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n. 2 – ottobre 17, Suono

Architetture sonore, atlante iconografico-sonoro

Le Corbusier, Iannis Xenakis, Edgar Varèse, Poème Électronique, Philips Pavilion, International Exhibition in Brussels, 1958

ABSTRACT

Il suono si esprime con e attraverso lo spazio: lo esplora geograficamente, lo fa riverberare acusticamente, lo struttura socialmente, lo amplifica e lo silenzia, lo distorce e lo stravolge, genera un incontro-scontro con la sua architettura; permea stanze, mette in vibrazione muri, disturba conversazioni; si diffonde e incontra oggetti accumulando riverberazioni, assorbendolo nelle sue onde e trasformando lo spazio attraversato. Nel corso del Novecento il suono ha attirato l'attenzione degli artisti visivi, che lo hanno esplorato in forme alternative a quelle della musica tradizionale classica per sperimentare il terreno di un possibile incontro-scontro tra elementi visivi e acustici. Queste sperimentazioni sono confluite in un ambito di ricerca artistica poi definito Sound Art, che descrive, analizza, e interroga la condizione del suono e i processi attraverso i quali esso opera. Il dossier fotografico ripropone alcune tra le più importanti installazioni sonore frutto delle sperimentazioni sviluppate nel corso del XX e XXI secolo in questo particolare ambito.

Le Corbusier, Iannis Xenakis, Edgar Varèse, Poème Électronique, Padiglione Philips, Esposizione Internazionale di Bruxelles, 1958

Il padiglione fu allestito per ospitare il celeberrimo Poème Électronique, opera multimediale nata dalla combinazione di immagini proiettate, scelte da Le Corbusier, e musica composta da Edgar Varèse e Iannis Xenakis. La struttura fu considerata la prima architettura multimediale e l’effettivo approdo di Xenakis alla realizzazione di un Polytope, installazione musicale all’interno della quale gli spettatori si muovono, avvolti da un binomio di luce e suono capace di generare un vero e proprio fenomeno ottico-sonoro. La spazializzazione del suono influenza direttamente la progettazione formale dello spazio, riproponendo l’antica unione simbiotica tra architettura e musica. La sinergia di luci colorate e cangianti in movimento e suoni avvolgenti e pluridirezionali creano un’architettura mai cristallizzata in una certezza volumetrica, ma resa presente attraverso il divenire temporale. Suono e luce non sono concepiti come accessori ma divengono materiale per creare lo spazio.

Max Neuhaus, Fan Music, New York, 1968

L’installazione fu realizzata sui tetti di quattro palazzi adiacenti nel Sud di Manhattan. Le fonti sonore disposte sui tetti producono sonorità che, intersecandosi, creano una topografia uditiva continua, che si estende da un lato all’altro della zona urbana. I suoni nascono dal passaggio della luce del sole attraverso le pale di ventilatori in funzione. La loro intensità dipende da quella della luce, mentre la colorazione tonale è definita dall’inclinazione del sole sulla pala del ventilatore. I suoni compaiono gradualmente al levar del sole, variano nel volume all’apparire di nuvole oppure ombre e nel timbro con lo spostarsi del sole in cielo, spegnendosi lentamente al tramonto. Riflettendo lo scorrere della giornata interagiscono con l’ambiente cittadino.

Max Neuhaus, Untitled, Rivoli, 1995

Nelle opere sonore di Max Neuhaus il suono è concepito come strumento capace di riconfigurare in maniera inedita lo spazio percepito. In Untitled, 1995, le fonti sonore sono mimetizzate all’interno di due archi appartenenti al complesso architettonico del Castello di Rivoli. Attraverso l’impiego di strumenti elettronici, l’artista tesse una tramatura site-specific caratterizzata dall’interazione di due suoni differenti, ciascuno udibile nello spazio di una diversa arcata. Lo spettatore incontra il suono inavvertitamente mentre attraversa le due strutture. I disegni a matita – eseguiti a posteriori e accompagnati da testi scritti – fungono da integrazione, amplificano le considerazioni sul lavoro e rievocano la percezione dello spazio sonoro.

Michael Asher, Installazione al Pomona College, Claremont, California, 1970

L’artista rimodella le pareti interne della galleria fino a dar forma a due ambienti triangolari comunicanti, che si intersecano al loro apice tramite uno stretto passaggio. La cavità lasciata dalla rimozione della porta consente ai rumori della strada, in costante evoluzione, di penetrare nella prima stanza. Attraverso il canale d’intersezione il suono giunge poi nella stanza sul retro, subendo un processo di amplificazione per mezzo delle pareti stesse della struttura. L’architettura funziona come un amplificatore espanso, un imbuto acustico che modella e propaga suoni aleatori, letteralmente incanalati e risucchiati dallo spazio architettonico. Lo spettatore prende così coscienza delle relazioni spaziali tra forme architettoniche e propagazione sonora.

Maryanne Amacher, City-Links, 1967-81

Tra il 1967 e il 1981 l’artista produsse ventidue City-Links: una serie di registrazioni sonore realizzate per mezzo di microfoni che, collocati in zone remote, trasmettono il paesaggio sonoro catturato in tempo reale sfruttando le radiofrequenze. Suoni lontani provenienti da una o più città vengono trasmessi dal vivo negli spazi espositivi, allo scopo di generare una sincronicità di luoghi diversi e distanti. Ambienti sonori remoti appartenenti a situazioni altre – la torre, l’oceano, il mulino abbandonato, porti, fiumi, acciaierie – penetrano nello spazio espositivo mescolandosi ai suoni della stanza in cui lo spettatore effettivamente si trova, trasformando il paesaggio sonoro in un evento spaziale complesso.

Bernhard Leitner, TON-RAUM TU BERLIN, Berlino, 1984

La sala quadrangolare è allestita con pannelli fonoassorbenti capaci di trattenere il suono e annullare la riflessione sonora grazie ad uno speciale rivestimento. Cinquantadue speaker montati dietro i pannelli amplificano suoni: tromboni, trombe, ritmi percussivi e suoni vocalici o gutturali. L’opera disegna linee e cerchi sonori capaci di incanalare l’ascolto lungo traiettorie di movimenti acustici che tirano e spingono contro l’architettura data. Lo spettatore cammina attraverso queste geometrie sonore in movimento, seguendo un suono o lasciandoselo alle spalle, in modo da cogliere ed esperire il senso della propria presenza spaziale. Lo spazio sonoro si espande e si contrae in una moltitudine di impulsi acustici che salgono e scendono, si incontrano e si scontrano, avvolgono e attraversano la stanza.

Christina Kubisch, Music Between Parallel Wires, Giappone, 1991 / Oase, Londra, 2000

Il suono è incanalato in una rete di cavi avvolti attorno agli alberi (Music Between Parallel Wires) o che si arrampicano sulle pareti (Oase), formando una struttura quasi scultorea ma molto libera, nella quale il visitatore cammina. Kubisch sfrutta l’intimità totale delle cuffie per creare contraddizioni: i versi degli animali di una foresta compaiono su una terrazza a Londra o in una galleria sotterranea a Pittsburgh. Orchestrando suono e spazio, Kubisch invita l’ascoltatore in un mondo apparentemente privato di suoni, popolato da sorgenti sonore che sembrano comparire e scomparire senza lasciare traccia: invisibili, delicati, intimi, questi suoni provengono da tutto intorno, solleticano l’orecchio, vanno e vengono, rivelando tutti i livelli di ascolto possibile e mutando continuamente.

Janet Cardiff, Map for The Missing Voice, (Case Study B), Londra, 1999

Camminando per Londra, i partecipanti ascoltano in cuffia una registrazione audio. Le registrazioni danno indicazioni sulla passeggiata da svolgersi suggerendo come muoversi, da che parte girare, cosa cercare. I rumori della città, precedentemente registrati, sono udibili in cuffia, ma di fatto non ricollegabili alla realtà esterna attuale. Perciò la registrazione genera spaesamento nell’ascoltatore. La passeggiata diventa sia un’esperienza uditiva che un gioco linguistico-comunicativo. Lo spettatore rimane intrappolato in una realtà incerta ed incongruente. Si genera un effetto straniante per la non coincidenza di fenomeni acustici e visivi.
https://www.artangel.org.uk/project/the-missing-voice-case-study-b/

Bill Fontana, Sound Island, Parigi, 1994

L’installazione fu realizzata in occasione del cinquantesimo anniversario dello sbarco in Normandia e della liberazione di Parigi. L’artista gioca sull’incongruenza tra paesaggio sonoro e visivo mettendo in comunicazione realtà distanti attraverso registrazioni ed amplificazioni in tempo reale. Il paesaggio sonoro delle coste normanne viene catturato e trasmesso in tempo reale a quarantotto altoparlanti installati sulla facciata dell’Arco di Trionfo nel centro di Parigi. Il rumore bianco del mare che si infrange contro le rocce maschera il frastuono del traffico proveniente dalla grande strada trafficata in prossimità del monumento, conferendo allo spazio una nuova inaspettata atmosfera.

Author

Artista Visuale e Cantante, si è laureata nel 2016 presso l’Università IUAV di Venezia con una tesi sperimentale sul potere immaginativo dell’ascolto, dal titolo Fotografie Sonore di Viaggio. Ha partecipato all’organizzazione dell’Ekko Festival 2015, ha condotto studi e ricoperto il ruolo di manager assistant presso la Lydgalleriet, galleria di Sound Art a Bergen (NO), e successivamente presso l’associazione culturale Jiwar Creation and Society di Barcellona. La sua ricerca artistica si configura come un’esplorazione alternativa dell’universo percettivo. Particolare attenzione è posta alla dimensione sonora e al suo rapporto con l’osservazione visiva, e alla rielaborazione inconscia di suoni ed immagini, al confine invisibile tra percezione, interiorizzazione ed immaginazione.