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n°9 – April 21, Theater

Extinction of the theater: reflections on the ecological way of the theater

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https://doi.org/10.47109/0102290109

Le Soir des Monstres, 2013, spettacolo di Magie nouvelle di Étienne Saglio, disegno luci Elsa Revol, foto Vassil Taveski.

Translated from the French of Cristina Grazioli
This article is only accessible in Italian

ABSTRACT

An ecological reflection transferred to a live performance, experienced in a sensitive intersubjective articulation makes it possible to approach light within an ethico-aesthetic reflection. The re-tamed light could become a partner in the relationship to the world that the show embodies. To understand the challenges, this text provides a technical update on the use of non-ecological lamps and the new park (LED), before imagining the challenges of intersubjective "theater", nourished by immersive aesthetics.

Il contesto dell’epidemia SARS-CoV-2 (Covid-19) ha fatto scattare una situazione inedita: la chiusura dei teatri1. Se avevamo pensato che la chiusura fosse legata ad un momento preciso, ora la condizione è di durata indefinita − quanto meno dal punto di vista dell’impatto e delle conseguenze che l’evento sta generando. Se la prima conseguenza è d’ordine economico, come per altri settori, la seconda, direttamente collegata ad essa, è umana. Gli artisti e i tecnici delle arti dello spettacolo si trovano nell’impossibilità di svolgere le loro attività. Ma questa situazione non potrebbe quanto meno essere un’opportunità per ripensare da un punto di vista ecologico il modo in cui i teatri funzionano, a partire dall’illuminazione? Perché in fondo questa situazione senza precedenti apre una serie di domande circa il nostro rapporto con l’ecologia. Non solo perché i coronavirus degli animali (pipistrelli o pangolini) sarebbero dovuti alla mancanza di rispetto dei loro territori da parte dell’uomo, ma anche perché la chiusura dei teatri ci dà l’opportunità di ripensare tutto e quindi di interrogarci dal punto di vista del teatro su questo tema urgente. Tale domanda si sta già diffondendo. Assistiamo ad occasioni in cui si tengono forum, conferenze e convegni sulle relazioni tra teatro ed ecologia2.

Così una riflessione sull’ecologia trasferita al contesto dello spettacolo dal vivo può essere inserita nelll’articolazione etico-politica – che Guattari chiama anche «ecosofia»3 — fra i tre registri ecologici: l’ambiente, i rapporti sociali e la soggettività umana. In questa cornice di pensiero, la luce non sarebbe più un substrato artificiale dell’essenza della terra, il sole, ma una rivelazione del superamento della supremazia dell’uomo sul mondo. Lontano dalla concezione di Debord4, lo spettacolo non è più “oggettivato”, ma vissuto in una sensibile articolazione intersoggettiva all’interno di una riflessione etico-politica. La luce quindi non sarebbe più solo “illuminazione” tecnica bensì, ri-trasformata, diventerebbe partecipe del rapporto con quel mondo che lo spettacolo incarna. Per coglierne le implicazioni, suggerisco di iniziare con uno sguardo tecnico che faccia il punto sull’uso di lampade considerate non ecologiche, prima di provare a immaginare le questioni in gioco nel “teatro del futuro”, sempre che si sappia di quale “futuro” si tratta e quando arriverà…

Lampada a incandescenza versus Lighting Emitting Diod

Anche prima della crisi sanitaria, l’ambito dell’illuminazione scenica era già interessato alla questione. Lo spettacolo dal vivo ha vissuto una rivoluzione importante a seguito delle normative imposte dalla Legge francese n° 2009-967 del 3 agosto 2009 del Grenelle de l’Environnement che ha programmato la soppressione progressiva delle lampade a incandescenza con scadenza 31 dicembre 2012, quindi per il 2022 quella delle lampade alogene e dei tubi fluorescenti compatti (spesso chiamati “neon a basso consumo”). La legge ratifica la scomparsa delle lampade di Edison, utilizzate fin dal 1880, e le sostituisce con i LED5 nelle nostre case, nelle strade e in palcoscenico. Una pagina è stata definitivamente voltata e la luce del XXI secolo è stata invitata a prendere posto in scena. Se questa rivoluzione, non ancora digerita da attori, creatori e spettatori, ha conseguenze sul piano delle estetiche, essa è stata motivata da questioni ecologiche la cui validità è indiscutibile.

Con la stessa luminosità (12.000 lumen), una lampada a incandescenza da 1000 W è sostituita da un LED da 120 W, il che significa un consumo energetico circa 9 volte inferiore. Se per uno spettacolo il carico medio è di un centinaio di proiettori, si passa da 100 kilowatt a 12 kilowatt, e per la verità molte creazioni di dimensioni minori si accontentano di qualche decina di proiettori.

Il LED permetterebbe quindi nei teatri un utilizzo da 8 a 9 volte più luminoso con la stessa potenza. D’altra parte però, non vi è nessuna regolamentazione in quanto ad una limitazione quantitativa; si potrebbe quindi benissimo immaginare un conseguente uso dei LED in quantità eccessiva di luminosità, visto che non costa quasi nulla! E questo sulla scia di ciò che Louis Jouvet osservava nel 1937 quando si cimentava in un’analisi comparativa:

Si on envisage l’instrument d’éclairage qu’est la rampe, nous pouvons, d’après les gravures de l’époque [1790], dénombrer à peu près ses éléments: une rampe de trente chandelles devait être déjà̀ un luxe; la bougie ne donne point un grand progrès sur la chandelle (9 bougies équivalent à 10 chandelles); mais le quinquet vaut déjà̀ 6 bougies de cire; la lampe Carcel qui lui succède (et qui servira plus tard d’étalon pour déterminer la bougie décimale) a une puissance égale à 9 bougies décimales; puis vient le bec papillon qui donne 15 bougies, et enfin le bec Auer, 120 bougies. […] Aujourd’hui, la rampe de la Comédie Française comporte quarante-huit réflecteurs, munis chacun d’une lampe de 150 watts, c’est-à-dire de 300 bougies, soit un total de 14.400 bougies décimales6.

Storicamente, la storia della luce in scena è stata una corsa alla conquista della potenza. Dalla vittoria della luce sull’oscurità nei secoli XVI e XVII − con le feste del Re Sole a Versailles nel 1664 e nel 1668 che abbagliavano realmente e simbolicamente i suoi cortigiani − fino alla moltiplicazione delle attrezzature per illuminare lo spettacolo che si impone a partire dall’elettrificazione dei teatri nel XX secolo, la storia della luce ci mostra questa ricerca7. Tale eccesso di luce, soprattutto nell’ambiente urbano, si è diffuso in tutti i settori della vita notturna: abitazioni e luoghi di intrattenimento, compresi i teatri. L’occhio e la psiche del fruitore si sono abituati a un livello di luminosità sempre più elevato. Gli esseri umani non possono più vivere senza luce. Ci troviamo di fronte a una prima contraddizione: da un lato, un lodevole sforzo per ridurre i consumi cambiando il tipo di lampada (anche se, in realtà, il consumo elettrico attribuibile al palcoscenico ammonta a meno del 20% del consumo complessivo di un teatro − uffici, computer in standby, riscaldamento, luci di servizio, ecc.) e dall’altro lato una scalata crescente all’illuminazione.

La seconda fonte di interrogativi risiede nella giustificazione ecologica, ormai affermatasi, dei LED. Se il risparmio energetico di queste lampade è innegabile, contribuendo così all’abbassamento della “bolletta” del carbonio, la loro realtà ecologica è ben diversa. In caso di guasto, non cambiamo più una lampadina, ma l’intero dispositivo che deve seguire il percorso di riciclaggio degli strumenti informatici, per non parlare della durata di vita dei LED, molto inferiore alla lampada a incandescenza! Se queste ultime non superano le 1000 ore di funzionamento, è perché un primo accordo commerciale tra produttori internazionali negli anni Venti del Novecento aveva creato la prima obsolescenza programmata senza ancora portarne il nome8. In realtà, una lampada a incandescenza avrebbe potuto durare fino a più di 100.000 ore in certe condizioni. La durata di vita del filamento è correlata alla sua degradazione per sublimazione. La potenza delle lampadine (i Watt) diminuisce con il tempo di utilizzo. Così, da 60 W potrebbero diminuire a 4 W come il famoso esempio della lampada immortale della stazione dei pompieri di Livermore in California che è in funzione dal 19019. Anche il LED perde luce durante il suo utilizzo, ma in misura minore. I rivenditori annunciano fino a 60 000 ore di vita (60 volte superiore alle 1000 ore della lampada a incandescenza con obsolescenza programmata) garantendo un investimento redditizio. Il vero problema ecologico della lampada a incandescenza è che solo un ventesimo dell’energia elettrica consumata viene utilizzata per l’illuminazione, mentre l’80% va nel riscaldamento. Un difetto che il LED non ha. Non di meno rimane il problema attuale dei LED, cioè la loro continua evoluzione e progressione che incita all’acquisto di un materiale sempre più potente a scapito degli acquisti precedenti, senza contare la loro obsolescenza programmata.

Anche se i LED potrebbero sostituire tutta una serie di attrezzature tradizionali che hanno plasmato le immagini degli spettacoli del XX secolo, questa situazione va oltre l’ambito tecnico e ha un impatto su quello estetico. Attualmente il LED è assimilato a colori spesso non convenzionali che formano una nuova tavolozza di riferimento per l’occhio dello spettatore (basta guardare le facciate degli edifici storici che passano dal verde al rosa, blu, rosso, viola o arancione… ). Se per lo spettatore non è sorprendente ritrovarli in scena, i light designer hanno più difficoltà a mutare il loro modo di creare. La tendenza è quella dell’”adattamento”. Elsa Revol, lighting designer, racconta l’esperienza della tournée al Théâtre d’O di Montpellier per lo spettacolo Une Chambre en Inde creato con Ariane Mnouchkine. Questo locale è dotato al 100% di proiettori LED mentre lo spettacolo era stato creato al Théâtre du Soleil alla Cartoucherie de Vincennes con attrezzature tradizionali nel novembre 2016. Di fronte alla necessità di adattare il progetto, un direttore di scena del Théâtre d’O si dedica interamente all’adattamento dei piani luci e alle connesse richieste di attrezzature. Se il tempo impiegato per l’adattamento è stato molto lungo, secondo la light designer lo spettacolo ne è risultato ricco quanto l’originale.

«Diverso ma altrettanto ricco. I costumi e la scenografia (bianca) sono apparsi diversi»10. La questione sta nella (vana) ricerca di una equivalenza estetica tra il vecchio e il nuovo materiale a disposizione. In effetti, il LED in sé non è problematico; i creatori luci mettono invece in discussione la sua generalizzazione, l’imposizione dei nuovi strumenti in sostituzione di un materiale che aveva caratteristiche estetiche sue peculiari. Il LED non sarà mai in grado di riprodurle, dato che ogni tipo di lampada ha le sue qualità. Il LED, una lampada fredda per essenza, per esempio non ha un punto caldo; non può sostituire certe caratteristiche delle lampade tradizionali, come le irregolarità del PAR; per non parlare della poesia di una fiamma di candela lodata da Bachelard11. Il LED non permette quell’esperienza sensuale nella luce che permettevano le lampade a incandescenza. Ma è una gara nella quale sarebbe inutile indugiare. Lo scrittore Junichiro Tanizaki12, nel nascente Giappone del XX secolo, non ha forse cercato di conservare questa luce “incerta” ma “autentica”, soffocata poco a poco dalla crudezza della lampada elettrica?

Dall’onnipotenza luminosa all’ “estinzione” dei teatri

Tuttavia, il LED sembra portare un nuovo respiro che qualcuno ha colto. L’esempio più recente è la messa in scena di Riccardo III di Thomas Jolly, creata nel 2015, che contiene solo luci che chiameremo “luminescenti” (in opposizione alle tradizionali luci a incandescenza). Il Théâtre National de Bretagne a Rennes si è dotato di HMI (lampade a scarica) e di proiettori LED per questa creazione. Se si è trattato di un certo investimento finanziario a favore di un vantaggio ecologico, il valore aggiunto è stato estetico, un‘acquisizione offerta da questo nuovo materiale di illuminazione che Antoine Travert (light designer) e Thomas Jolly hanno messo interamente al servizio della drammaturgia e della scena. La combinazione di luci luminescenti con proiettori motorizzati (interamente telecomandati) ha permesso di ottenere un’estetica totalmente nuova a teatro, ma ben conosciuta sui palchi dei concerti rock. La loro manipolazione fluida, dinamica e rapida, fino allo stroboscopio, pur rendendo visibili i fasci di luce, ha permesso di disegnare gli spazi e di incarnare l’immagine del potere13. L’estetica di questa creazione che ha deliziato una giovane generazione di spettatori, segna una svolta nella creazione della luce a teatro14. Si tratta di un approccio inedito, con l’eccezione della prima creazione interamente a LED di Claude Régy nel 2009 con Rémi Godfroy, lighting designer, per Ôde maritime. In quello spettacolo, il loro utilizzo entro una monocromia diffusa che cambia va a un ritmo impercettibile immergeva lo spettatore in uno stato quasi ipnotico. Cioè esattamente l’opposto di quello che Thomas Jolly fa in Riccardo III. Se molte altre creazioni hanno utilizzato i LED, ciò è avvenuto spesso nella coesistenza di materiali incandescenti e luminescenti, che non hanno cambiato radicalmente l’estetica dello spettacolo, cosa che la specificità di questi materiali può offrire. Possiamo quindi creare e pensare la drammaturgia della luce da, con e per i LED.

<em>Ode Maritime</em>, 2009, regia Claude Régy, luci Rémi Godfroy, foto Pascal Victor.
Ode Maritime, 2009, regia Claude Régy, luci Rémi Godfroy, foto Pascal Victor.

Tuttavia, la questione principale mi sembra sia quella della sostituzione delle lampade tradizionali con i LED dal punto di vista più globale di una riflessione sull’ecologia e il teatro. Il teatro ha sempre avuto almeno in parte la vocazione a interrogare il mondo e l’essere umano. Il passaggio ai LED, la loro adozione estetica, apparentemente sembra non servire alla riflessione sulla questione ecologica. La chiusura dei teatri, l’arresto del loro funzionamento durante la pandemia, non sarebbe forse il momento per pensare a una vera estinzione, allo spegnimento della luce nei teatri?

Utilizzare meno luce, fare teatro con i sensi

In una società che deve ripensare il suo rapporto con il consumo, il teatro potrebbe interrogarsi sull’uso della luce in scena. Se la generalizzazione dei LED è soddisfacente dal punto di vista di un green deal, non lo è se si è interessati ad affrontare più profondamente una riflessione ecologica. L’illuminazione, che spesso è passata inosservata, sta diventando l’argomento principale del ripensamento ecologico dei teatri − dopo quello sul riciclaggio delle scenografie, come propongono per esempio le associazioni ArtStock (Toulouse), L’Alternateur (Savoie), La Réserve des Arts (Région parisienne), La Ressourcerie (Nantes). Ripensare la luce potrebbe comportare il superamento dell’antropocentrismo che il LED perpetua. Il LED, nuovo artefatto, non è l’unica soluzione. La luce può essere ripensata in una profonda armonia seguendo l’esempio della filosofia di Arne Næss e il suo concetto di ecosofia15. Ecosofia che si inscrive entro i principi dell’“ecologia profonda” (deep) in opposizione all’“ecologia superficiale” (shallow). Il suo concetto, inteso come filosofia dell’armonia o dell’equilibrio tra le soggettività, può, se trasferito all’ambito teatrale, portare a un ripensamento delle relazioni tra le componenti sceniche e l’ambiente. La luce, di cui il buio è una componente16, possiede potenzialmente il potere di portare un pensiero olistico ed “ecosofico” dello spettacolo in un mondo in trasformazione. Il teatro spesso pensa a partire dal testo mettendo la luce in secondo piano. Per ritrovare un equilibrio, è probabilmente nell’interesse del teatro “di parola” imparare da altri generi spettacolari. Nelle performance non verbali, il visivo assume una dimensione fondamentale. Non è lì per cancellare il suono, ma al contrario lo accompagna. Non è raro scoprire che più si abbassano le luci, meglio si sente. Come incantato, il corpo affina la sua capacità di percezione e riscopre l’essenza stessa dello spettacolo, che invita i sensi a meravigliarsi. Al di là del “visibile”, lo spettatore si “fonde” con un universo che ha il potere evocativo dell’«immagine aperta» che permette l’accesso al visivo (Georges Didi-Huberman17).L’esperienza della luce in tutta la sua gamma di intensità fino al buio immersivo ha la capacità di rovesciare l’opacità dello schermo del “visibile” per assumere le qualità del “visivo”; seguendo l’esempio del poeta Junichiro Tanizaki per il quale il buio «suscita risonanze inesprimibili» che solo il corpo vigile e la coscienza risvegliata potranno intercettare, il buio rivela un ambiente potentemente avvolgente che può, nella dolcezza della sua accoglienza, accompagnare la comunione profonda che l’arte scenica invita a vivere.

È ciò che propongono in particolare gli spettacoli che immergono lo spettatore e la scena in una forma di penombra dove può essere accolta la poesia. Non importa allora quale sia l’origine della fonte di luce, lampada LED o alogena, a luminescenza o incandescenza. Ciò che conta è l’atmosfera condivisa grazie a una minor quantità di luce.

Gli spettacoli di Magie nouvelle18 (Nuova magia) sono particolarmente fertili per questa esperienza. In questa forma spettacolare, il patto con lo spettatore non si basa più sulla garanzia dell’effetto magico (come avviene nella magia tradizionale), ma sull’accettazione di una deviazione dalla realtà. La nuova magia dissemina progressivamente nuovi punti di riferimento cognitivi ai quali il cervello aderisce, accettando che, in questo mondo, i corpi galleggino, si muovano al rallentatore o in modo estremamente veloce, scompaiano e riappaiano, si moltiplichino, ecc. Un processo in cui il buio gioca un ruolo sottile e fondamentale. Per la durata di uno spettacolo, l’adesione ad una nuova realtà offre la possibilità di «uscire dalla propria zona di comfort»19 secondo un’espressione che prendiamo a prestito dagli psicologi comportamentali, ammesso che questa zona esista veramente.

In questo contesto singolare, la Magie nouvelle invita a scuotere i nostri punti di riferimento e a sperimentare la possibilità di «deterritorializzare» (Gilles Deleuze20) in una «deterritorializzazione relativa» che fa posto a una «riterritorializzazione» e a una nuova esperienza della relazione con il mondo. La luce vissuta in questo modo ci offre l’opportunità di ripensare la sua presenza scenica e, allo stesso modo, ci invita a sperimentare un legame che implica la questione di una ecologia “profonda”. Ora, il LED può, attraverso la sua luminescenza, permetterci di vivere questa immersione, al posto di una luce transitiva che rischierebbe di lasciare lo spettatore fuori dall’esperienza. Aderendo a una realtà modificata facciamo questa esperienza. Affrontando l’atmosfera luminosa entro una fusione, o anche in una comunione profonda, facciamo questa esperienza. Un’esperienza che dovrebbe impegnarci a mettere in discussione il ruolo e il posto della luce teatrale. In definitiva, invece di continuare a spingere in direzione di un continuo eccesso in termini di potenza e di attrezzature, la chiusura dei teatri ci permetterà forse di riaprirne gradualmente le porte per far entrare la luce naturale21. Allora, forse saremo in grado di raccontare nuove storie in un’ecosofia dell’arte scenica da costruire. È vero che si tratta di un’estinzione accidentale, nessuno immaginava che i teatri un giorno sarebbero stati chiusi. Ma l’opportunità di pensare e soppesare la posta ecologica durante questa chiusura è alla portata di tutti: registi, artisti, spettatori. Prima di riaprirli dotati di LED, così lontani dalla fiamma originaria, sarebbe bene mettere in discussione una sostituzione attuata per decreto. Senza cadere nella nostalgia e ammettendo che una pagina è stata definitivamente voltata, una riflessione sull’ecologizzazione dei teatri deve includere la luce, che sola e potentemente ha la prerogativa di orientare l’estetica di una creazione. Allora, il nostro rapporto con il mondo, il sogno di Brecht, potrebbe essere influenzato, se non modificato, dall’esperienza spettacolare “nuova generazione”, sull’esempio dell’ecosofia di Guattari, suddivisa nei tre registri ecologici: ambiente, relazioni sociali e intersoggettività umana.

  1. La chiusura dei teatri da aprile 2020 sta perdurando in questa primavera 2021.
  2. Per citare solo qualche esempio, nel corso del 2020: una settimana di dibattiti «Urgence des alliances» di cui «Culture et environnement» organizzati da “Télérama”, dal 15 al 19 giugno 2020, in collaborazione con il Théâtre de la Ville, nel corso della quale diversi autori hanno riflettuto insieme sulla cultura post-Covid; il convegno internazionale organizzato da Eliane Beaufils, Eva Holling, Barbara Bonnefoy e Oulmann Zerhouni «Théâtre et écologie. Le théâtre: un laboratoire de comportements écologiques?», dal 21 al 24 ottobre 2020 in collaborazione con l’Université Paris 8 e il Théâtre de la Cité internationale con il sostegno di MSH-Paris Nord, delle università Paris 8, Paris 10 e Montpellier III.
  3. Félix Guattari, Les trois écologies, Editions Circée, Paris 1989, p. 12 (Le tre ecologie, con un contributo di Franco La Cecla, Sonda, Torino 1991).
  4. Guy Debord, La Sociéte du Spectacle, [1967], Gallimard, Paris 1996 (Commentari sulla società dello spettacolo e La società dello spettacolo, trad. Fabio Vasarri, Paolo Salvadori, con una nota di Giorgio Agamben, Sugarco, Milano 1991).
  5. Lighting Emitting Diode.
  6. Louis Jouvet, L’apport de l’électricité dans la mise en scène au théâtre et au music-hall, in L’homme l’électricité la vie, pubblicato per la Classe 17 bis de l’Exposition internationale de Paris 1937, Arts et métiers graphiques, Paris 1937, pp. 37-44. Ripubblicato in «Alliage», n. 50-51, dicembre 2000. [«Se consideriamo lo strumento di illuminazione che è la ribalta, possiamo, a giudicare dalle incisioni dell’epoca [1790], contare più o meno i suoi elementi: una ribalta di trenta candele doveva già essere un lusso; la candela di cera non dà un grande vantaggio sulla candela [di sego] (9 candele di cera equivalgono a 10 candele [di sego]); ma la lampada d’Argand vale già 6 candele di cera; la lampada Carcel che la segue (e che sarà in seguito utilizzata come standard per determinare la candela decimale) ha una potenza pari a 9 candele di cera decimali; poi viene il becco papillon (a farfalla) che dà 15 candele di cera, e infine il becco Auer, 120 candele. […] Oggi, la ribalta della Comédie Française ha quarantotto riflettori, ciascuno dotato di una lampada da 150 watt, cioè 300 candele, per un totale di 14.400 candele decimali».
  7. Cfr. in merito il capitolo Entre luxe et lux: naissance du noir in Véronique Perruchon, Noir. Lumière et théâtralité, Presses universitaires du Septentrion, Villeneuve d’Asq 2016, pp. 17-65.
  8. Il 23 dicembre 1924, i membri del Cartel de Phoebus (dal nome “Phoebus S.A. – Compagnie Industrielle de Développement de l’Éclairage”, società creata a Ginevra nel 1916) presero accordi commerciali sulla base di una unificazione a livello europeo circa la durata di vita di una lampadina portata a 1000 ore. Cfr. Bernard Lavergne, Le triomphe dé la coopération suédoise dans sa lutte contre trusts et cartels, in «Revue des études coopératives : problèmes d’économie nationale et internationale», n. 72, juillet-septembre 1939, pp. 289-290.
  9. Reportage del telegiornale del 28 dicembre 2012.
  10. L’éclairage scénique en question(s) #1 – Lumière et technologie avancées, sito web dell’U.C.L. (Union des Créateurs Lumière).
  11. Gaston Bachelard, La Flamme d’une chandelle, Presses Universitaires de France, Paris 1961, p. 99 (La fiamma di una candela, trad. Guido Alberti, SE, Milano 1996).
  12. Jun’ichirō Tanizaki, Libro d’ombra [1933], a cura di Giovanni Mariotti, trad. Atsuko Ricca Suga, Bompiani, Milano 2005(Éloge de l’ombre, trad. René Sieffert, Éditions Verdier 2011).
  13. In merito si vedano gli estratti video al sito della compagnia La Piccola Familia, in particolare il video intitolato I’m a dog.
  14. A tal riguardo, cfr. Richard III et ses machines asservies. Les lumières glaçantes d’un royaume sous contrôle, intervista a Thomas Jolly e Antoine Travert di Olivier Balagna, in «SonoMag», n. 419, avril 2016, pp. 42-49.
  15. Nel 1973 Arn Næss presenta la sua tesi sulla «deep ecology» (ecologia profonda) in un primo articolo The Shallow and the Deep Long Range Ecology Movement (trad. in Hicham-Stéphane Afeissa, Éthique de l’environnement. Nature, valeur, respect, Vrin, Paris 2007) poi ripreso in Une écosophie pour la vie. Arn Næss ha sviluppato il suo pensiero in Ecology, community and lifestyle, trad. David Rothenberg, Cambridge University Press, Cambridge 1989; trad. di Hicham-Stéphane Afeissa, Écologie, communauté et style de vie, Éditions Dehors, Bellevaux 2013 (prima ed. 2008, ed. MF).
  16. Cfr. Véronique Perruchon, Noir. Lumière et théâtralité, cit.
  17. Georges Didi-Huberman, L’image ouverte, Motifs de l’incarnation dans les arts visuels, Gallimard, Paris 2007 (L’immagine aperta. Motivi dell’incarnazione nelle arti visive, trad. Marta Grazioli, Bruno Mondadori, Milano 2008) e Georges Didi-Huberman, Devant l’image, Les Éditions de Minuit, Paris 1990 (Davanti all’immagine. Domanda posta ai fini di una storia dell’arte, a cura di Matteo Spadoni, Mimesi, Milano 2016).
  18. Fondata nel 2000 da Clément Debailleul e Raphaël Navarro, la compagnia 14:20 è pioniera e portavoce del movimento artistico della Magie nouvelle. Sin dagli inizi, accompagnata da Valentine Losseau, la compagnia afferma la magia come linguaggio autonomo e proliferante attraverso la creazione artistica, la trasmissione pedagogica e la ricerca.
  19. Espressione la cui origine risale agli studi di Robert M. Yerkes, John Dillingham Dodson, The dancing mouse, The Macmillan Company, New York 1908.
  20. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille plateaux, Les Éditions de Minuit, Paris 1980 (trad. Giorgio Panerone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987).
  21. Cfr. anche Cristina Grazioli, Sciami di luce: chiarori, abbagli, crepuscoli, «Sciami|ricerche», n. 9, aprile 2021, DOI: ; e Cristina Grazioli, Pasquale Mari, Aria, in Dire Luce. Una riflessione a due voci sulla luce in scena, Cuepress, Imola 2021, pp. 184-198, in particolare p. 190.
Author

Véronique Perruchon è Professore in Arts de la Scène all'Università di Lille e membro del Centre d'Etude des Arts Contemporains - CEAC ULR 3587. È direttrice e responsabile del programma di ricerca internazionale "Lumière de Spectacle" LdS. Dopo aver iniziato la sua carriera professionale come light designer e direttrice di palcoscenico, si è interessata alle discipline dello spettacolo nel suo lavoro di ricerca; ha pubblicato André Engel Œuvre théâtrale (PUS 2018). È l'autrice di Noir. Lumière et théâtralité (PUS 2016).