di televisori a circuito chiuso che non trasmettono solo, come la storiografia usualmente riporta, alcune opere di Nam June Paik, ma anche i film delle prime avanguardie trasferiti su nastro magnetico per essere trasmessi sugli schermi televisivi durante la mostra (Duchamp, Legér, ecc.). Il film New York (1968) di Franco Angeli dimostra che non solo si era a conoscenza di tali pratiche, quanto meno nell’ambito stretto di gallerie come l’Attico o la Tartaruga a Roma, ma anche che l’artista osservava da vicino i film e i lavori di Paik presenti alla mostra, riprendendoli attraverso la cinepresa. Cfr. E. Francesconi, Franco Angeli, Opprimente Viva il Primo Maggio, 1968, presentazione al convegno Memorie del contemporaneo, (Firenze, 22-23 novembre 2016).
  35. Cfr. Renato Barilli, Maurizio Calvesi, Tommaso Trini, Andrea Emiliani, Catalogo della mostra 3. Biennale internazionale della giovane pittura, gennaio 70: comportamenti, progetti, mediazioni, EBMA, Alfa stampa, Bologna, 1970 e R. Barilli, Video-recording a Bologna, in Marcatrè n. 58/59/60 3/4/5, luglio, 1970.
  36. A. Bonito Oliva, Lavoro estetico e comunità concentrata, in Marcatre, n. 56, febbraio, 1970, p. 77.
  37. Il primo videoregistratore casalingo 1/2’’ portatile prodotto dalla Philips (1969) sembra non consentisse registrazioni della durata superiore ai 45 minuti e non avrebbe quindi permesso la trasmissione di 70 minuti di programma, come sembra dall’articolo di Barilli. Cfr. www.scart.be (visitato in data 25/7/2016).
  38. M. Calvesi, Documenti di un percorso, in M. G. Tolomeo e P. Sega Serra (a cura di) La coscienza luccicante: dalla videoarte all’arte interattiva, Gangemi, Roma, 1998, p. 60. La citazione è tratta dall’articolo di M. Calvesi, Schermi TV al posto dei quadri, in L’espresso notte, n. 11, marzo, 1970.
  39. Come ad esempio l’articolo di Barilli sulla rivista Marcatrè (n. 58/59/60). Per questo articolo si deve tenere conto che il numero multiplo della rivista in questione è altrimenti conosciuto come 58/59/60 3/4/5 e, insieme ai due numeri precedenti (56-1 e 57-2), viene dato alle stampe in un momento in cui la rivista cambia casa editrice, passando da Lerici a Enne Esse e cambiando titolo in Marcatrè UTT. Questo cambiamento avviene nella seconda metà del 1969 – l’ultimo numero della serie precedente è il 50-55 uscito in luglio ma contiene articoli scritti a partire da febbraio 1969 – e dunque prima della sospensione della rivista alla fine del 1970, con il numero 62. È in realtà più realistico che la pubblicazione sia avvenuta tra luglio e agosto e quindi alcuni mesi dopo la mostra. Si confronti anche l’articolo di Achille Bonito Oliva uscito nel numero 56 della rivista Marcatrè, assieme al primo articolo di Barilli e a quelli di Trini e Calvesi. Tranne quello di Bonito Oliva, gli altri testi sono tutti già editi nel catalogo di Gennaio ’70. Cfr. A. Bonito Oliva, Lavoro estetico e comunità concentrata, in Marcatre, n. 56, febbraio, 1970
  40. R. Barilli, Video-recording a Bologna, in Marcatrè n. 58/59/60 3/4/5, luglio, 1970, p. 142.
  41. Nel 1967 si tiene la collettiva all’Attico intitolata Fuoco, Immagine, Acqua, Terra, Roma. Testi di Alberto Boatto e Maurizio Calvesi. Espongono Bignardi, Ceroli, Gilardi, Kounellis, Pascali, Pistoletto. In questa mostra Kounellis presenta Margherita di fuoco, fiore in metallo. Dal suo cuore usciva una fiamma aguzza alimentata da un cannello a gas che faceva da gambo. Cfr. www.treccani.it (visitato in data 21/06/2016); cfr. T. Trini, Mostre in Italia: il circuito è ancora chiuso, in DOMUS n. 484, marzo, 1970, foto di Kounellis, Senza titolo, (Metallo e fuoco, Modern Art Agency, dicembre 1969).
  42. Cfr. Intervista di Leuzzi a Barilli, senza data (2011-2014). Cfr. www.rewind.ac.uk, (visitato in data 21/06/2016).
  43. Il procedimento di realizzazione è spiegato in maniera approfondita in V. Agnetti e G. Colombo, Vobulazione e bieloquenza neg, in Television Today. Television and Culture. The Language of Television. Experiments. Bit International, n. 8-9, dicembre 1972, p. 223. Nello stesso numero è pubblicato in lingua italiana e jugoslava il testo di Barilli già in Marcatrè: R. Barilli, Video-recording a Bologna.
  44. Cfr. D. Palazzoli, Fotografia, cinema e videotape: l’arte nell’età dei media, in L’arte Moderna, vol. XV, Fratelli Fabbri, Milano, 1977.
  45. «Sargentini ricorda che una troupe venne a Roma per registrare varie performance tra cui una di Cintoli e una di De Dominicis, intento a copulare con la terra sulle rive del Tevere». In B. Di Marino, Sguardo inconscio azione: cinema sperimentale e underground a Roma1965-1975, Lithos, Roma, 1999, p. 31.
  46. Cfr. Intervista di Leuzzi a Barilli, senza data (2011-2014). Cfr. www.rewind.ac.uk (visitato in data 21/06/2016).
  47. «Non sarebbe […] difficile raccogliere dalla viva voce degli artisti il ricordo delle singole azioni: di De Dominicis che girò sul Tevere la sua, quella di gettare un sasso nell’acqua in attesa che formasse non un circolo ma un quadrato, e di Ceroli, che l’ambientò sulla scalinata dall’Aracoeli». In M. Calvesi, Documenti di un percorso, in M. G. Tolomeo e P. Sega Serra (a cura di) La coscienza luccicante: dalla videoarte all’arte interattiva, Gangemi, Roma, 1998, p. 60.
  48. Cfr. D. Mignot e U. Wevers, Gerry Schum, catalogo della mostra allo Stedelijk Museum, Amsterdam, 1979.
  49. Cfr. Intervista di Leuzzi a Barilli, senza data (2011-2014). Cfr. www.rewind.ac.uk, (visitato in data 21/06/2016).
  50. Qui vi si legge: «De Dominicis ha registrato la possibilità fisiologica del volo, la possibilità di realizzare quadrati e non cerchi buttando pietre nell’acqua ed ha giocato alla morra cinese con vera carta, masso e forbice». Cfr. A. Bonito Oliva, Lavoro estetico e comunità concentrata, in Marcatre, n. 56, febbraio, 1970, p. 77.
  51. Cfr. K. Fischer, H. Strelow e S. Siegelaub (a cura di), catalogo della mostra Prospect ’69, Städtische Kunsthalle, Düsseldorf, 30 settembre-12 ottobre 1969.
  52. Cfr. G. Celant, Arte povera, in Arte e dossier, Giunti, Milano, 2012, p. 22.
  53. Ovvero quelli di CeroliCintoli, Mattiacci, Merz, Prini e Zorio.
  54. Oltre al video di Agnetti e Colombo vi sono: Dibattito, un ironico dibattito sull’Arte Povera – registrato con il principio della presa diretta e quindi senza possibilità di ripetizioni – tra critici (Achille Mauri, Marotta, Restany, Scheggi, Trini) seduti dentro vasche da bagno e voluto da Fabio Mauri; Inviato speciale, dove Marotta fa un’assurda intervista a Pierre Restany, mentre sullo sfondo alcune diapositive mostrano i lavori dell’artista e l’audio manda in onda applausi e si gle musicali note ai telespettatori; due brani, Circuito chiuso e Corto circuito, rispettivamente di Henry Martin (Fluxus) e Michelangelo Pistoletto, che sono collegati tra di loro e secondo Trini sono costruiti con «tutti i mezzi e i modi di ripresa del piccolo studio televisivo»; in ultimo, un video che mettendo a tema la Control Camera mostra lo stesso Trini mentre cerca di muoversi ai bordi della zona filmata. Cfr. T. Trini, Di videotape in videotappa. Note sui primi esprimenti televisivi da parte degli artisti, in DOMUS, n. 495, febbraio, 1971 e T. Trini, Telemuseo, in DOMUS, n. 488, luglio 1970, pp. 49-51.
  55. Cfr. U. Apollonio, L. Caramel e D. Mahlow (a cura di), Catalogo della mostra 35° Esposizione biennale internazionale d’arte, Venezia, La Biennale di Venezia, 24 giugno-25 ottobre 1970.
  56. «Uno spettacolo-mostra offerto ai cittadini nel parco, entro la grande cupola pressostatica realizzata dalla Platesco di Milano: una cupola di venticinque metri di diametro, in teli di PVC, bianca di fuori e nera di dentro, con alla sommità un disco trasparente, che faceva piovere la luce dall’alto, come al Pantheon (Progetto di De Pas, D’Urbino, Lomazzi). All’interno venti televisori allineati lungo il perimetro trasmettevano in continuazione, in circuito chiuso, alcune azioni artistiche, precedentemente registrate col sistema del video-recording. Il pubblico sedeva o sul pavimento in moquette o sulle poltrone, anzi “fusti” di poltrone, della BBB di Meda (le morbidissime poltrone Gimma disegnate da Decursu, D’Urbino, De Pas, Lomazzi.)». Cfr. T. Trini, Telemuseo, in DOMUS, n. 488, luglio 1970.
  57. Cfr. T. Trini, Di videotape in videotappa. Note sui primi esprimenti televisivi da parte degli artisti, in DOMUS, n. 495, febbraio, 1971, pp. 49-51.
  58. «4 telecamere: una nella stessa sala dei monitor con zoom comandato dagli spettatori, una presso il pontile del vaporetto ai giardini, una sul viale di accesso al Padiglione Italiano, una nella colletta in zona Garibaldi. Presso ogni telecamera è installato un microfono in modo che gli spettatori possano ascoltare dagli altoparlanti ance i commenti del pubblico all’esterno». Cfr. U. Apollonio, L. Caramel e D. Mahlow (a cura di), Catalogo della mostra 35° Esposizione biennale internazionale d’arte, Venezia, La Biennale di Venezia, 24 giugno-25 ottobre 1970
  59. Cfr. U. Apollonio, L. Caramel e D. Mahlow (a cura di), Catalogo della mostra XXXV Esposizione biennale internazionale d’arte, Venezia, La Biennale di Venezia, 24 giugno-25 ottobre 1970.
  60. Cfr. Comunicato stampa n. 69 del 2 Luglio 1970; disponibile al sito www.moma.org (visitato in data 21/06/2016)
  61. Cfr. R. Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism, in October, Vol. 1, primavera, 1976, pp. 50-64. disponibile al sito http://www.jonahsusskind.com (visitato in data 21/06/2016)
  62. U. Apollonio, L. Caramel e D. Mahlow (a cura di), Catalogo della mostra XXXV Esposizione biennale internazionale d’arte, Venezia, La Biennale di Venezia, 24 giugno-25 ottobre 1970, p. 15.
  63. Sull’allestimento tecnologico un’importante testimonianza proviene dalla autobiografia di Angelo Bacci, nella quale l’autore descrive il suo ruolo di tecnico audiovisivo dell’A.S.A.C. di Venezia. Egli ricorda di essere stato assunto da Dorigo per occuparsi della documentazione del XXVIII Festival Internazionale del Teatro di Prosa (settembre-ottobre 1969). I dispositivi acquistati in quell’occasione erano «un videoregistratore elicoidale a testina rotante con nastro un pollice Philips, un mixer video per selezionare le immagini da registrare, due telecamere Philips (una bradeggiabile, a mezza luna, completa di zoom e comandata da una centralina, una piccola telecamera con ottica fissa, oltre a due microfoni panoramici Philips completi di aste e cavi annessi, più due Tv monitor per la regia), un apparato di tipo domestico, pesante e a bassa definizione». A. Bacci, Dalla fabbrica alla biennale, Supernova, Venezia, 2011, p. 21.
  64. Cfr. F. C. Crispolti (a cura di), Videolibro n. 1. Art Video recording, Galleria dell’Obelisco, Roma, 1971; L. Giaccari, Tv Out, in L’immagine iconoscopica: uno strumento in Argomenti e immagini di design, n. 4, gennaio-febbraio 1972.
  65. Anche se qui, come si è anticipato, non ci si poneva l’obiettivo di indagare gli archivi, alcuni tentativi sono stati fatti, ripercorrendo le tracce emerse durante l’indagine. Nella maggior parte dei casi, però, le istituzioni coinvolte e che si trovano oggi a conservare opere e documenti dell’arte contemporanea degli anni Settanta non hanno conoscenza dei supporti e dei formati video. Inoltre molti degli archivi, sia pubblici che privati, sono ancora considerati correnti – ovvero in uso e in continuo accrescimento – o di deposito, ovvero, almeno per quanto attiene quelli statali; ma il discorso è facilmente generalizzabile anche a quelli privati, in una fase in cui viene conservato temporaneamente tutto, in attesa di uno scarto e di una selezione che porterà poi alla costituzione dell’archivio storico, un bene tutelato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. In merito di veda  R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, Giuffrè, Milano, 2004.
Author

Lisa Parolo è assegnista di ricerca al Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale dell‘Università degli Studi di Udine, e coordinatrice del settore video del Laboratorio La Camera Ottica (Gorizia, Università degli Studi di Udine), specializzato nella digitalizzazione, restauro e archiviazione del film e del video. Si è dottorata con una tesi di ricerca intitolata Per una storia della videoarte in Italia negli anni Settanta: il fondo archivistico della galleria del Cavallino di Venezia (1970-1984). Riesame storico-critico delle fonti e individuazione di nuovi metodi di catalogazione digitale (A.A. 2016-2017). Ha preso parte a numerosi progetti dedicati alla conservazione e valorizzazione della videoarte e del cinema sperimentale, tra i quali quelli su Michele Sambin (2010-2014) e Sirio Luginbuhl (2014-in progress), sui fondi video dei centri di produzione di Ferrara (Centro Video Arte, 2013-in progress) e di Venezia (galleria del Cavallino, 2014-in progress). È inoltre una delle coordinatrici del progetto di censimento e mappatura degli archivi di videoarte in Italia (2017-in progress). Tra il 2010 e il 2013 ha partecipato alla progettazione e realizzazione dell’archivio digitale di Michele Sambin (www.michelesambin.com/archivio). Con Sandra Lischi ha co-curato il volume Michele Sambin. Performance tra musica pittura e video (Cleup, Padova, 2014) e con Cosetta Saba e Chiara Vorrasi ha co-curato la mostra Videoarte a Palazzo dei Diamanti. 1973-1979. Reenactment (2015, Ferrara).