Il numero 12 di «Sciami|ricerche» si ricollega a doppio filo al precedente dedicato all’intreccio tra luoghi e arti performative e chiude un ciclo della rivista, che riprenderà in altri spazi, tempi e “vesti”. L’indagine avviata nel numero 11 si proponeva di verificare e rintracciare la connessione tra topografie, soggettività, pratiche artistiche e istituenti. L’urgenza che ci muoveva e ci muove ancora, è quella di seminare nuove piste di lettura delle arti performative, sospendendo, o meglio, depotenziando la linea guida della temporalità per mettere maggiormente a fuoco quella spaziale. Questo spostamento si propone come chiave di lettura atta a situare i discorsi dispiegati attorno ai fatti, non una dismissione del metodo storiografico, ma un riposizionamento delle angolature dalle quali si scrivono le storie. Nel tentativo di decolonizzare i nostri sguardi e le prospettive utilizzate per comprendere e generare gli immaginari, assistiamo a un continuo processo di ridefinizione di confini: delle libertà personali, delle legittimità di espressione, dei territori geografici.
Scriviamo mentre in Ucraina si gioca una guerra a scapito di corpi civili, un approvvigionamento di terre e risorse che sospende il diritto all’abitare la propria casa. Come la minaccia subita da un popolo riverbera e precipita sul nostro modo di osservare il circostante?
Scriviamo mentre l’Iran vive una rivoluzione insorta dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una donna curda di Saqqez, massacrata il 16 settembre in un furgone della cosiddetta “polizia morale” che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, il velo prescritto dalla legge islamica. Parallelamente il mondo dell’arte italiano e internazionale aderisce alle proteste iraniane diffondendo dei video in cui esponenti della cultura e dello spettacolo tagliano delle ciocche di capelli come atto solidale. Può una protesta essere esportata? Quali significati apportiamo o mutiamo nel trapiantare un gesto da uno spazio all’altro? Da un contesto politico all’altro?
Scriviamo mentre in una delle manifestazioni più acclamate e riconosciute nel mondo dell’arte, Documenta, un Comitato Consultivo viene incaricato di analizzare le opere identificate o discusse come antisemite, creando forse un precedente spaventoso che mette al vaglio l’espressione artistica, tenendo peraltro conto solo di una delle molteplici vertigini che operano, o potrebbero operare, discriminazioni. L’antisemitismo, confuso con la critica allo Stato di Israele, si insedia a Kassel come grimaldello di censura, in una scala di valore che lascia ai margini “Razzismo anti-musulmano, anti-palestinese, anti-queer, transfobia, anti-rom, abilismo, casteismo, anti-nero, xenofobia e altre forme di razzismo1”. Qual è il rapporto tra arte, attivismo, politica culturale e propaganda dispiegata tra le mura di uno spazio artistico? Come cambia un atto radicale di insurrezione alle egemonie, di rivendicazione di diritti e giustizia, dalla strada allo spazio museale?
Scriviamo mentre una destra si insedia a gamba tesa nel Governo Italiano, mostrando la propria “destrità” e vietando “raduni musicali o aventi altro scopo di intrattenimento” (decreto 633 bis). Che rapporto c’è tra potere, legittimità, spazi di soggettivazione, creazione e cultura? Qual è il confine tra repressione e tutela dell’incolumità pubblica? Il presente ci pone queste domande, non è nostro compito fornire risposte. Questo numero, come il precedente, apre i margini di un’indagine in divenire, che troverà compiutezza nel tempo e in un altro spazio. Si parte con Occupare per istituire: risonanze nel fuori-tempo. Un archivio di voci e corpi che infestano e ramificano di Ilenia Caleo. Un saggio che ripercorre le storie delle occupazioni ad opera di movimenti e artistx, evidenziando il carattere dirompente di sperimentazioni estetiche, politiche, di linguaggi e auspicando uno spazio di conservazione, anziché di censura, per la ricerca di ramificazione e trasmissione possibile dei repertori di resistenza/istituenza. Il testo successivo di Roberta De Soller, Loverbar, Cüirtopia e le crepe del Borikén, ci permette di affacciarci su Puerto Rico, evidenziando il rapporto tra performatività e spazialità che si attua nei corpi/edificio prodotti dal fare cüir di quest’isola, una cartografia, che fa emergere le potenzialità di specifici corpi nel ridisegnare specifici spazi. Maria Grazia Berlangeri affonda lo sguardo tra gli spazi della seconda avanguardia teatrale italiana con il saggio Lo spazio eterotopico delle avanguardie teatrali e la deflagrazione rappresentativa in Theatre Functions Critical e Theatre Functions Terminated di Mario Martone e Falso Movimento. Ne emerge una topografia “della crisi”, ovvero di una costellazione di luoghi intesi non come strutture fisse e musealizzabili, bensì fecondamente transitori che assimilano l’utopia delle avanguardie teatrali e la conseguente crisi postavanguardista. Il numero si chiude con Un processo poetico-critico di riadattamento del patrimonio industriale: il Centro ricreativo del SESC POMPEIA di Lina Bo Bardi, un saggio di Evelyn Furquim Werneck Lima, tradotto da Cristina Grazioli. Un testo dedicato ad un’opera iconica dell’architetta italo-brasiliana Lina Bo Bardi, nata dal recupero di una vecchia fabbrica di San Paolo e il suo riutilizzo come centro culturale mediante la metodologia del restauro critico. “Restauro critico” è un binomio che vogliamo conservare per il possibile e auspicabile futuro di Sciami|ricerche che con questo numero chiude una prima fase della sua storia. Ci sarà forse un dopo che inevitabilmente erediterà delle geneaologie da un prima, come la vocazione “minoritaria e fisiologicamente contro: il potere, l’autoritarismo, la gerarchizzazione, la verticalizzazione, il dominio del sapere amministrativo-burocratico, le opposizioni binarie, le alternative forzate, il principio di realtà” che ha nutrito fino ad oggi il nostro sguardo e le nostre ricerche.