È negli anni Cinquanta e Sessanta, nella prospettiva poetica e di ricerca del secondo dopoguerra in Italia, che la parola e l’immagine iniziano a funzionare come frammenti decontestualizzati da differenti sistemi linguistici da rimettere in interazione. Tali giustapposizioni sollecitavano esperimenti linguistici senza precedenti che nascevano per esplorare forme inedite di intertestualità. Il saggio affronta alcuni aspetti dell’opera di Patrizia Vicinelli per analizzare come la scrittura e la parola, tra poesia, arte e performance, fosse ripensata e ridefinita a partire da un profondo coinvolgimento del corpo tra oralità, scrittura poetica e riscoperta materialità del linguaggio.
La relazione intertestuale e interlinguistica nel XX secolo e, come si vedrà, nella seconda metà di esso, delinea un paesaggio complesso e nello stesso tempo innovativo e sperimentale. Il linguaggio è indagato, utilizzato come un oggetto, svuotato dei suoi significati, smontato e rimontato secondo altri ordini discorsivi. Diviene oggetto, è decostruito, si identifica con il rimosso e l’intimità. La scrittura e la parola sono state all’origine non soltanto di un rinnovamento della letteratura ma anche di ricerche che hanno trasformato lo spazio visivo, lo sguardo e l’estetica nell’arte. La parola è divenuta corpo. È negli anni Cinquanta e Sessanta, nella prospettiva poetica e di ricerca del secondo dopoguerra in Italia, che la parola e l’immagine iniziano a funzionare come frammenti decontestualizzati da differenti sistemi linguistici da rimettere in interazione.
Tali giustapposizioni sollecitavano anche nelle pratiche artistiche visive, esperimenti audaci di destrutturazione linguistica e montaggio che sono stati alla base delle più profonde trasformazioni nell’arte. Tuttavia osservare queste trasformazioni attraverso la ricerca più specificamente condotta nella poesia, permette di sottolineare altri aspetti. Un esame ulteriore può derivare inoltre dalla prospettiva di studio. La metodologia non è sempre la stessa. La ricostruzione di date, fatti salienti e cronologie esaustive (che non possono mai esserlo!) non può prescindere dalla scelta di un focus, di uno sguardo posizionato sui fenomeni. Le linee di sviluppo raccontano, in realtà, che non sono mai continue e che è la discontinuità a porre dinanzi a fatti inediti, sperimentali, situati tra le pieghe delle narrazioni prevalenti.
Il saggio si sofferma sulla scrittura poetica di Patrizia Vicinelli per analizzare una questione a mio avviso importante1. Nella interazione linguistica che nei primi anni sessanta conduce a sperimentazioni originali, tra arte, musica, teatro e poesia, in parte inedite nella storia sia dell’arte che della letteratura, un ruolo essenziale lo ha la parola. Ogni contesto superava i propri confini per diventare pura sperimentazione di una parola restituita alla necessità non soltanto di dire ma di fare con la parola e anche oltre di essa. L’individuazione di sonorità e ritmo, di forme di decostruzione e smaterializzazione del testo nelle parole scritte e recitate di Patrizia Vicinelli, permette di fare alcune riflessioni che conducono ad aspetti che riguardano la storia della performance o di una performatività della parola che è connessa con la sperimentazione della corporeità. È infatti proprio ai confini di ogni ambito e tecnica già definiti che possono rintracciarsi aspetti ulteriori per un’analisi che non conduce soltanto a capire la sperimentazione all’interno di un determinato contesto artistico. Quello che emerge è cosa spinse in quegli anni a mettere in azione il corpo, a sondare la fisicità della parola e a rendere immateriale il testo, trasformandolo in un oggetto disperso, proiettato nelle infinite direzioni del senso. Le donne, tra le quali Vicinelli, – artiste, intellettuali, scrittrici, poetesse – contribuirono non soltanto con le loro opere ma con un modo e una ricerca differenti di agire e interagire con il contesto artistico, storico, culturale.
È in questa prospettiva di ricerca che la poesia di Vicinelli pone il problema della parola che diviene gesto e corpo, arrivando a indagare le molteplici implicazioni storico-artistiche che videro nella nascita e nello sviluppo della performance in quegli anni la necessità di tornare alla fisicità del linguaggio e con essa alla materializzazione di immagini e immaginari inesplorati. Per Patrizia Vicinelli è quanto mai proprio parlare di poesia performativa anche se forse è un qualcosa di ancora diverso e probabilmente inedito, per quegli anni, che va cercato nel modo in cui la poetessa mise in scena e in azione i suoi testi. Non si trattava soltanto di un testo letto dinanzi al pubblico né di soli esperimenti vocali. Il testo scritto nella recitazione che restituiva la profonda fisicità della parola, trasformava la scrittura sulla pagina in una partitura da eseguire. Al Convegno di La Spezia del Gruppo 63, nel 1966, Vicinelli lasciò interdetto il pubblico sia dei poeti, che dei critici, che di tutti gli altri partecipanti. Non aveva semplicemente letto o recitato le sue poesie ma aveva messo in movimento il testo, rendendo fisica la parola, restituita al corpo affettivo e in grado di connettere il rimosso e l’evidente nella loro più radicale contiguità. Cathy Berberian che era nel pubblico fu colpita dal coraggio e dalla forza espressiva di Vicinelli. Cecilia Bello Minciacchi ha parlato di «intensità comunicativa» che da quegli anni in poi ha caratterizzato la «scrittura e la performance» di Vicinelli2. Niva Lorenzini di «shock linguistici»3. La poesia stessa attraversava il passaggio tra parola scritta e parola “performata”4 non come due fasi successive ma come due forme diverse di testualità, dove per testo possono essere intesi anche un happening o una performance.
Se una mostra come Pictures to be read, poetry to be seen, allestita presso il Museum of Contemporary Art di Chicago nel 19675, poneva l’attenzione sulla “poesia da vedere” e sulla “pittura da leggere”, questo semplice ribaltamento percettivo indicava una più estesa prospettiva di ricerca che coinvolgeva anche il corpo e una trasformazione linguistica che conduceva verso la fisicità e la materialità del segno.
Già a partire dal Secondo dopoguerra, anche in Italia, la parola e l’immagine sono attraversate da uno sconvolgimento profondo, che frantuma le connessioni, la sintassi e i significati. La frammentazione linguistica si ripercuote sulla frammentazione identitaria. Elsa Morante, già in Menzogna e sortilegio (1948) costruisce un paesaggio psicologico in cui il trauma individuale scorre lungo una serie di specchi e riflessi identitari che rompono ogni continuità narrativa individuale o collettiva6. Anche se i personaggi hanno un nome ed è possibile capire la loro biografia, i frammenti della condizione personale rimbalzano altrove, verso altri soggetti. Già con Morante il racconto è in questione: si costruisce tra frammenti, assenze e costruzioni complesse di una soggettività a più voci. Stefania Lucamante ha parlato di una «politica della scrittura» della Morante, già dall’immediato secondo dopoguerra, dove la vicenda personale e il tentativo di una scrittura e comprensione non possono che coincidere con una visione del mondo politica: la scrittura di sé coincide con la scrittura della storia7. La poesia e l’arte che aprirono la nuova fase della storia, dopo il secondo conflitto mondiale, non potevano quindi che diventare, come scriverà anche Paul Celan nel 1961, un «progetto d’esistenza»8.
È negli anni Cinquanta, in una prospettiva poetica e di ricerca nuova, successiva agli eventi della metà del secolo, che la parola e l’immagine iniziano a funzionare come frammenti decontestualizzati da differenti sistemi linguistici da rimettere in interazione: frammentazione del testo, ricerca di differenti sistemi di combinazione tra parole, sillabe o singoli elementi fonetici.
L’intellettuale contro che in Italia diventava la particolare inclinazione con la quale la cultura poteva restituire dinamismo e significati a un’epoca di profonda ricostruzione9, trova forme specifiche nell’arte e nella letteratura, nei concetti di “avanguardia” e di “neoavanguardia”, dove il nuovo coincideva con la ricerca di originalità come Rosalind Krauss ha evidenziato10.
Ma non era soltanto questa la prospettiva. Emilio Villa, poeta, biblista, scrittore, traduttore e lettore di lingue antiche e moderne, nella sua qualità di critico capace di accorgersi delle sperimentazioni più innovative, scriveva sugli artisti anche per spingere la ricerca sulla parola all’interno dell’immagine11. I suoi testi e la sua “clandestina”12 capacità di mettere insieme il sacro e il profano, sfidando con le sue parole (poetiche, critiche, tradotte e mai tradotte) sempre tutti e tutto, costituiscono un altro modo di essere intellettuale e contro, al di fuori dell’ideologia, del ritorno a qualsiasi tipologia di origine, per ritrovare in una dimensione anacronistica e a-storica (che non vuol dire contro la storia) il passato nel presente, nella attualità dirompente della sperimentazione tra immagini e parole, nelle cui concatenazioni era in grado di capire cosa di inedito fosse in atto. Per Patrizia Vicinelli Villa sarà un punto di partenza, forse il fondamentale sostegno al coraggio che poi le è servito per fare della poesia un’arma, una invettiva ma anche un luogo di infinita ricerca di dialogo e restituzione di sé.
Se tali giustapposizioni sollecitavano nelle pratiche artistiche più specificamente visive esperimenti di montaggio e assemblaggio alla base delle più profonde trasformazioni nell’arte, come avvenne negli anni Cinquanta e poi ampiamente negli anni Sessanta, osservare queste trasformazioni attraverso la ricerca che la poesia introdusse in quegli anni consente di sottolineare ulteriori aspetti.
La frammentazione dell’identità individuale, lo scenario confuso e problematico che ridisegna il paesaggio culturale al di là del 1945, l’avvio della Guerra Fredda e il consolidamento di confini ideologici che divisero il mondo, sono alla base di una diversa coscienza e ricerca di se stessi che portano a reinterrogare non il mondo, in generale, ma le rappresentazioni e le forme della narrazione. Il linguaggio diventa da allora un campo privilegiato di indagine per capire come esso fosse non un mezzo per comunicare ma, come affermava Emile Benveniste già nel 1958 nel suo testo su La soggettività nel linguaggio, una risorsa della identità umana attraverso la quale il soggetto costruisce se stesso13. È in questo senso che la modernità si esaurisce frammentando parametri e fondamenti della sua stessa costruzione e articolazione in un modernismo scettico e incerto, che interroga e domanda, che non può più accettare passivamente la storia e che avverte la necessità di interrogare il passato e con esso il soggetto, le identità individuali e collettive. Per analizzare alcune delle ragioni che furono all’origine, in Italia, di un differente uso della parola e della scrittura, non soltanto all’interno delle ricerche più legate all’uso di esse, all’interno dei cambiamenti che attraversano l’arte del secondo dopoguerra, è necessario soffermarsi sullo spazio politico e soggettivo, critico e di denuncia che alcune poetesse affrontarono: Vicinelli, ma anche, tra altre, Giulia Niccolai o Mirella Bentivoglio artista, poetessa e importante promotrice di una sempre maggiore conoscenza di questo vasto campo di sperimentazione. Fu Bentivoglio ad invitare Patrizia Vicinelli alle mostre che lei stessa curava: nel 1972 all’Esposizione internazionale di operatrici visuali, presso il Centro Tool, a Milano14, nel 1974 a Artivisive Poesiavisiva presso lo Studio d’arte contemporanea Artivisive a Roma, nel 1976 alla mostra Tra linguaggio e immagine a Venezia, poi nel 1978 alla grande mostra, su cui si tornerà in seguito, Materializzazione del linguaggio organizzata in concomitanza della Biennale di Venezia15, quindi nel 1979 alla mostra From page to space, women in the italian avant-garde between language and image presso il Center for Italian Studies, Columbia University, e infine nel 1988 a Volùmina. Il libro oggetto rivisitato dalla donna artista del nostro secolo presso il Museo dell’Informazione di Senigallia.
Al crocevia tra necessità di ripensare il linguaggio, il testo e la scrittura, il corpo e la parola, la propria identità e la stessa costruzione del racconto, si incontrarono necessità e desideri a partire da una prospettiva critica che rivoluzionò dall’interno e in maniera radicale non soltanto il linguaggio della poesia ma le sue stesse regole, accanto alla parola, ripensata non come elemento della scrittura ma come cosa da agire, in una profonda connessione con la fisicità del sentire e interagire con il pubblico. È in questa “svolta linguistica” prodotta da un uso fisico della parola che si trovano alcune indicazioni o punti di avvio di una tendenza performativa e concettuale nata nell’interazione tra più media e linguaggi. Il fatto che artiste, critiche, filosofe, linguiste, psicoanaliste, poetesse, fossero attraverso le loro ricerche pervenute a, in un certo modo, medesimi o affini punti di arrivo, è un aspetto che rende evidente il fatto che dal mondo delle donne intellettuali nascessero prospettive e spunti di ricerca differenti, molto spesso non accomunabili alla “ricerca” affine contestualizzata in un periodo storico specifico. Da una prospettiva profondamente radicata nel genere ovvero nell’essere donne, emergevano aspetti e interessi che modificavano la ricerca, portandola a affrontare punti di vista fino ad allora inesplorati o, comunque, esclusi dalle narrazioni dominanti, seppur sperimentali16. Questo è un ulteriore punto da non dimenticare osservando il lavoro di Vicinelli.
Nel 1974 il libro di Julia Kristeva La révolution du langage poétique si poneva come una pietra miliare nel vasto campo della ricerca linguistica da una prospettiva femminista: per la Kristeva il linguaggio femminile si presentava come semiotico a differenza di quello maschile strutturato su un piano prevalentemente simbolico17. La questione del soggetto, in processo, come dice Kristeva, viene affrontata poi in un altro saggio pubblicato su “Tel Quel” nello stesso 1974, Sujet dans le langage et pratique politique18.
La rivoluzione poteva avvenire a partire da un ricongiungimento: con il mondo affettivo del corpo e, prima di tutto, del corpo materno. Kristeva vedeva in questa relazione tra corpo, linguaggio e affetti la possibilità di costruire un’altra forma di spazio del testo performativo rimasto fino ad allora inesplorato: «indifferente al linguaggio, enigmatico, femminile, questo spazio sottostante allo scritto è ritmico, scatenato, irriducibile a un’intellegibile traduzione verbale»19.
In questo senso Kristeva riconosceva in tale spazio rimosso del linguaggio la possibilità di una trasformazione non soltanto nel senso di una scrittura altra ma anche di una scrittura politica in quanto sottratta all’ordine e alla logica simbolici del discorso dominante e restituita al corpo e al «piacere del testo» di cui parlava anche Roland Barthes negli stessi anni20.
La scrittura e le ricerche sulla parola si presentano così come un campo, sebbene non omogeneo, che ha messo in evidenza relazioni fondamentali come l’identità e il genere, il linguaggio, le sue formazioni e soprattutto il corpo. Nel 1974 Lea Vergine in Il corpo come linguaggio, quindi in una straordinaria contiguità storica e di approccio con il libro di Kristeva, sgombra il campo dall’arte nel senso più convenzionale del termine e ricerca le motivazioni alla base della sperimentazione sul corpo e con il corpo a partire da un’assenza di «amore» corrisposto e di riconoscimento. La prospettiva psicoanalitica la aiuta a seguire le performance di alcuni artisti nelle quali gli affetti, il desiderio come il dolore o la paura, determinano l’urgenza di mettere in movimento il corpo per cercare nel gesto un nuovo termine linguistico. L’aggressività dice Vergine «nasce proprio da questo amore non corrisposto»21: è il sintomo di una rabbia che cerca i modi per essere detta e che si ritrova alla base della «cosiddetta ‘body art’» ovvero di operazioni che «vogliono provare tutte le possibilità che ci sono date di conoscerci per mezzo del corpo»22.
Tutto diventa recuperabile: una qualunque azione di un qualsiasi momento di una qualsiasi giornata; le proprie foto, le radiografie e le scopie; la propria voce; tutti i possibili rapporti con gli escrementi e con i genitali; ricostruzioni di fatti del proprio passato e messe in scena di sogni; l’inventario degli incidenti di famiglia; la ginnastica, la mimica e le acrobazie; le percosse e le ferite23.
Dalla performance ginnica di Arrigo Lora-Totino (dal 1974), alla poesia agita di Adriano Spatola, ai film-performance di sole recitazioni di sogni di Gianfranco Baruchello (Tre lettere a Raymond Roussel, 1969), alle dichiarazioni di poetica di Mirella Bentivoglio “oltre la parola” (1974), i contesti si intrecciano perché nell’incontro di più ambiti di sperimentazione, la ricerca si libera dai confini linguistici dei media utilizzati. Emblematico è anche da ricordare il progetto La descrittione del gran paese, che vedeva sulle pagine della rivista «Marcatrè», nella sezione “Musica”, impegnati in un’azione scenica, poetica, musicale, teatrale e visiva Edoardo Sanguineti (testo), Vittorio Gelmetti (musica), Gianfranco Baruchello (scene). Uno “spettacolo” musicale poteva essere performato a più voci, sulle pagine di una rivista24.
L’attenzione per la parola e il linguaggio è stata dunque il punto di partenza per la ricerca di pratiche di scrittura e soprattutto riscrittura di se stessi, da una prospettiva critica che cercava di riportare il linguaggio e la parola alla fisicità del sentire, del corpo, degli affetti. Proprio dal rapporto, all’interno di una rivoluzione che la scrittura stava attraversando, tra modi e ricerche che dall’arte ma anche dalla poesia o dal teatro emergevano negli stessi anni, è possibile capire la specifica svolta che artiste, poetesse e critiche misero in atto, concentrando la loro attenzione sulla parola, la voce, la scrittura di sé, da una prospettiva di genere che considerava l’intima relazione tra testo e femminismo.
Nel 1978 (28 febbraio) presso l’UCLA, Large Conference Room, North Campus Facility, proprio una poetessa, Giulia Niccolai, tiene la conferenza Feminism and Literature. La rivista “Tam Tam”, fondata da Adriano Spatola nel 1971, (chiude nel 1988), annuncia l’evento nel numero 17-20 dello stesso 1978. La relazione tra femminismo e letteratura per Niccolai è tuttavia più una scommessa che una adesione. Il testo di questa conferenza è andato perduto ma dello stesso anno è il testo Women’s presence in Italian Experimental Poetry pubblicato nel catalogo Oggi poesia domani, relativo all’incontro internazionale di poesia organizzato a Fiuggi nel settembre 1979 da Adriano Spatola con Giovanni Fontana, John McBride e la stessa Giulia Niccolai. In questo testo Niccolai si sofferma su alcune questioni: prima di tutto l’importanza del lavoro in Italia delle artiste anche come promotrici. Tra queste ricorda il ruolo fondamentale avuto proprio da Mirella Bentivoglio che dal 1972, ovvero dalla già citata Esposizione internazionale di operatrici visuali, presso il Centro Tool, Milano, fino al 1978, in occasione della mostra Materializzazione del linguaggio, aveva portato la presenza delle artiste e delle potesse che da anni lavoravano sugli intrecci tra parola, immagine e performance allo straordinario numero di ottanta. Le artiste, osservava Niccolai, erano numerose ma avevano lavorato in privato, al di fuori degli spazi espositivi o per la presentazione. Arte e poesia convivevano invece finalmente in questa mostra voluta da Bentivoglio in una maniera esauriente. La ricerca rivolta alla interrelazione di linguaggi, parole e immagini, media e significati si rivelava un terreno di ricerca particolare. La realtà, politica e culturale, cominciava a essere osservata non attraverso la distanza della visione ma nella fisicità del corpo, sessuato, storico, politico. Attraverso l’uso del collage e dell’assemblaggio, della parola e dell’immagine giustapposte, attraverso il montaggio, poetesse e artiste (Ketty La Rocca, tra altre) mescolavano i piani del discorso, rompevano le convenzionali catene linguistiche, frammentavano la continuità della narrazione, rovesciavano nel montaggio la struttura del reale, con ironia e capacità di denuncia. Si avanzavano provocazioni aperte, slogan/manifesti: la parola era usata non soltanto come espediente estetico o concettuale, all’interno delle poetiche della smaterializzazione dell’arte. Proprio la mostra Materializzazione del linguaggio sottolineava una implicazione molto diversa nell’uso della parola: la parola come oggetto restituito alla materialità del corpo, come elemento performativo (nel senso di azione) del linguaggio, come frammento concreto di narrazioni (dominanti, maschili, patriarcali, simboliche o idealistiche) da rovesciare, diventava il veicolo di quella “rivoluzione” del linguaggio che proprio le poetesse e le artiste stavano contribuendo a ridefinire, motivare, portare avanti: la scrittura performativa di Tomaso Binga, la parola oggetto di Anna Esposito, il collage di Lucia Marcucci, i manifesti e l’impegno femminista di Anna Oberto, la scrittura politica di Anna Paparatti, la ricerca sull’interpunzione di Carla Vasio, la frammentazione linguistica di Simona Weller, i libri oggetto di Maria Lai. Il linguaggio doveva essere decostruito, analizzato; di esso dovevano essere rintracciati gli aspetti che lo avevano reso una rappresentazione culturale di divisioni sessuali, di genere, di potere. La «materializzazione del linguaggio» avveniva nella prospettiva di un nuovo e diverso coinvolgimento del corpo e della fisicità. Ma torniamo agli anni Sessanta. Nel 1966, nella rivista «Malebolge», è pubblicato il testo coin VOLT di Patrizia Vicinelli25. Siamo in una fase iniziale della scrittura e dell’opera poetica, verbo-visiva di Vicinelli.
Patrizia Vicinelli era nata a Bologna nel 1943. Cresce in un ambiente borghese dal quale si allontanerà presto. Rifiuta gli stereotipi, è incline ad avventurarsi più nei propri sogni, nella favola, legge Allen Ginsberg e Jack Kerouac. Già dei primissimi anni Sessanta sono alcune poesie rimaste inedite; il primo testo a stampa, E capita, appare nel 1962, sulla rivista di Adriano Spatola «Babllu». Nello stesso anno un suo testo è pubblicato sulla rivista «Ex» di Emilio Villa e Mario Diacono. In questi primi testi sfida ogni convenzione linguistica, distorce sia la sintassi che la narrazione. Per Vicinelli sono importanti il suono e la fisicità della parola. Tra il 1963 e il 1965 si trasferisce a Roma dove viene a contatto con artisti e autori di teatro, cinema e musica sperimentale come Aldo Braibanti, Baruchello, Alberto Grifi, Guido Lombardi, Anna Lajolo, Sylvano Bussotti, Alvin Curran, Steve Lacy. Alberto Grifi gira il film documentario In viaggio con Patrizia nel 1965-1966 e il successivo Transfert per camera verso Virulentia, girato tra il 1966 e il 1967, sul teatro di Aldo Braibanti.
Sul n. 3-4 di «Fantazaria» del 1967 (gennaio-marzo) pubblica un testo verbo-visivo Cos’è il cinema sperimentale e una serie di ritratti intervista a Grifi, Baruchello, Mario Masini, Alfredo Leonardi, Giorgio Turi e Roberto Capanna, Nato Frascà, Antonello Branca26. Nel 1966
«Marcatré» pubblica invece la trascrizione verbo-poetico-visiva della colonna sonora di Verifica incerta il film che Baruchello e Grifi avevano terminato nel 1965 e che nello stesso anno era stato presentato a Palermo, in occasione del secondo Convegno del Gruppo 63. La pagina diventa partitura e i dialoghi già frantumati per la tecnica di montaggio usata nel film diventano frammenti sonori da recitare. La sua prima opera compiuta, à, a. A, compare nel 1967 in disco per «Marcatrè» e in volume per Lerici con dedica a Emilio Villa.
In coin VOLT già sono però presenti i caratteri formali che caratterizzeranno da allora in poi il suo linguaggio. Quel che è tra e nelle righe dei versi è una forte e radicale operazione di destrutturazione del linguaggio ridotto già in queste pagine a brandelli (piuttosto che a frammenti) e usato in un giuoco senza fine di sovrapposizioni, incastri, simultaneità. Tutto è nutrito di una profonda rabbia non espressa attraverso le parole ma nel modo stesso di trattarle, un modo che rifiuta la narrazione, le facili connessioni semantiche e sintattiche, e che sfugge alla regola, alla comprensione, alla lettura. Lettura e scrittura si complicano per esplodere in balbettii, a capo continui, sospensioni che non riprendono e che ci fanno sentire o leggere i vuoti, gli spazi bianchi della pagina. La rabbia si trasforma in desiderio, passione per una avventura del linguaggio che travalica, scompone, reinventa la scrittura. Sulla pagina il testo si scompone, nello spazio la Vicinelli si muove tra passato e presente, costruendo un’epica inattuale ma nello stesso tempo forzando il tempo in cui vive a tendenze anacronistiche, virtuali, immaginarie. C’è molto coraggio nella scrittura di una giovane poetessa che forza il limite delle tendenze che allora parlavano di avanguardia, di neoavanguardia, di sperimentalismo. Vicinelli sembra sfidare tutto. Come si è già ricordato, quando con la sua poesia performativa e al contempo trasgressiva, si presentò a La Spezia nel 1966, Patrizia Vicinelli aveva introdotto un modo diverso e originale di agire la poesia. Chi era questa poetessa, giovane donna che agiva con il corpo, la voce, i sensi, il dolore, la rabbia e il desiderio? Cosa voleva dire la parola agita, lo sguardo silenzioso, la voce appassionata e fisica di una poesia restituita al corpo? Vicinelli lascia tutti sbalorditi: la sua poesia travalicava anche la sperimentazione più audace di quegli anni. Mentre si leggono questi “versi”, la voce, una voce interna inscritta nelle parole, si sente e fa da guida alla lettura che zoppica, si interrompe, per capire quale direzione prendere, per non implodere di fronte a quanto resta forte, a voce alta, senza cadute (come quando la frase si conclude) e si percepisce fatto di continui inizi, continui punti di partenza: frammenti di energia fisica che non soccombe e che sfida la pagina, la frase, il testo. Si insinua tra le parole, nei pezzi esplosi di un discorso che usa anche monosillabi o piccole sillabe cariche di emotività: “ehmm”, “hahha la”, “zzzzzzzz”. Parole quindi sottratte al significato e scritte come puri suoni, neanche onomatopee ma rumori che provengono da un mondo interno, privato o intimo ma restituito allo spazio pubblico della pagina della poesia. Il ritmo è traballante e ricorda che a “muoversi” sono gli spazi incerti del discorso, le sue lacune, le assenze che sono anche mancanze nel senso di oblii o assenze di memoria, semmai momentanee, del sé.
Proprio in occasione della mostra Materializzazione del linguaggio il 21 settembre 1978 si svolgono le performance di Patrizia Vicinelli. Accanto a opere più propriamente visive, Mirella Bentivoglio aveva inserito una sezione di “Performance” che si svolse tra il 20 e il 23 settembre, nei giorni di apertura di quello che fu in Italia il primo punto di incontro di artiste, che usavano linguaggi verbali o visuali, senza barriere. Per Vicinelli si tratta di performance tratte da parti di Non sempre ricordano27 e della proiezione Fragmentation d’une vie d’heroïne: eroine e l’eroina che si decostruiscono e che distruggono, giochi di parole, ironia e frammenti di discorsi, memoria e libertà. Difficile dire se si trattasse di arte, di poesia, di teatro o altro. L’anno della mostra è tra l’altro quello della pubblicazione, nel mese di ottobre, di Taci, anzi parla. Diario di una femminista, che rilancerà alle artiste di molti anni dopo il messaggio dell’identità tra pratiche di autocoscienza e abolizione di ogni «immagine preconcetta femminile»28. Qualche mese prima, a maggio, Patrizia Vicinelli si era trovata in carcere, condannata nel dicembre del 1977 per essere stata trovata, anni prima, in possesso di una quantità (minima) di hashish. La detenzione nel carcere di Rebibbia sarebbe durata sei mesi. Ma il 25 maggio sui quotidiani nazionali italiani fu riportata la notizia di un lavoro teatrale, nato nel carcere romano, che sotto la regia di Vicinelli aveva coinvolto circa ottanta detenute. Cenerentola29, titolo del lavoro, fu un lavoro politico, negli anni del femminismo più radicale: testo a più voci, interventi del coro, dialoghi tra donne e con essi decostruzione dei miti, riabilitazione di Cassiopea (nome di una costellazione ma anche madre di Andromeda nella mitologia greca), seppur nei panni di una donna che non ama leggere ma che diventa la “straniera” in un dialogo fecondo. Divenne il modo di Patrizia Vicinelli, ancora una volta, di trasformare la detenzione e la rabbia in un testo da agire, fatto di “ballate” attraverso le quali Cenerentola, Cassiopea e le altre, in un rapporto tra donne, presentavano un universo femminile di ricordi, identificazioni, da una parte con immagini di crudeltà, strazio, abbandono, dall’altra di foreste, viaggi tra mondo reale e mondo ideale che entravano in collisione. Le voci, anche urla, risate, incertezze, dialogavano con il rumore stridente di porte che sbattevano, le voci si accavallavano con la caleidoscopica capacità di Patrizia Vicinelli, che continuerà a sperimentare in altre sue opere come I fondamenti dell’essere (1985-1987), di spostare le identità in uno scenario frammentato e disperso, spezzando le parole in un gioco di echi che producevano la polifonia di un racconto interiore. Il corpo parlava attraverso un testo che diveniva pratica di autocoscienza, lettura del rimosso, tra più voci che mettevano in dialogo il maschile e il femminile, all’interno di un processo di trasformazione individuale e collettivo. Per Cenerentola si tratta di sette fasi, le sette Cenerentole che segnano sette passaggi verso la libertà che per Vicinelli è libertà di agire e mai libertà da qualcosa.
Questa ricerca di artiste e scrittrici rivoluzionò dall’interno e in maniera radicale non soltanto il linguaggio della poesia o dell’arte, ma le regole o gli stereotipi linguistici all’interno della scrittura, come modo di pensare, di vedere ma anche come costruzione di identità. Poesia, performance, arte coincisero negli intenti (lettura con gesti, coinvolgimento fisico del corpo) o, anche, era il testo che diventava performativo: un testo che non poteva essere soltanto letto ma anche agito, trattato nella sua multivocale e molteplice complessità linguistica, da vedere, ascoltare, intonare, muovere nello spazio dell’ascolto con il quale il pubblico era invitato a entrare in un nuovo e inatteso dialogo.
- Il saggio qui presentato continua una ricerca avviata da qualche anno sui rapporti tra arte, poesia e pratiche performative. Cfr. C. Subrizi, Punti d’incontro tra scrittura, performatività e femminismo in Italia: Niccolai, Vicinelli, Bentivoglio, Santoro e Lonzi, in Maite Mendez Baiges, Arte Escrita. Texto, imagen y género en el arte contemporáneo, Comares, Granada 2017, pp. 61-83. Al 2014 risale un’ampia mostra monografica dal titolo Patrizia Vicinelli. Una parola incorreggibile, da me curata in collaborazione con C. Bello Minciacchi e con gli studenti di Storia dell’arte contemporanea (ArtLab1), presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma, Roma. Si rimanda anche a C. Subrizi, Patrizia Vicinelli e Giulia Niccolai: la parola e la performance per reinventare il linguaggio, in The Unexpected Subject. 1978 Art and Feminism in Italy, Flash Art, Milano 2019, cat. della mostra omonima “The Unexpected Subject. 1978 Art and Feminism in Italy” ai Frigoriferi Milanesi, Milano, 2019, pp. 50-52. ↩
- C. Bello Minciacchi, a cura di, Patrizia Vicinelli. Non sempre ricordano, Le Lettere, Firenze 2009, p. XXVII ↩
- Ivi, p.11 ↩
- Vedi al proposito, J. Novak, Live Poetry. An Integrated Approach to Poetry and Performance, Rodopi, Amsterdam-New York 2011. ↩
- Pictures to be read, poetry to be seen, 24 ottobre – 3 dicembre 1967, Museum of Contemporary Art, Chicago. Tra gli artisti: Shusaku Arakawa, Gianfranco Baruchello, Mary Bauermeister, George Brecht, Oyvind Fahlström, Ray Johnson, Allan Kaprow, R. B. Kitaj, Alison Knowles, Jim Nutt, Gianni-Emilio Simonetti, Wolf Vostell. ↩
- E. Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 2005. ↩
- S. Lucamante (a cura di), Elsa Morante’s Politics of Writing. Rethinking Subjectivity, History and the Power of Art, Fairleigh Dickinson University Press, Maryland 2015; cfr. anche S. Lucamante, A Multitude of Women: The Challenges of the Contemporary Italian Novel, University Press, Toronto 2008. ↩
- P. Celan, Der Meridian und andere Prosa, Suhrkamp, Berlin 1988, p. 60. ↩
- L. Re, Language, Gender and Sexuality in the Italian Neo-Avant-Garde, in «MLN», vol. 119, n. 1, 2004, p. 140. ↩
- R. Krauss, L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti (1985), Fazi, Roma 2007 (edizione italiana). ↩
- E. Villa, Attributi dell’arte odierna. 1947-1967, Le Lettere, Firenze 2008. ↩
- A. Tagliaferri, Il clandestino. Vita e opere di Emilio Villa, DeriveApprodi, Roma 2004. ↩
- E. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966; tr. it. Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano 1971. ↩
- Circa venti artiste avevano esposto le loro opere tra le quali Annalisa Alloatti, Paula Claire, Lia Drei, Ulrike Eberle, Amelia Etlinger, Ilse Garnier, Bohumila Grogerova, Liliana Drei, Giulia Niccolai, Anna Oberto, Betty Radin, Giovanna Sandri, Mary Ellen Solt, Biljana Tomic, Silvia Trevale e Patrizia Vicinelli. ↩
- La mostra Materializzazione del linguaggio, a cura di Mirella Bentivoglio, era stata inaugurata il 20 settembre 1978 ai Magazzini del Sale alle Zattere, a Venezia, e si chiuse il 15 ottobre dello stesso anno. ↩
- L. Re, Language, Gender and Sexuality in the Italian Neo-Avant-Garde, cit., pp. 135-173. ↩
- J. Kristeva, La révolution du langage poétique, Seuil, Paris 1974; tr. it., La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio, Venezia 1979. ↩
- J. Kristeva, Sujet dans le langage et pratique politique, in «Tel Quel», n. 58, 1974, pp. 22-27. ↩
- J. Kristeva, La rivoluzione del linguaggio poetico, cit., p. 34. ↩
- R. Barthes, Le Plaisir du texte, Seuil, Paris 1973; tr. it. Il piacere del testo, Einaudi, Torino 1975. ↩
- L. Vergine, Il corpo come linguaggio, Prearo, Milano 1974, p. 2. ↩
- Ivi, p. 4. ↩
- Ivi, p. 16. ↩
- E. Sanguineti, V. Gelmetti, G. Baruchello, La descrittione del gran paese, in «Marcatrè», nn. 30-33, 1966, pp. 35-41. ↩
- P. Vicinelli, coin VOLT, in «Malebolge», n. 3-4, 1966, pp. 24-25. ↩
- P. Vicinelli, Cos’è il cinema sperimentale, intervento verbo-visivo, interviste e interventi, in «Fantazaria», nn. 3-4, gennaio-febbraio 1967, pp. 60-84. ↩
- Per Non sempre ricordano rimando a P. Vicinelli, Non sempre ricordano, cit., anche C. Subrizi, Punti d’incontro tra scrittura, perfomatività e femminismo in Italia: Niccolai, Vicinelli, Bentivoglio, Santoro e Lonzi, cit.. ↩
- C. Lonzi, Taci, anzi parla. Diario di una femminista, et.al/Edizioni, Milano 2010. La prima edizione italiana fu pubblicata da Rivolta Femminile nel 1978. ↩
- Per Cenerentola si rimanda a Patrizia Vicinelli, Non sempre ricordano, cit., pp. 147-171, vedi anche L. Magazzeni, Una Cenerentola a Rebibbia. La poesia verbo-visiva e visionaria di Patrizia Vicinelli e l’utopia femminista dentro il carcere, in M. Martin Clavijo, M. Gonzales de Sande, D. Cerrato, E. Maria Moreno Lago, Locas. Ecritoras y personajes femeninos cuestionando las normas, Arcibel Editores, Sevilla 2015, pp. 983-997, anche in idus.us.es/xmlui/bitstream/handle/11441/55411/Pages%20from%20 libro%20locas-19.pdf?sequence=1 (ultima consultazione il 19.II.2019). ↩